martedì 31 luglio 2018

PER UN “MAGNIFICO MIRABILE MISTERO” CARMINE LANTRICENI DIVENTA PROCIDANO


PER UN “MAGNIFICO MIRABILE MISTERO” CARMINE LANTRICENI DIVENTA PROCIDANO

22.03.2015 | 12:43 PM
Redazione | A poco meno di due settimane dall’evento clou delle manifestazioni procidane, e cioè la processione del venerdì santo, accade – come ormai purtroppo da consuetudine –  che sull’isola di Arturo, venga presentato un libro, un volume che descriva o illustri l’evento. Quest’anno ad arricchire il palcoscenico editoriale troviamo un libro dal titolo “Magnifici Mirabili Misteri” edito da Squilibri –  una raccolta di foto e testi che ripercorre la tradizione delle festività pasquali sull’isola di Procida.
Autori dell’opera la dott. ssa Paola Pisano e il professore Universitario Alberto Baldi, Docente di Antropologia culturale e di Etnografia visuale alla Federico II.  Il libro come si legge nelle nota a margine è il frutto di due anni di lavoro, “cerca di cogliere in una prospettiva antropologica gli investimenti di una popolazione procidana che, a differenti livelli di coinvolgimento, individua nella lunghissima, lucente e sfinente processione un’opportunità di riaffermazione identitaria, attentamente declinata e giocata su molteplici e diversi piani.”
Il volume verrà presentato presso alla Congrega dei Turchini domenica delle Palme, con tanto di ospiti, professori e quant’altro.  Peccato. però dover notare che nel libro c’è un abbaglio macroscopico, frutto di disattenzione e di poca conoscenza della materia o addirittura di negligenza.
Nelle more di quanti scritto dagli autori è evidente un errore – per non dire orrore – che se non corretto stravolgerebbe di tutto l’intera opera che, comunque, da una superficiale lettura, appare tutto sommato leggibile.
Nello specifico in due distinti punti del libro – tra le righe –  si legge: “La statua lignea del Cristo Morto, esposta nella chiesa di San Tommaso D’Aquino. Risale all’anno 1728 ed è opera di un esperto intagliatore procidano, legato all’ambiente artistico e presepiale napoletano: Carmine Lantriceni”.
Nel capitolo centrale che parla proprio della Statua del Cristo Morto gli autori esordiscono: “Il Cristo Morto è una statua lignea risalente al 1728, opera del procidano Carmine Lantriceni che, oltre ad essere un esperto intagliatore, era un conosciuto pastoraio, ecc ecc “.
Ovviamente niente di più falso si è mai sentito o mai letto su Carmine Lantriceni, almeno da scrittori, professori o esperti della materia.
In verità Carmine Lantriceni non era di Procida, né tantomeno un intagliatore, ma bensì uno scultore e soprattutto era napoletano.  La storia dell’arte ne ha ricostruito negli anni con grande zelo, tutta la sua opera di artista. Gli stessi studiosi che l’anno scorso si riversarono sull’isola di Arturo per un’interessantissima “tavola rotonda” sul valore storico ed artistico- iconologico del Cristo morto  ( Intervennero lo storico procidano e scrittore Giacomo Retaggio, il  prof. Elviro Langella dell’Università di  Catania, la prof.ssa  Anna Iozzino nota critica d’arte Romana, l’arch. Franco Lista esperto in restauro e Sergio Zazzera)   attribuiscono alla capaci mani del Lantriceni, non solo il Cristo Morto procidano, anche il busto di San Giovanni Battista sull’altare maggiore della parrocchiale di Massaquano, presso Vico Equense, la statua della Madonna delle Grazie che si conserva nell’omonimo convento di Montesarchio, nel Beneventano; i busti, riccamente intagliati nelle basi, dei Santi Filippo e Giacomo, datati 1715 e conservati sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Diso, in provincia di Lecce; e, ancora, nella lontana Cartagena, in Spagna – dove sarebbe pervenuto direttamente da Napoli, tra il 1720 ed il 1725 – un monumentale gruppo della Pietà per la locale chiesa della SS. Vergine della Carità, la statua della Pietà che si trova a Frattaminore in provincia di Napoli. E chissà quante altre opere di quegli anni.
Insomma tutt’altro che una specie di mastro falegname procidano come è scritto erroneamente nel libro. E allora la paternità, la conoscenza dell’autore, assume fondamentale rilevanza perché l’opera nata dalle sue mani (Cristo Morto )risulta essere l’elemento centrale della processione del Venerdì Santo.



