La galleria
Principe di Napoli è una galleria commerciale di Napoli situata tra l'Accademia delle belle arti ed il Museo archeologico nazionale.
Storia: dalle fosse
del grano al nuovo quartiere
La zona dove sorge la galleria era occupata
sin dalla fine del XVI secolo dalle cosiddette "fosse del
grano"', cioè il deposito granario della città, che la tradizione vuole
costruito su progetto dell'architetto figlio d'arte Giulio Cesare Fontana e che fu ampliato nel 1587 dall'ingegnereGiovanni Vincenzo Della Monica. Vi lavorò
come ingegnere capo dal 1601 al 1602 Giovan Battista Cavagna (aiutato anche dal mastroGiovan Giacomo Di Conforto) ed è in questo
periodo che le fosse furono affiancate da un secondo deposito, costruito entro
il 1608. La loro architettura
era estremamente irregolare per via della conformazione del suolo. Il deposito
originario era costituito da varie cavità (appunto le fosse) e si apriva in
direzione nord-sud dietro i conventi di San Giovanni Battista delle Monache e
di Santa Maria di
Costantinopoli, mentre il secondo, che aveva le caratteristiche di
semplice magazzino, si estendeva dal termine del primo fino all'estremità del
largo del Mercatello.
Il declino delle fosse del grano cominciò ai
primi del XIX secolo,
con l'abolizione nel 1804 del monopolio annonario, così la
struttura fu adibita come prigione, deposito e caserma militare. Nel 1848, in occasione delle
novità liberali, fu suggerita la loro demolizione in luogo della sede del nuovo
Parlamento, ma l'idea rimase tale.
Nel 1852 Gaetano Genovese,
architetto municipale, propose la demolizione delle fosse del grano per
permettere il prolungamento di via Toledo fino al palazzo del Museo. La
proposta ebbe seguito, infatti furono avviati i lavori di demolizione degli
edifici della zona, fu abbattuta anche la porta di Costantinopoli nel 1853 e fu aperta il 30 maggio dello stesso
anno la salita delle Fosse del Grano (attuale via Pessina), ma dopo una fase di
attività, anche per quanto riguarda i progetti, i lavori furono interrotti nel 1856, forse con il
determinante influsso del convento di Santa Maria di Costantinopoli che
risultava coinvolto in quanto veniva intaccato il suo giardino. Fino alla
caduta del regno borbonico ci furono alcuni vani tentativi di riprendere
l'impresa, con la presentazione di altri progetti.
Con l'Unità viene presentato un progetto di
ricostruzione dell'area da parte degli architetti Nicola Breglia e Giovanni De Novellis, i
quali nel 1863 fecero risistemare la salita della
Fosse del Grano, che assunse il nome di "via Museo Nazionale"
(attuale via Pessina), mentre per la ricostruzione edilizia si palesarono
subito varie difficoltà a procedere per via di molte opposizioni. I due
architetti così presentarono nel 1868 un nuovo progetto, che ricalca
l'impianto urbano tra il Museo e piazza Dante che ancora oggi sussiste.
Ottenuto il via libera, i lavori cominciarono. Fu aperta anche via Bellini, che
fu fatta terminare a sud dinanzi il palazzo
Rinuccini, proprietà del barone Tommasi, uno dei più recalcitranti
alle trasformazioni che in un primo momento vedevano coinvolto il suo palazzo.
