lunedì 8 giugno 2015

Le fragole del Baltico

9/6/2015

Le fragole del Baltico

CAREOF - DOCVA, MILANO

Nata come complemento del padiglione Lettonia all'Expo di Milano e sopravvissuta alla sua cancellazione, la mostra propone i lavori di 10 giovani artisti con opere recenti o create appositamente: pittura, scultura, video, fotografia e suono.

COMUNICATO STAMPA
A cura di Simone Menegoi e Zane Onckule 

Le fragole del Baltico è una rassegna di arte contemporanea lettone. Inizialmente progettata come complemento del padiglione della Lettonia all’Expo di Milano, è sopravvissuta alla sfortunata cancellazione del padiglione all’ultimo momento. 

Le fragole del Baltico presenta una selezione di dieci artisti, per lo più nati intorno al 1980, quasi tutti al loro esordio in Italia: Ēriks Apaļais, Jānis Avotiņš, Ieva Epnere, Kaspars Groševs, Ieva Kraule, Inga Meldere, Daria Melnikova, Ieva Rubeze, Krišs Salmanis and Ola Vasiljeva. La mostra non cerca la propria unità in un medium o in una tesi; si è formata a partire dal lavoro degli artisti. 

La sua cornice complessiva è semplicemente quella di una presentazione di opere recenti, già esistenti o create appositamente per la mostra, che abbraccia senza soluzione di continuità personalità artistiche distinte e media diversi: pittura e scultura, video e arte applicata, fotografia e suono. Il titolo, la cui ambizione è di essere al tempo stesso poetico e ironico, è stato suggerito dalla vaga (e vagamente esotica) percezione dei Paesi baltici in Europa meridionale come di contrade gelide, sotto i cui cieli grigi un frutto come la fragola non potrebbe mai maturare. Di fatto, le fragole e altri berries rallegrano regolarmente le tavole dei Lettoni dall’inizio dell’estate fino a tutta la ricca stagione autunnale; e l’arte contemporanea, che, a parte uno o due nomi, spesso neppure collegati al loro paese d’origine, è poco nota in Italia, è altrettanto vitale e presente. 

Se la mostra non ha una tesi o un medium a fare da cornice, è nondimeno abbastanza compatta, e non solo in termini anagrafici. Rispecchia un gusto; il gusto dei curatori, naturalmente, ma anche un gusto più elusivo e difficile da definire, condiviso dalle ultime generazioni di artisti lettoni. Alcuni elementi tendono a ripresentarsi, benché in forme molto diverse. Ad esempio, un’inclinazione a rivisitare il passato, sia esso personale e familiare o storico, come nei dipinti e nelle piccole sculture in gesso di Inga Meldere, che evocano vivaci storie brevi, o nella serie di fotografie di Ieva Epnere che raffigurano studenti che portano fiori ai loro professori il primo Settembre, obbedendo a una consuetudine nata in epoca sovietica. Un forte sentimento del paesaggio, del tempo atmosferico, dell’alternanza delle stagioni, che si ritrova in alcuni degli arguti, ingegnosi video di Krišs Salmanis. 

Una malinconia diffusa, che aleggia nei dipinti rarefatti e meditativi di Ēriks Apaļais e nei disegni di Jānis Avotiņš, cartoline anonime da località misteriose, affiancati dal dipinto di una coppia spettrale. Un particolare tipo di humour, impassibile e leggermente assurdo, un esempio del quale è l’antologia video di “guaritori televisivi” lettoni degli anni Novanta associata a una colonna sonora di rumore bianco, realizzata da Ieva Rubeze. Il gusto per la decorazione, le arti applicate e per tutto ciò che è fatto a mano, che accomuna la tuta da ginnastica fatta a maglia da Kaspars Groševs, concepita come abito da inaugurazione; l’allestimento creato da Ieva Kraule per un banchetto da fiaba, con piatti di ceramica che raffigurano facce di commensali da cartone animato e stoffe dipinte con motivi di dolciumi; l’interpretazione letterale di Daria Melnikova della misura e della (de)composizione con immagini bruciate e tuttavia intatte, una ciotola di ceramica rotta già all’origine, o un foglio di carta quadrettata disegnato a mano. E infine un’elusiva idea di domesticità, così come la disegnano le costellazioni di oggetti di Ola Vasiljeva, punteggiati di buffe gag: una porta che diventa una lavagna da un lato e una bacheca dall’altro, due assemblaggi di gusto dada che includono scarpe di vetro, un tappeto bianco su cui è preferibile non camminare, ma disegnato con motivi di scarpe. 

Immagine: Kriss Salmanis,why i am not a vegetarian, 2007 

Inaugurazione: 9 giugno, accompagnata da una performance di Kaspars Groševs 

Careof 
via Giulio Cesare Procaccini, 4, Milano 
Apertura: lunedì - venerdì 
11:00 - 19:00

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