Centrodestra, ore contate


Da "IL GIORNALE"




Centrodestra, ore contate

Forza Italia annuncerà il no a Foa, trappola di Salvini

È surreale vedere gli ex lottizzatori della Rai (soprattutto il Pd), lamentarsi della lottizzazione in corso e gli ex fustigatori della lottizzazione altrui (Cinque Stelle e Lega) lottizzare a mani basse.








Quando gira la ruota, si invertono le parti: chi fino a ieri stava in alto con bella vista e aria fresca ora si ritrova sotto, escluso dal godimento. E viceversa. Altro che rivoluzione, il sistema resta esattamente lo stesso: chi è al comando decide in base ai suoi interessi, chi è all'opposizione protesta. E tutti hanno la memoria corta, qualcuno cortissima. Tipo Di Maio, che dava dei camerieri ai direttori Rai solo perché scelti dal premier Renzi e tipo quest'ultimo che dal governo mise amici ovunque ed epurò dagli schermi chiunque non fosse allineato ai suoi voleri.
Tanto baccano ma in fondo stiamo assistendo, con formazioni diverse, solo a una nuova partita di un gioco antico, collaudato e immutabile, direi una delle poche certezze di questo Paese, qual è il controllo della Rai. Ma questa volta c'è una piccola novità che aggiunge un po' di suspense e forse addirittura un colpo di scena. È il caso di Marcello Foa, e non mi riferisco al valore del collega (molti di voi lettori lo ricorderanno come penna importante e autorevole di questo giornale fino a pochi anni fa) ma alla anomalia della procedura con cui Matteo Salvini lo ha indicato come candidato unico alla presidenza Rai. Il leader della Lega infatti si è dimenticato - diciamo così - di consultare, o quantomeno avvisare della scelta, i suoi alleati di centrodestra che sulla vicenda peraltro non hanno un ruolo passivo, tanto che il loro voto in commissione sarà indispensabile nei prossimi giorni affinché Foa diventi effettivamente presidente della Rai. Forza Italia, ovviamente, non ha gradito lo sgarbo di apprendere solo dalle agenzie di stampa una notizia delicata e rilevante e sentirsi poi dire dall'alleato: «Taci e vota come dico io».
Senza il «sì» di Forza Italia difficilmente Marcello Foa sarà eletto e a tutt'oggi il via libera non è arrivato. Ma in queste ore in ballo c'è ben altro, cioè la permanenza in vita almeno formale (quella sostanziale è già andata a ramengo con la formazione del governo gialloverde) della coalizione di centrodestra. Matteo Salvini non è un dilettante della politica né uno sbadato. Escludo quindi che il caso Foa sia uno spiacevole ma banale incidente diplomatico. Ho l'impressione che Salvini abbia volutamente usato questa scortesia per mettere Berlusconi ulteriormente all'angolo del ring. Se Forza Italia, dopo essere stata umiliata, accetta l'imposizione si autocondanna alla subalternità irrilevante e definitiva. Se viceversa Berlusconi stopperà, come pare, la nomina di Foa, Salvini dichiarerà finita la coalizione di centrodestra per colpa - ovviamente mentendo - non sua. Insomma, un incidente creato ad arte per trarne ulteriori benefici. Si chiama la «mossa del cavallo» e consiste, cito lo Zanichelli «in una iniziativa abile e inattesa, che permette di liberarsi da un impedimento o di uscire da una situazione critica».
È evidente infatti che Salvini, diversamente dagli impegni presi in campagna elettorale, guarda a Di Maio e non a Berlusconi come socio presente e futuro e ha necessità di scaricare definitivamente i vecchi alleati. Per rompere gli serve un alibi. Marcello Foa, mi spiace per lui che si sta facendo usare, è perfetto. E siccome la leggenda dice che «quel che succede in Rai succederà nel Paese», prepariamoci alla fine del centrodestra come esperienza politica. Visto come stanno le cose non è un male. Perché la ruota gira sempre, e chi oggi è sopra può solo sperare di rallentarla, non di fermarla.

