Al ritorno da Venezia
Dieter Roth, Solo Szenen. Foto Giulia Ticozzi
Elia e Salomè, incluso nel Liber Novus di Carl Gustav Jung
Rudolf Steiner, disegno su lavagna
Steve McQueen, Static, 2009, 35mm film
transferred to high definition video
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Hito Steyerl, How Not To Be Seen.
A Fucking Didactic Educational .MOV
File , 2013. HD video file, single screen, 14min.
A Fucking Didactic Educational .MOV
File , 2013. HD video file, single screen, 14min.
Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi,
dalla mostra Non non non, Milano HangarBicocca.
Foto di Agostino Osio
dalla mostra Non non non, Milano HangarBicocca.
Foto di Agostino Osio
Camille Henrot, Coupé/Décalé, 2011.
Film 35mm trasferito su Betanum, 5'20''.
Courtesy dell'artista e kamel mennour, Paris
Film 35mm trasferito su Betanum, 5'20''.
Courtesy dell'artista e kamel mennour, Paris
Marino Auriti, Il Palazzo Enciclopedico all'Arsenale,
foto courtesy theartpriest.com
foto courtesy theartpriest.com
Venezia, Tramonto (collezione pubblica).
Foto Alice Pedroletti
t� Z e e hx� ��� re la fantasmagorica frontiera con la follia... (Pubblicata il 10/05/2013)
Foto Alice Pedroletti
1) Piccola
intuizione / ossessione
In treno dopo aver
visitato per circa quattro giorni la 55ma Biennale d’Arte, continuo
a cercare di mettere ordine - proprio quello che mi riesce peggio e che al
curatore Massimiliano Gioni riesce molto bene - nel caos dei miei pensieri e
sensazioni sulla Biennale; contemporaneamente una ragazza, trentenne, mi
racconta di come si lavora, mal pagati e sfruttati, all’interno della grande
macchina Biennale.
A rendere eroica e
impossibile l’impresa di schiarirmi le idee contribuisce una domanda ossessiva
che ha iniziato a compromettere la mia già scarsa concentrazione: in una delle
ultime sale dell’Arsenale, trasformato per l’occasione in uno spazio espositivo
museale (ma non era nato come spazio aperto in contrapposizione proprio ai
padiglioni nazionali chiusi dei Giardini?), ho visto un lavoro straordinario di
Dieter Roth che riconosco perché l'ho già visto, ma dove? Forse era a Documenta
di qualche anno fa? Niente da fare, vuoto assoluto!
Tornata finalmente
a casa crollo in un sonno profondo ma per strane e misteriose vie – proprio
quelle protagoniste di questa Biennale – stamattina, alle otto, ancora in
trance, cerco Dieter Roth nei cataloghi delle due Biennali dirette da Szeemann.
Eccolo: 48ma
Biennale di Venezia, anno 1999! Perché inizio da qui? Cosa mi vuole dire
questa piccola ossessione?
Leggo la scheda
sull’artista riportata nel catalogo Il Palazzo Enciclopedico,
la stessa che era nella sala espositiva (ogni lavoro era corredato da una
scheda didascalica e chiara sull’artista e il lavoro esposto). Dieter Roth,
Hannover 1930- Basilea 1998, un testo chiaro, davvero ben fatto, di circa due
cartelle sulla passione di Roth per le rovine e i rifiuti che si estende fino a
incorporare l’immagine stessa dell’artista, etc etc .
Nell’ultima parte
si spiega l’opera esposta, Solo Szenen, imponente scultura composta
da 131 televisori che monitora l’attività quotidiana dell’artista, nei minimi
dettagli della vita quotidiana, durante un periodo di convalescenza trascorso
negli ultimi anni di vita, “l’opera nega sia la narrazione, sia l’intimità di
un autoritratto, ma offre un’intera vita senza gerarchie o parti noiose
tagliate” (pagina 410).
Poi leggo la
scheda/testo pubblicata nel catalogo della Biennale del 1999 dAPERTutto:
“Poco prima della sua morte è stata realizzata una ripresa totale della sua
vita simile a un arazzo mobile. Un anziano re dell’arte processuale ci fa
vedere come autosorveglianza e documentazione si trasformano in mediazione e
poesia.” E ancora: “Così in tutti quegli anni portò le facoltà di vedere,
udire, leggere e perfino l’odorato e il tatto, così come sono educati nell’uomo
civilizzato, alla totale sregolatezza…”.
