domenica 14 febbraio 2016

Il paese che doveva morire si apre al mondo nuovo e scopre di avere un futuro



Gli abitanti fuggivano, poi sono arrivati gli immigrati. “Lezioni di italiano e regole: ora siamo una cosa sola”

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12/02/2016
INVIATO A SUTERA
Dopo quarant’anni di onorata carriera nei licei classici della Sicilia, oggi il professore in pensione Mario Tona farà lezione alla sua nuova classe. Insegna Italiano. «Professore volontario», lo chiamano. Nel senso che lavora gratis. «Ciao a tutti, benvenuti» dice con voce emozionata. 

Gli allievi lo aspettano davanti al Cortile San Nicolò, nel centro del paese. «Questa che vedete è la banca - dice il professore - qui potete depositare i risparmi, spedire soldi a casa, ai vostri genitori. Questo invece è il nostro Comune, cioè siamo noi. Tutti noi. E’ il posto dove cerchiamo di risolvere i problemi. Se camminiamo in questa direzione, venite con me, significa che andiamo in salita. Altrimenti, al contrario, scendiamo giù. Discesa».  

TUTTI IN CLASSE  
La classe - 34 migranti provenienti da Gambia, Nigeria, Pakistan e Nepal - ripete le parole ad alta voce, proprio mentre la signora Carmelina Salomone sbuca dall’angolo per andare ad aprire il suo negozio di alimentari. «Ciao Kufi!». «Buongiorno Shyam». «Ciao Sonna». «Come stai Alex?». Baci e abbracci. La lezione viene sospesa per eccesso d’affetto.  

Questa di Sutera, il paese che ha deciso di aprirsi al mondo per non morire, è una storia che sta arrivando lontano. Pubblicata prima dal settimanale americano Time, poi da un importante quotidiano canadese che ha mandato qui un suo reporter, è la storia di chi, innanzitutto, non vuole tradire se stesso. «Sutera è un paese di emigranti - dice il sindaco Giuseppe Grizzante - nei Sessanta eravamo più di 5 mila abitanti, ora non arriviamo a 1500. I ragazzi partono, sono sempre partiti. Per la Fiat di Torino, per la Necchi di Pavia, per il Nord Europa». Contadini in Inghilterra, minatori in Germania. E dopo tante partenze, a Sutera hanno pensato che fosse venuto il momento di ospitare qualche arrivo. «Nei nostri viaggi, abbiamo sempre sperato di essere accolti in modo dignitoso» dice il professore volontario Mario Tona. «Quello che cerco di fare, il più possibile, è rendere questi ragazzi indipendenti».  



Arrivare a Sutera è una scommessa. Sono 39 chilometri da Caltanissetta, centro della Sicilia. Ma ci vuole un’ora e mezzo di auto. Una strada tutta curve, salite, bretelle iniziate e non finite, greggi al pascolo, mandorli in fiore, fichi d’india, silenzio. Come state, così isolati? «Questo è l’unico problema», dice Chris Richy dalla Nigeria. «C’è solo un pullman alle 5,50 del mattino. Ma qui la gente è buona. Non c’è razzismo. Ci aiutano davvero. E io un giorno, quando avrò trovato lavoro come elettricista, voglio ricambiare quello che stanno facendo per noi». 

L’idea era nata dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, quello dei 366 morti. Ma iniziare non è stato facile. Alcuni anziani del paese avevo espresso molti dubbi e paure. Per superarle, a differenza di quello sta succedendo in molte parti d’Italia, dove i migranti sono confinati in posti periferici e tenuti scientificamente a distanza, qui si è scelta la strada opposta. Regole chiare e massima integrazione. Il Comune mette a disposizione un alloggio per ogni nucleo famigliare, perché la privacy è sacra. Stanno nel centro storico. Nei quartieri antichi che portano nomi arabi, come Rabato e Rabatello. Lavorano come commessi nei negozi di Sutera. Ma forse, il momento in cui si è capito che l’esperimento stava davvero funzionando, è andato in scena poco prima di Natale. Quando proprio il nigeriano Chris Richy, vestito come uno dei Re Magi, ha preso parte al presepe vivente, il grande orgoglio del paese, una celebrazione che porta a Sutera 15 mila persone ogni anno. 


LA POLITICA DEL RICAMBIO  
(Carmelina Salomone, titolare del negozio di alimentari è come una mamma per molti dei nuovi giovani abitanti di Sutera)  

La signora Carmelina Salomone usava la parola «negri» senza neanche rendersi conto: «Con Bridget siamo legatissime. Mi ha telefonato ieri da Padova. Mi ha detto che verrà a farmi una sorpresa. Stavamo insieme in negozio, mi aiutava, facevamo la maglia. Se guardi negli occhi queste persone, ti immedesimi». Il ricambio è incominciato. Le famiglie stanno qui il tempo necessario a capire se verrà accettata la domanda di asilo politico, circa due anni. L’idillio prevede lezioni di Italiano obbligatorie, due corsi alla settimana. E patti chiari: vietato bere alcolici in casa, vietato tenere gli appartamenti in disordine, lavatrici solo in orario serale per ragioni di risparmio. Ad occuparsi di ogni cosa, sono sei operatrici della cooperativa «I girasoli». Una si chiama Mariella Cirami, ha 28 anni e ci mette un mucchio di passione: «Sono molto fortunata - dice - ogni giorno ci confrontiamo con il mondo. Ringrazio per questa opportunità e per quello che sta succedendo qui. I bambini di Sutera sono pochi, ma adesso giocano con i figli dei migranti. Il prossimo nascerà fra un mese». 

Nessuno nega che questa sia anche un’occasione economica. Ogni anno il Comune riceve 263 mila euro per gestire l’accoglienza. Sono posti di lavoro, alloggi affittati che prima erano vuoti, incentivi all’assunzione per i commercianti. Ma è soprattutto vita messa in circolo, come aprire le finestre dopo anni al chiuso. «Stiamo semplicemente facendo quello che altre persone hanno fatto per noi», dice il professor Tona.  

Prima di finire sul Time, Sutera era già famosa per un’altra storia. Quella dell’ascensore «mostro». Un impianto finanziato con 1 milione e 300 mila euro di fondi europei, completato nel 2009 e mai entrato funzione. La speranza era che potesse diventare un’attrazione turistica. La notizia è che la prossima settimana finalmente verrà fatto il collaudo. E forse, davvero, questo vecchio borgo italiano in mezzo al nulla potrà diventare un piccolo barlume di futuro. 

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