Commento
Caro Sallusti, non finirà soltanto il CENTRO DESTRA ma finirà anche il governo non appena si sapranno i risultati dei provvedimenti adottati.
Molti hanno dato il voto aspettandosi di vivere di provvidenze, altri di occupare un posto qualsiasi che produca o non produca e con la vista corta di Di Maio a corto di visione economica facciamo festa con i fichi secchi. Se il provvedimento produrrà più disoccupazione andremo alle urne molto presto con l'incogniti di sostituti assenti e derelitti che qualcosa aveveano fatoo dando una qualche stabilità al paese.
Se Berlusconi non avesse sponsorizzato RENZI, se Berlusconi non avesse sponsorizzato Salvini, Se Berlusconi.....Se avesse agito con la testa e non con altre parti del corpo avremmo avuto forse un altro  padre della patria. Aveva già realizzato quello che voleva, ma volendo strafare ha fatto male come fanno male quelli che adoperano altri organi del proprio corpo al posto del cuore e della testa. Saluti Gioacchino Ruocco

lunedì 30 luglio 2018

NICOLA ABBATINO per un ricordo duraturo



Nicola Abbatino ha condiviso un post.
1 h
Antonio de Gregorio
 Ciao Papà i tuoi figli ti ameranno sempre.
Per chi vuole salutarlo per l'ultima volta potete vederlo nella sala mortuaria oggi dalle 7 alle 17. Mentre i funerali si svolgeranno mercoledì ma ancora non sappiamo nulla.
Commenti
Nicola Abbatino Posso dire un vero e raro amico ciao antonio
Gestire


Rispondi1 h
Gioacchino Ruocco Un dolore inevitale, ma da non sottovalutare. Le mie condoglianze e quelle del GRUPPO RUOCCO TRIBù Gioacchino Ruocco
Gestire


Rispondi1 min

giovedì 26 luglio 2018

La rivincita dei piccoli Borghi


LA RIVINCITA DEI PICCOLI BORGHI

   
 Certe cose accadono quando l'arte contemporanea ti segue ovunque, e arriva dove meno te l'aspetti. Vi proponiamo un viaggio nella provincia aquilana. Destinazione Pereto andrea rossetti 
 
La rivincita dei piccoli borghi
pubblicato 

Pereto, provincia de L'Aquila, quasi al confine col Lazio, uno dei tanti paesini pittoreschi che rendono altrettanto pittoresco agli occhi del mondo intero il territorio italiano. Pereto è un borgo arroccato alle pendici dell'Appennino abruzzese, da cui si gode una vista bellissima divisa tra panorami a perdita d'occhio e montagne incombenti. Pereto, evviva. Ma cosa dovrebbe spingerci ad andare tutti lì? Che ci sarà mai a motivare un essere umano, magari anche dalla mentalità molto "urbanizzata”, ad andare in un posto dove la gente assiepata fuori dal baretto e dalle attività limitrofe ti guarda con occhi incerti, che tradiscono un "E chi è questo, che ci viene a fare qui?”, e delle signore sedute mentre chiacchierano dei fatti loro fuori dalla porta di casa con la tipica cadenza abruzzese dicono "Ma questi che vengono a vedere a Pereto, qui ci sono quattro gatti”, riferendosi ad un lungo codazzo di forestieri che lentamente scarpinano tra i vicoli nell'opening più impegnativo della loro vita? Ve lo dice il vostro Exibart, che diligentemente a quella fiumana - a tratti simile ad un esodo biblico - ci si è unito. Pereto fino al 5 agosto si anima (si anima forse è un parolone, più che altro si risveglia dolcemente, in linea coi suoi ritmi e possibilità) grazie a Paola Capata, Delfo Durante e Saverio Verini, che in questo borgo hanno trovato il teatro giusto per una pièce i cui protagonisti sono territorio ed arte contemporanea. Pereto ha l'identità storica, morfologica e sociale giusta, il suo essere fuori dal tempo abbinato all'essere a tempo dell'arte contemporanea crea uno spezzato di gran classe. Il nome del progetto poi, Straperetana, prelude già a qualcosa d'ambizioso.