Varrebbe la pena
di trascrivere l’intero testo per quanto è emozionante e capace di trasmettere
tutta la complessità del lavoro di questo artista. Certo è scritto da Szeemann!
Il catalogo della Biennale dAPERTutto non conteneva testi
teorici ma solo una premessa visionaria di e alla Szemann(dApertutto
nell’ordine delle sue autorealizzazioni) e schede sugli artisti curate
da intellettuali, critici, e artisti stessi: in breve le opere e gli artisti e
non le opere ridotte a immagini che illustrano un testo o una teoria. Ma il
punto non è questo.
Quello che con
questo esempio riesco a mettere pienamente a fuoco, di prima mattina dopo le
giornate estenuanti e umide veneziane, è la differenza tra svolgere un buon
compito, una ricerca ben fatta su un tema come molti bravi studenti sanno fare
(e ovviamente sulla validità di questa ricerca si potrà discutere a lungo nei
prossimi giorni), e la capacità di trasmettere vita, suggerire una dimensione
davvero reale dell’arte, insieme a emozioni, intuizioni, aperture e connessioni
che rivoluzionano, indagano e aprono nuove prospettive sulla realtà contemporanea.
2) Campanello
d’allarme
Sono sempre stata
affascinata dalle tematiche legate al collezionismo e alle Wunderkammer, così
sono andata all’inaugurazione senza preclusioni, anzi al contrario ho difeso
questa Biennale prima di vederla, perché immaginavo arte in forma di
collezioni, nuove tassonomie legate a nuovi visioni della storia, capaci quindi
di far saltare il continuum temporale e di porre le fondamenta di un
contro-modello storiografico (il che vorrebbe dire praticare un atto
rivoluzionario), insomma tutto ciò che si lega agli studi su Warburg, Benjamin,
Malraux e agli artisti che usano l’immagine in quella direzione. Ma non ho
trovato niente di quello che pensavo, piuttosto un tentativo sottile e ambiguo
di disciplinare e omologare anche le ricerche che hanno questi indirizzi.
Percorrendo il
Padiglione Centrale un campanello d'allarme risuona forte nella mia testa.
Sono straordinarie
le immagini del Liber Novus di Jung con cui si apre la mostra
al Padiglione Centrale così come i disegni di Steiner nella seconda sala,
peccato che tutto sia riportato a una generica ”rappresentazione
dell’invisibile”, a fenomeni soprannaturali, al valore magico dell’immagine.
Un’occasione
mancata per approfondire lo stupefacente potenziale di realizzazione della riforma
della vita che, in maniera diversa, Steiner e Jung proponevano. Non avevo mai
visto il libro rosso di Jung ora so che le immagini sono di grande bellezza e
intensità e poco altro.
Qualcosa mi
riporta alla mente, per contrasto, la mostra curata da Szeemann ad Ascona nel
1978 Le mammelle della verità. Com’è noto agli inizi del
secolo scorso il Monte Verità sopra Ascona si trasformò nella “collina delle
utopie” e la lista delle celebrità che vi soggiornarono è lunga: oltre a Jung,
la danzatrice Isodora Duncan, gli anarchici Michael Bakunin e Enrico Malatesta,
lo scrittore Hermann Hesse, artisti come Arp, Paul Klee, teosofi e antroposofi
come Rudolf Steiner e molti altri. La mostra di Szeemann riuscì a dare
innumerevoli informazioni e a stabilire connessioni tra utopia politica, arte,
e una possibile riforma della vita tra capitalismo e comunismo.
Così scrive
Szeemann a pagina 8 del libro/catalogo Monte Verità Antropologia locale
come contributo alla riscoperta di una topografia sacrale moderna: “Ma
MONTE VERITA' deve inoltre mostrare cosa possa oggi riproporsi una mostra:
essere superamento di ogni parcellizzazione e contemporanea rivelazione delle
nascoste componenti fantastiche. Ovviamente mostra che la società ideale è
utopica ma che per sua stessa composizione la società sorta a Monte Verità
avrebbe potuto essere società ideale…”.
