pubblicato lunedì 29 agosto 2016
Una lunga diatriba legale ha infuocato l’estate dell’arte, protagonista l’artista scozzese Peter Doig. Per raccontarvi la storia completa dobbiamo tornare indietro a 40 anni fa, quando un impiegato di una casa di correzione in Ontario acquistò per 100 dollari il dipinto incriminato da un carcerato, un tale Pete Doige, il cui nome è visibile sul retro della tela.
L’ufficiale della casa di correzione, Robert Fletcher, nel 2013 decise di vendere l’opera attraverso il gallerista di Chicago Peter Bartlow, quando Doig fu informato della vendita dichiarò che non era lui l’autore di quel quadro. La reazione del gallerista e del proprietario della tela è stata una causa contro il pittore, accusato di dire il falso nel negare la paternità del dipinto. Così ha preso il via il lungo processo che si è concluso pochi giorni fa dopo una settimana di testimonianze. Oltre a quella di Doig stesso, risolutiva è stata la mossa dei suoi legali che hanno affermato che l'opera in questione fu dipinta da un altro uomo, Peter Edward Doige, morto nel 2012. Una delle sorelle di Doige ha fornito la prova al processo che suo fratello era un detenuto presso il centro correzionale, che amava dipingere e che la firma sul lavoro era la sua. A confermarlo un ex insegnante di arte al centro correzionale, che ha ricordato che il dipinto di Doige fu realizzato durante cinque settimane tra il 1976 e il 1977.
Il pittore scozzese però ha dovuto dimostrare di non essere stato in carcere, fornendo documenti che provavano la sua presenza sulle piattaforme petrolifere in Canada occidentale, e ha affermato stizzito che: «il fatto che un artista vivente debba difendere la paternità del proprio lavoro in tribunale non sarebbe mai dovuto accadere», e che nessuno degli argomenti dell’accusa poteva reggere di fronte alla sua testimonianza. Il caso si è concluso con una vittoria schiacciante di Peter Doig, dopo mesi e mesi di lotte, che l’artista ha voluto e potuto portare a termine, fungendo così da precedente per tutti gli artisti che spesso si trovano coinvolti in casi simili. Il lieto fine c’è, ma nessuno è felice e contento, né Doig, infastidito dalla faccenda, né i querelanti, che affermano di voler ricorrere in appello.
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