Anche a nord si erano presentati problemi, che
impedirono il termine di via Bellini davanti al Museo. Fu così stabilita la
costruzione di un porticato, che nel 1869 fu cambiato in galleria commerciale
con copertura in ferro e vetro. I lavori per l'erezione di questa iniziarono
nel 1870 sempre su progetto di Breglia e De
Novellis, ma i lavori furono dopo poco sospesi; dopo periodi alterni di
avanzamento e di stasi (si lavorò solo tra il 1873 e il 1874), i lavori di
costruzione vennero ripresi nel 1877 e dopo un'ennesima sospensione definitivamente
completati nel 1883.[1]
L'architettura
La galleria fu costruita in muratura, con una
copertura in ferro e vetro. È costituita da tre bracci, ognuno dei quali
termina con un'uscita. Era prevista anche la costruzione di un quarto braccio,
ma non fu possibile realizzarlo per la presenza della chiesa di Santa
Maria di Costantinopoli. Di fronte al Museo archeologico,
l'uscita della galleria si inserisce in un ampio porticato. È singolare notare
che le tre uscite della galleria sono caratterizzate da scalinate di lunghezze
diverse, a causa del dislivello presente tra la varie strade sulle quali la
galleria si affaccia.
Il parziale crollo
ed il restauro
A causa della mancanza di manutenzione e del
suo degrado, nell'agosto 1965 crollò la facciata del suo ingresso su
piazza Museo. Per due anni non fu intrapreso niente, a parte l'erezione di due barbacani per puntellare la Galleria che
presentava comunque delle gravi lesioni. Poiché il suo stato era alquanto
fatiscente, e generalmente fu riconosciuto che per la Galleria non si era mai
realizzata quella funzione per la quale era stata costruita, fu proposto da più
parti - anche da enti e personalità di rilievo - un suo definitivo abbattimento
per realizzare al suo posto un edificio per uffici e abitazioni, o un'area
verde, o un parcheggio sotterraneo per il Museo. In particolare il
"Sindacato architetti liberi professionisti per la Campania" propose
al Comune di Napoli una ristrutturazione dell'intero isolato, avendo in ciò
l'appoggio - seppure non ufficiale - del soprintendente archeologo Alfonso De Franciscis; per questa ragione non
videro di buon occhio lo stanziamento - seppure tardivo nel 1967 - da parte del Comune di 107 milioni
di lire per la ricostruzione della facciata crollata, giudicandolo uno sperpero
di denaro pubblico[2].
Nonostante ciò nel giugno-luglio del 1969 furono intrapresi ed infine realizzati
quei radicali lavori di restauro che ci hanno conservato la Galleria fino al
giorno d'oggi.
Tempi recenti
La galleria non è mai stata quel centro commerciale
che era nelle intenzioni dei committenti e dei realizzatori, poiché ospitando
soprattutto uffici comunali, è - dopo il loro orario di chiusura -
sostanzialmente un luogo privo di vita, fatta eccezione per i turisti che la
attraversano, per dirigersi o tornare dal Museo archeologico.
Diventando terra di nessuno, nel pomeriggio,
essa si rianimava soltanto dei ragazzini del quartiere che, privi di spazi
ludici in zona, la utilizzavano come campo di calcio, distruggendo
sistematicamente a pallonate tutte le bocce di vetro delle illuminazioni della
galleria, anche quando queste venivano ripristinate, soprattutto in occasione
di sfilate di moda. Per impedire vandalismi ed un degrado maggiore, di notte la
Galleria non era accessibile, venendo chiusi i suoi cancelli. Ciò non impediva
il degrado.
Il suo recupero
Nel 2007-2008 la Galleria è stata radicalmente
restaurata, e resa di nuovo accessibile al pubblico a partire dal giugno 2009. In attesa di una
destinazione più consona degli spazi interni alla struttura, attualmente un
servizio di guardiania stabile impedisce un suo nuovo degrado, sia di giorno
che di notte, allontanando tanto dal suo interno che dai portici antistanti sia
i ragazzini che i senzatetto.
Nell'aprile 2009, in prossimità della
conclusione dei lavori di restauro, l'intervento eseguito sui basamenti in piperno dei portali d'ingresso, verniciati con
pitture di colore nero, è stato oggetto di un acceso dibattito che ha coinvolto
le principali testate giornalistiche locali, la ditta esecutrice e il comune di
Napoli.[3]
Nel 2013 tre associassioni cittadine diverse
hanno occupato alcuni uffici chiusi da anni, nello scopo di permettere
un'adeguata fruizione della galleria.
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