La zona su cui sorge la Galleria era già intensamente
urbanizzata nel XVI secolo ed era caratterizzata da un groviglio
di strade parallele raccordate da brevi vicoli, che da via Toledosboccavano
di fronte a Castel Nuovo.
Questi vicoli godevano di cattiva fama in quanto vi si trovavano taverne
(famigerata era la taverna
della Cagliantese o Cagliantesa) case di malaffare
e vi si consumavano delitti di ogni genere. La fama conquistata dalla zona nei
secoli, già nota a Giambattista Basile che immortalò le donne di malaffare
del luogo nella sua opera Le
muse napolitane, si mantenne per quasi tutto l'Ottocento.
Negli anni ottanta del XIX secolo il degrado toccò punte
estreme: nei vicoli si levavano edifici a sei piani, la situazione igienica era
pessima e non fa meraviglia che tra il 1835 ed il 1884 in questa area si fossero verificate
ben nove epidemie di colera. Sotto la
spinta dell'opinione pubblica, dopo l'epidemia del 1884 si cominciò a considerare un
intervento governativo.
Nel 1885 fu approvata la Legge per il
risanamento della città di Napoli (quel periodo fu appunto detto del risanamento), grazie alla quale la zona
di Santa Brigida ricevette una nuova definizione territoriale. Furono
presentate varie proposte, il progetto che risultò vincente fu quello dell'ingegner Emmanuele Rocco, poi
ripreso da Antonio Curri ed ampliato da Ernesto di Mauro successivamente. Tale progetto
prevedeva una galleria a quattro braccia che si intersecavano in una crociera
ottagonale coperta da una cupola. Le
demolizioni degli edifici preesistenti (ad esclusione del palazzo Capone) iniziarono il 1 maggio 1887 ed il 5 novembre dello stesso anno fu
posta la prima pietra dell'edificio. Nel giro di tre anni, precisamente il 19
novembre 1890, la nuova galleria
veniva inaugurata.
Descrizione
Esterno
L'ingresso principale, che si apre su via San Carlo, è
costituito da una facciata ad esedra, che in basso
presenta un porticato architravato, retto da colonne di travertino e due archi ciechi, l'uno d'accesso
alla galleria, l'altro aperto sull'ambulacro.
Seguono un ordine di finestre a serliana, separate da coppie di lesene dal
capitello composito, ed un secondo piano con finestre a bifora e lesene simili
alle precedenti. L'attico presenta coppie di finestre quadrate e lesene dal capitello tuscanico,
quest'ultime tra le finestre sono scanalate.
L'arco di destra mostra, sulle colonne, da sinistra verso
destra, l'Inverno, la Primavera,
l'Estate e l'Autunno,
soggetti tradizionali che rappresentano lo svolgersi del tempo a cui sono
legate le attività umane, il Lavoro e il Genio
della scienza. Sul fastigio troviamo il Commercio e l'Industria semisdraiati ai lati della Ricchezza, miti della società
borghese.
L'arco di sinistra mostra, sulle colonne, i quattro continenti
l'Europa, l'Asia, l'Africa e l'America. Nelle nicchie invece
sono rappresentati, a sinistra, la Fisica e, a destra, la Chimica. Sul fastigio,
sdraiati, il Telegrafo, a
destra, e il Vapore, a
sinistra che affiancano la figura dell'Abbondanza. Si presenta dunque
un'immagine positiva della scienza e del progresso capaci di unificare le
diverse parti del mondo. Nel soffitto del porticato si notano una serie di
tondi con divinità classiche. Gli dei raffigurati sono Diana, Crono, Venere, Giove, Mercurio e Giunone.
Le facciate minori hanno una struttura simile ma
presentano unicamente decorazioni in stucco. La facciata su via Toledo reca, ai
lati dell'ingresso, due coppie di putti con scudi nei quali sono rappresentati
gli emblemi dei due seggi di Napoli: il cavallo frenato per Capuana a destra,
ed una porta per Portanova a sinistra. La facciata su via Santa Brigida
presenta, negli scudi retti dai putti, gli emblemi dei seggi di Porto, con
l'uomo marino a sinistra, e di Montagna con i monti a destra. Ai lati dell'arco
ci sono due pannelli allusivi alla guerra e alla pace. La facciata di via Verdi
ha, negli scudi, gli emblemi del seggio di Nido, con un cavallo sfrenato a
sinistra, e del Popolo, con la P a destra. Ai lati dell'arco sono presenti due
pannelli allusivi all'abbondanza e alla ricchezza caratterizzati dalla coltivazione
della terra e dall'esercizio della navigazione.
