Notizie
Articolo uscito oggi su "La città di Salerno". Grazie a Gennaro Avallone che lo ha scritto e ce lo ha inviato.
IL BEL MARE NON È PER TUTTI LE SPIAGGE BARRIERE SOCIALI
Andare al mare a Salerno è cosa ormai da benestanti, a meno che non si scelga di costringersi in piccole spiagge residuali, spesso non pulite e mal tenute. Questo accade nel comune capoluogo, dove anche chi abita nei pressi della costa è spesso impossibilitato a raggiunge la sabbia se non a pagamento, a vantaggio degli stabilimenti balneari presenti, ma è una condizione che si va diffondendo anche nel resto della provincia. Si tratta di una situazione ormai consolidata in Costiera amalfitana ed in espansione in alcune aree di quella cilentana, ad Agropoli, ad esempio, ma anche a Palinuro e, in maniera meno estrema, in diverse altre zone della costa.
Non è un caso che proprio questa estate una canzone è stata promosse e si sta diffondendo su questo tema: evidentemente, la misura è colma. Si intitola Spiaggia libera e la canta il gruppo rap romano Assalti Frontali. In questa canzone si fa riferimento, tra altri, al caso di Marina di Camerota, anche esso con accessi liberi limitati al mare, manifestazione di un fatto più generale lungo il territorio nazionale, in cui accade che "cerco la spiaggia libera a Camerota a Orbetello al Poetto, giro i quattro mari non ne è rimasta che un pezzetto, adesso un guardiano seduto all'entrata chiede il biglietto e dice: paga, la zona è privata". Localmente, il caso di Vietri sul mare è tra quelli più emblematici. Qui una piccolissima lingua di sabbia libera è costretta tra alcuni stabilimenti balneari che hanno occupato quasi l'intera superficie disponibile, giungendo a chiuderla con recinzioni che raggiungono praticamente il mare. Ciò che si produce è un effetto claustrofobico di chiusura e separazione spaziale, che diventa specchio, tra l'altro, di distinzioni sociali e di classe che, anche in spiaggia, tendono a riprodursi. Anzi, qui tendono addirittura ad accentuarsi. Come se fosse più bello un mondo in cui chi paga gode della bellezza e chi non vuole o non può pagare deve accontentarsi, stare nel suo angusto angolino, non riconoscendo che, ormai, "i recinti hanno le rughe". E tutto questo accade proprio in spiaggia, dove si va a fare il bagno, a giocare con i bambini e le bambine, a passare del tempo in compagnia o per qualche ora di pausa, ritrovandosi a fare esperienza delle disuguaglianze e dei vincoli di un modo di vivere fondato sulle gerarchie tra chi può spendere e chi non può (o non vuole), tra l'uso privato dei beni comuni e la loro libera fruizione. Dunque, viviamo in un territorio tanto bello quanto attraversato dalla tendenza a favorire le divisioni di classe e di ceto, arrivando fino al mare, fino alla spiaggia, attraverso l'accaparramento privato di beni indivisibili in quanto comuni, ma che, evidentemente, comuni non sono. O, per meglio dire, non sono comuni secondo le istituzioni locali e nazionali che ne consentono questo uso esclusivo ed escludente, attribuendo concessioni pluridecennali, considerate, spesso, eterne, dai proprietari degli stabilimenti, in cambio, tra l'altro, di pochissimi soldi nelle casse pubbliche. Certo, la questione è nazionale, però a livello locale si può fare molto, intervenendo sulle concessioni e sul rispetto del carattere comune, dunque non privatizzabile, della spiaggia e del mare. D'altronde nello stesso territorio, come, ad esempio, ad Ascea o in altre aree a sud della provincia, esperienze di non invadenza degli stabilimenti si realizzano già. In questi casi la convivenza tra libero accesso al mare e presenza di attività di ristorazione è regolata in modo diverso, rendendo possibile il transito libero, senza pagare, consentendo a tutti di fruire in libertà e tranquillità di qualche ora o giorno spensierato per sé e la famiglia. Ritrovandosi, al di là del portafoglio, in una spiaggia libera, pulita e ben tenuta come liberi e ben tenuti devono essere i beni comuni, comuni come il mare, il sole, il cielo e l'acqua.