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Straperetana – installation view – photo Andrea Rossetti

Capata e Durante ci hanno messo l'idea, Verini la curatela, e se Straperetana nell'edizione 2018 - la seconda – funziona, non lo deve sicuramente al pruriginoso e stra-noto format dell'incontro antico/moderno, ma allo sforzo di creare un'interazione tra parti in causa che non appaia mai pretestuosa, anche al netto di qualunque sacrosanta critica si possa muovere. Ovvio che se su un totale di diciassette nomi ne porti anche qualcuno tosto ed altisonante la strada verso il successo sarà sicuramente meno tortuosa delle stradine di Pereto. Dal mucchio estraiamo subito quello di Flavio Favelli, che in Straperetana lancia il guanto di sfida alla street art, convinto che questa «Non debba avere il monopolio». Per noi è l'eroe di Straperetana, anzi se questa fosse una gara a premi sarebbe il nostro vincitore: il suo site specific è perfetto nel profanare un muro di Pereto per riprodurre l'intestazione del mitico "settimanale di politica, attualità e cultura” Oggi, datato 29/10/1986 e dal prezzo di ben duemila lire, un elemento che, racconta, «Avevo isolato tre-quattro anni fa». Ma il golden mid-career vincerebbe anche solo per le buone intenzioni dimostrate nello svelare che «In lizza per il progetto c'erano un Gente, oppure un Sorrisi e Canzoni con fondo oro, poi assieme al proprietario del muro abbiamo scelto questo». Una stretta di mano virtuale e sincera all'abitante di Pereto in questione per quelle quattro lettere rosse ombreggiate di nero, cubitali ed inconfondibili, che a affondano negli anni Ottanta per intrappolare un senso di «Sfasatura temporale», per dirla con le parole di Verini. Affezionato cliente dei ritorni dal passato, Favelli in questo caso lavora sul tempo con diverso spirito, servendosi dell'ambiguità che in noi crea quell'immagine/parola, indicando il presente, un decennio epocale, anzi un giorno ben preciso di un oggi che paradossalmente oramai è ieri, con la striscia che annuncia l'inserto dedicato alla "bella provincia italiana” ad aumentare la pertinenza dell'intervento e, perché no, a costituire una sviolinata abruzzese. Flavio comunque sappi che aspettiamo il Sorrisi e Canzoni, ci contiamo. 
Gli altri partecipanti hanno una curva di "nazionalpopolarità” nettamente più bassa del flavione nazionale, intendendo il termine "nazionalpopolare” non come un marchio negativo. Corrono sul pezzo, alcuni anche in maniera molto radicata nell'ambiente come Francesco Alberico ed i suoi tirafumo in salsa "umanoide”; è che semplicemente possono risultare meno calati nella parte e più sulle loro, adattati più che adatti alla struttura espositiva di un percorso in cui «Passando da un'opera all'altra si entra in contatto col borgo» come asserisce Verini, a volte giocandosi la presenza come protagonisti di un classico effetto di evangelizzazione contemporanea in un luogo di miscredenti. È il caso di fare un secondo nome, quello di Alfredo Pirri. Un nome col botto, ma che a Pereto non buca lo "schermo” con la sua Bandiera per il Tasso, treccia tricolore troppo autarchica, troppo effetto ci sono-ma è come se non ci fossi-ma che ci sto a fare attaccata alla chiesa di San Giovanni. Poi l'artista non si discute, il lavoro in sé nemmeno, però il rapporto opera-contesto non va molto oltre il suo essere un'opera presa dalla facciata del liceo romano e spostata in altro contesto. Sarà per l'aver lavorato ad un site specific che si confonde con le migliaia di lucine natalizie da esterno (fateci caso, ormai è natale tutto l'anno) amate dagli italiani, ma Lorenzo Kamerlengo coi suoi neon che descrivono sinteticamente l'orografia di Pereto, appesi sulla parete di un balcone, entra meglio in sintonia col posto e con l'evento. Pur essendo un re della dissimulazione tattica al pari di Pirri, Kamerlengo dimostra uno spirito di adattamento più allineato a questa Straperetana. 

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Straperetana – installation view – photo Andrea Rossetti