L'interno della galleria è costituito da
due strade che si incrociano ortogonalmente, coperte da una struttura in ferro
e vetro. Le delimitano alcuni palazzi, quattro dei quali con accesso dall'ottagono
centrale. Le loro facciate rispecchiano quella principale, infatti l'ordine
inferiore è diviso da grandi lesene lisce, dipinte a finto marmo che inquadrano
gli ingressi dei negozi e dei soprastanti mezzanini. Seguono al primo piano le
serliane, al secondo le bifore, nell'attico le finestre quadrate.
La volta, in vetro e ferro, progettata da Paolo Boubée,
riesce ad armonizzarsi perfettamente con la struttura in muratura, a ciò
contribuisce lo stretto rapporto fra le strutture portanti in muratura e quelle
in ferro. Negli otto pennacchi della cupola otto figure femminili in rame
sostengono lampadari. Gli ampi ventagli posti nelle testate dei bracci recano
complesse scene in stucco, tutte in relazione con la musica. Sul tamburo della
cupola, decorato con finestre a semicerchio, è visibile la Stella di Davide,
riproposta in tutte e quattro le finestre. La ragione della sua presenza è
dovuta al fatto che la Galleria Umberto I è la sede storica della massoneria
napoletana, in particolare della loggia massonica Grande Oriente d'Italia. La
stella di David in questo caso - oltre essere sé stessa - in quanto è formata
da due triangoli invertiti, rappresenta il simbolo della massoneria.
Nel pavimento sotto la cupola si trovano mosaici con
venti e segni dello zodiaco firmati dalla ditta Padoan di Venezia, che li
realizzò nel 1952 a sostituzione degli originali
danneggiati dal calpestio e dalla guerra. I bombardamenti provocarono la
distruzione di tutte le coperture in vetro. Presso gli ingressi busti e lapidi
commemorano luoghi scomparsi e coloro che parteciparono alla realizzazione
dell'opera.
Nel braccio verso via Verdi si trova una scritta che
ricorda la locanda Moriconi che nel 1787 aveva ospitato Goethe. Entrando invece del lato del Teatro San Carlo ci si imbatte nella lapide dedicata a
Paolo Boubée. Nella parte sottostante la Galleria esiste un'altra crociera, di
dimensioni minori, con al centro il teatro della Belle Époque,
il Salone Margherita, che per più di
vent'anni fu la sede principale dello svago notturno dei napoletani, accogliendo
diversi importanti personalità nazionali come: Matilde Serao, Salvatore di Giacomo, Gabriele d'Annunzio,Roberto Bracco, Ferdinando Russo, Eduardo Scarfoglio e Francesco Crispi[2].
La Galleria oggi
Progettata anche con l'intento di essere essa stessa
un'opera monumentale, al pari delle altre circostanti (Maschio Angioino, Real Teatro San Carlo, Palazzo Reale, Basilica di San Francesco Di Paola)[2] la galleria Umberto I, sin dalla sua
costruzione, divenne immediatamente un fondamentale polo commerciale della
città di Napoli, grazie anche all'ubicazione che la vede circondata dalle
strade dello struscio quali Via Toledo, Via Santa Brigida e la non lontana Via Medina.
Anche per la sua vicinanza a importanti luoghi della cultura e della politica,
la Galleria ben presto divenne anche centro
mondano della città.
Questa ha ospitato per oltre 50 anni gli sciuscià,
i lustrascarpe della città. Farsi lustrare le scarpe all'interno della
galleria, era una usanza consentita agli uomini chic della città di Napoli. Oggi questo
"rito" è scomparso, anche se è rimasto un ultimo sciuscià
"veterano", che continua la tradizione all'ingresso della Galleria
sul lato di Via Toledo.
All'interno della Galleria ci sono gli ingressi di
quattro stabili, strutturati su tre piani, di cui i primi due sono utilizzati
quasi unicamente per le attività commerciali presenti in Galleria (per lo più negozi
di moda e abbigliamento, ristoranti e caffè), mentre l'ultimo piano resta
destinato ad abitazioni private o alberghi. L'interno degli edifici ha
recentemente subito un intervento di restauro che ha riportato all'aspetto originario
le molte sculture decorative, gli imponenti busti e le caratteristiche decorazioni liberty.
Al secondo piano della facciata principale c'è il museo del
corallo e ne occupa la
gran parte, dai balconi del museo i rilievi di stucco della facciata del Teatro di San Carlo sono quasi “a portata di mano” e così
pure le famose sculture marmoree di Carlo Nicoli che severamente sostengono le ampie
finestre dei saloni principali.
La Galleria viene utilizzata ogni anno per accogliere
l'albero di Natale cittadino, sul quale, come da rito, vengono affisse le
lettere di "desiderio" e "speranza" dei cittadini
partenopei.
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