Andare al mare a Salerno è cosa ormai da benestanti, a meno che non si scelga di costringersi in piccole spiagge residuali, spesso non pulite e mal tenute. Questo accade nel comune capoluogo, dove anche chi abita nei pressi della costa è spesso impossibilitato a raggiunge la sabbia se non a pagamento, a vantaggio degli stabilimenti balneari presenti, ma è una condizione che si va diffondendo anche nel resto della provincia. Si tratta di una situazione ormai consolidata in Costiera amalfitana ed in espansione in alcune aree di quella cilentana, ad Agropoli, ad esempio, ma anche a Palinuro e, in maniera meno estrema, in diverse altre zone della costa.
Non è un caso che proprio questa estate una canzone è stata promosse e si sta diffondendo su questo tema: evidentemente, la misura è colma. Si intitola Spiaggia libera e la canta il gruppo rap romano Assalti Frontali. In questa canzone si fa riferimento, tra altri, al caso di Marina di Camerota, anche esso con accessi liberi limitati al mare, manifestazione di un fatto più generale lungo il territorio nazionale, in cui accade che "cerco la spiaggia libera a Camerota a Orbetello al Poetto, giro i quattro mari non ne è rimasta che un pezzetto, adesso un guardiano seduto all'entrata chiede il biglietto e dice: paga, la zona è privata". Localmente, il caso di Vietri sul mare è tra quelli più emblematici. Qui una piccolissima lingua di sabbia libera è costretta tra alcuni stabilimenti balneari che hanno occupato quasi l'intera superficie disponibile, giungendo a chiuderla con recinzioni che raggiungono praticamente il mare. Ciò che si produce è un effetto claustrofobico di chiusura e separazione spaziale, che diventa specchio, tra l'altro, di distinzioni sociali e di classe che, anche in spiaggia, tendono a riprodursi. Anzi, qui tendono addirittura ad accentuarsi. Come se fosse più bello un mondo in cui chi paga gode della bellezza e chi non vuole o non può pagare deve accontentarsi, stare nel suo angusto angolino, non riconoscendo che, ormai, "i recinti hanno le rughe". E tutto questo accade proprio in spiaggia, dove si va a fare il bagno, a giocare con i bambini e le bambine, a passare del tempo in compagnia o per qualche ora di pausa, ritrovandosi a fare esperienza delle disuguaglianze e dei vincoli di un modo di vivere fondato sulle gerarchie tra chi può spendere e chi non può (o non vuole), tra l'uso privato dei beni comuni e la loro libera fruizione. Dunque, viviamo in un territorio tanto bello quanto attraversato dalla tendenza a favorire le divisioni di classe e di ceto, arrivando fino al mare, fino alla spiaggia, attraverso l'accaparramento privato di beni indivisibili in quanto comuni, ma che, evidentemente, comuni non sono. O, per meglio dire, non sono comuni secondo le istituzioni locali e nazionali che ne consentono questo uso esclusivo ed escludente, attribuendo concessioni pluridecennali, considerate, spesso, eterne, dai proprietari degli stabilimenti, in cambio, tra l'altro, di pochissimi soldi nelle casse pubbliche. Certo, la questione è nazionale, però a livello locale si può fare molto, intervenendo sulle concessioni e sul rispetto del carattere comune, dunque non privatizzabile, della spiaggia e del mare. D'altronde nello stesso territorio, come, ad esempio, ad Ascea o in altre aree a sud della provincia, esperienze di non invadenza degli stabilimenti si realizzano già. In questi casi la convivenza tra libero accesso al mare e presenza di attività di ristorazione è regolata in modo diverso, rendendo possibile il transito libero, senza pagare, consentendo a tutti di fruire in libertà e tranquillità di qualche ora o giorno spensierato per sé e la famiglia. Ritrovandosi, al di là del portafoglio, in una spiaggia libera, pulita e ben tenuta come liberi e ben tenuti devono essere i beni comuni, comuni come il mare, il sole, il cielo e l'acqua.
Nessun commento:
Posta un commento