La strada è lunga, tocca marciare tra i vicoli per rendersi conto che a Pereto - come del resto molti altre piccole realtà italiane - la presenza viva delineata dai gerani rigogliosi e dagli odori di cucina si scontra con l'assenza indicata dai numerosi cartelli "vendesi” sparsi in giro. Finché non si raggiunge la meta, piazza San Giorgio con Palazzo Iannucci, location su tre livelli che tutti i curatori un po' amanti delle sfide vorrebbero gestire. In prima riga sul posto ci sono Matteo Fato e la sua pittura en plein air di nuova generazione, in un'imponente tela che ripropone in chiave astratto-espressionista la medesima vista godibile dalla piazza. Fato è abruzzese, di Pescara per esser precisi, e combina bene la personale rielaborazione di un segno pittorico forte, alla Munch, col poliglottismo di una visione che per esser recepita non ha bisogno di un dizionario specifico. È una delle chicche di Straperetana. 
Ma quale sfida propone un piccolo palazzo di paese? Quella di essere un'abitazione abbandonata ma con un suo tessuto vitale ancora leggibile, all'interno del quale Verini dice esplicitamente «Abbiamo evitato di toccare qualsiasi cosa». Di presentarsi non come una location per come la intende chi lavora nel settore del contemporaneo, piuttosto una concatenazione di ambienti in cui sono ancora belli evidenti i segni di un passato non del tutto passato, dagli scantinati pieni di oggetti ammassati agli ambienti domestici ad uso personale, dove diventare ospiti incomodi è molto facile. In cucina ad esempio, al primo piano, tra un souvenir di Trieste ed una vetrina ancora piena di oggetti utili (che a loro volta segnano e raccontano il tempo, come uno schiacciapatate in alluminio o uno spremi agrumi in plastica), in un ambiente che però pare fatto apposta per essere occupato ancora da Favelli, stavolta con delle ibridazioni in ceramica che sono il suo cavallo di battaglia. O in camera da letto, dove il tempo è passato tra un'abat jour svirgolata ed oggettini vari, foto con Papa Wojtyla e santini disposti a creare altarini su un comò. Tra specchi che di storie ne hanno riflesse a iosa e nei quali è ancora possibile guardarsi, facendo attenzione a non inciampare nella poesia malinconica che Francesco Arena presenta qui in anteprima. L'artista pugliese ha avvolto tra copertine di agende tre blocchi di marmo «Unendo temporalità diverse» spiega Verini, producendo tre sculturine urlanti nel loro far incontrare l'oggetto di produzione umana profondamente coeso col suo tempo e votato al "deperimento”, se non altro funzionale (di un’agenda del 1978 oggi non sapremmo che farcene), ed elementi naturali destinati a sopravvivere, a scavalcare il tempo stesso. Il lavoro è di un certo peso e spessore (non solo materiali), ci sta, ma è sul confine ad un passo dall'essere ospite indesiderato/elemento spurio in una sede che fagocitandosi nei suoi spazi non perdona distrazioni. 

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Straperetana – installation view – photo Andrea Rossetti

È una dura legge a cui non scappano nemmeno gli artisti più cool, e se Arena può ricorrere in appello, per l'artista-cestista Roberto Fassone è condanna in via definitiva: la video installazione Ball don't lie è un onorevole prodotto che non intavola alcun discorso con quello specifico habitat.
Sempre più in alto, verso la vetta di questa Straperetana che è Piazza Maccafani, dove nell'omonimo Palazzo si trovano quattro nomi degni del loro ruolo di artisti intervenuti a Pereto: Nicola Samorì, Thomas Braida, Michela De Mattei e Corinna Gosmaro. Ma il nostro sguardo attento si concentra sull'esterno, sulla piazza dove Elisabetta Benassi ha installato Mangiatori di Patate, una Fiat 500 Giardiniera (e non Giardinetta) di un verdone intenso, un'auto con patate (germogliate) sedute lato passeggero. Ipotizzare il dialogo che potrebbe scaturirne - "Toh, guarda questi paesani che parcheggiano la macchina in mezzo”, "Ma no questa è arte contemporanea” - è andare a parare su una situazione che non ci piace, e che si verifica quando l'arte contemporanea è un'espressione dopata da un potere empatico-mimetico utilizzato come fosse una scorciatoia, una corsia preferenziale per far arrivare macchinosamente l'azione concettuale a viaggiare sulla stessa lunghezza d'onda dell'emotività. Ed a viaggiarci talmente bene, troppo bene, da superarla. E dato che siamo in paese, culla della saggezza popolare, riesumiamo l'antico adagio "chi troppo vuole nulla stringe” come pretesto per interrogarci sull'opportunità di quest'intervento, e se un certo modo di approcciare l'arte contemporanea non riempia di autoreferenzialità - più che di patate - quell'icona del passato, utilizzandola come un cavallo di Troia alla conquista di Pereto. Mentre state leggendo l’hanno già tolta di lì, essendo prevista unicamente per la giornata dell'inaugurazione. Certo però che il dubbio resta.

Andrea Rossetti

L'eclissi di Luna più lunga del secolo

  

L'eclissi di Luna più lunga del secolo

Pronti per l'eclissi totale di Luna più lunga del secolo? 

Darà spettacolo dalle ore 21 di venerdì 27 luglio all'1:30 di sabato 28, con una fase di Luna rossa: mandate le vostre foto migliori a Focus - e anche al sito dell'INAF.

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Eclissi di Luna: un'immagine composita dell'inizio, della pienezza e della fine di una fase di totalità (2004).|FRED ESPENAK, VIA APOD/NASA
Le notti d'estate si prestano per definizione ad essere trascorse col naso all'insù, ma la sera del 27 luglio riserva un appuntamento davvero imperdibile: quello con l'eclissi totale di Luna più lunga del secolo. La fase di totalità (chiamata "di massimo oscuramento") durerà infatti 1 ora e 43 minuti (poco meno del massimo teorico possibile, di 1 ora e 47 minuti); l'intero fenomeno, dall'inizio dell'oscuramento al ritorno del disco lunare alla sua luminosità completa, durerà invece quasi 4 ore.

eclissi di Luna 27 luglio 2018
Mappa del cielo verso sud alle 22:21 del 27 luglio, realizzata con il software Stellarium(gratuito). Clicca sull'immagine per ingrandirla.
DOVE E QUANDO. Il fenomeno sarà visibile al massimo splendore nell'emisfero orientale, e in Italia potremo ammirarlo quasi nella sua interezza. Inizierà pochi minuti prima delle 21:00, quando la Luna sorgerà a sud-est, già nel cono d'ombra della Terra, che si troverà posizionata esattamente tra il Sole e il nostro satellite. La fase di totalità sarà tra le 21:30 e le 23:13, con il momento di massimo oscuramento alle 22:22. Per la fine dell'eclissi occorrerà rimanere svegli fino all'1:30 del mattino del 28 luglio.

LUNA ROSSA. Nel clou dell'evento, la Luna apparirà rossa per il modo in cui la luce solare viene rifratta quando attraversa l'atmosfera terrestre. Le lunghezze d'onda più lunghe, quelle del blu e del viola, si diffondono più di quelle più corte (rosso-arancio). Le prime si "sparpagliano" in tutte le direzioni, e sono responsabili dell'apparente colore blu del cielo, mentre le seconde vengono riflesse dalla Terra alla superficie lunare, che appare quindi illuminata da una luce, sempre indiretta, che ha però già attraversato l'atmosfera terrestre e che perciò appare rossastra.
eclissi di Luna 27 luglio 2018
Eclissi di Luna a Venezia (2004). | SIMONE PADOVANI/XIANPIX/CORBIS
PERCHÉ LA PIÙ LUNGA?Durante l'eclissi del 27 luglio, la Luna si troverà in apogeo, ossia alla massima distanza dalla Terra (poco più di 400.000 km). Come ricorda il sito dell'INAF, in questo tratto dell'orbita i corpi si muovono più lentamente (il moto è descritto dalla II legge di Keplero), perciò si prolunga il tempo di transito nel cono d'ombra proiettato dalla Terra.

Inoltre, in quest'occasione l'allineamento tra Sole, Terra e Luna sarà praticamente perfetto: la Luna passerà al centro del cono d'ombra creato dalla Terra, e non al limitare di esso. Anche per questa ragione il transito durerà più a lungo.

Infine, a luglio la Terra raggiunge il punto di massima distanza dal Sole (afelio), che di conseguenza appare più piccolo nella volta celeste; perciò, il nostro pianeta proietta un'ombra più lunga, nella quale la Luna si muove più lentamente. Ecco perché le eclissi più lunghe tendono a verificarsi quando nell'emisfero settentrionale è estate.

IN OTTIMA COMPAGNIA. L'eclissi di Luna si può osservare e fotografare a occhio nudo senza i rischi che comporta un'eclissi di Sole. Il sito dell'INAF ha predisposto su Tumblr una pagina per condividere le foto del fenomeno (anche quelle da cellulare e non professionistiche).
Ad accompagnare nelle inquadrature questa lunga eclissi ci saranno anche Venere, Giove, Saturno e Marte. Quest'ultimo sarà particolarmente ben visibile - per le ragioni che abbiamo spiegato qui - dopo le 21, poco al di sotto della Luna in eclissi.