Superamento delle
componenti fantastiche, proprio quello che il Palazzo Enciclopedico non riesce
a fare! E così anche Steiner e Jung diventano semplicemente illustrazioni più o
meno “fantastiche”.
Per analogia il
punto di vista proposto da Massimiliano Gioni richiama invece quello che Barr
nel 1936 sottolineò con il suo display nella mostraFantastic Art, dada,
surrealism, una mostra che provocò reazioni violente e numerose polemiche.
Barr presentò le
avanguardie in modo genericamente legato ai temi del fantastico e stabilì una
genealogia: Bosh, Durer, Giovanni di Paolo, fino al simbolismo di fine
Ottocento, suggerendo infine affinità con disegni di bambini, di alienati,
persone disturbate psicologicamente e persino con i film di Walt Disney: un
modo per rafforzare l’immagine di un’arte legata genericamente al fantastico e
all’onirico e per depotenzializzare le tensioni più dirompenti legate ai due
movimenti.
La mostra non
ricevette il consenso né di Tzara né di Breton, e Katherine Dreier ritirò le
opere di sua proprietà non approvando la decisione di Barr di esporle insieme
ai disegni di bambini e “pazzi”. Sfumare le distinzioni tra artisti
professionisti e dilettanti è una questione affrontata più volte in varie
mostre che nella maggior parte dei casi nuoce a tutti!
Un caso eclatante
fu nel 1989 la mostra Magiciens de la Terre curata da
Jean Hubert Martin al Centre Georges Pompidou che diffondeva un nuovo quanto
generico interesse da parte del sistema dell’arte mainstream nei confronti
dell’ “altro”.
La mostra nelle
intenzioni voleva essere un confronto tra opere occidentali e non, ma il
terreno comune individuato rimaneva quello legato a valori e stereotipi tradizionali,
ovvero l’elemento magico ed esoterico, nessuna traccia di sperimentazioni
legate all’ibridazione e alla globalizzazione, niente che mettesse seriamente
in dubbio la disuguaglianza tra centro e periferie.
Anche a Venezia il
confronto tra artisti professionisti e artisti per caso o per necessità (medium
che comunicano con morti, cerimonieri vudù, ispirati dal cielo, guaritori che
curano con immagini etc etc) si riduce a qualcosa di troppo sommario che alla
fine acuisce distanze e non genera nessun cambiamento di prospettiva.
Ovviamente ci sono
tante opere importanti che vale la pena di vedere, tuttavia anche le opere di
artisti a mio avviso interessanti – come Steve McQueen, Camille Henrot, Neïl
Beloufa, Harun Farocki, Gianfranco Baruchello, Yervant Gianikian e Angela Ricci
Lucchi, Hito Steyerl – sono inserite in un contesto discorsivo che non può
essere ignorato.
Difatti il
problema è come si costruisce un display, quali sono i contesti che si
propongono, a quali logiche risponde l’atto del porre in mostra qualcosa.
Nessuna mostra
soprattutto nessuna grande esposizione d'arte contemporanea può sottrarsi alle
domande che il display pone: quali sono i rapporti stabiliti con il contesto
più ampio politico e sociale in cui siamo?
Massimiliano Gioni seppure
giovane - ripetiamolo come vuole tutta la stampa italiana: il più giovane
curatore che la Biennale di Venezia abbia avuto (in Italia sembra ormai una
garanzia di rivoluzione e novità!) - non è uno studioso di arte esoterica e
magica, di cosmografie, di antroposofia, di antropologia etc e non mi sembra
abbia una bibliografia che va in queste direzioni.
Gioni è invece il
Direttore artistico della Fondazione Nicola Trussardi di Milano, Associate
Director e Director of Exhibitions del New Museum of Contemporary Art di New
York.
Quindi a 38 anni è
uno dei rappresentanti più importanti del sistema dell’arte internazionale;
così se lui decide di dedicare la Biennale alla via di fuga nel dominio del
fantastico, se lui stesso cerca di rispondere alla domanda citata nel
comunicato stampa: “Quale spazio è concesso all’immaginazione, al sogno, alle
visioni e alle immagini interiori in un’epoca assediata dalle immagini
esteriori?“ riportando tutto su un piano che non tiene minimamente conto di
come l’immaginazione e il sogno possono diventare generatori di realtà sociali
e politiche, questo deve avere un senso, anzi penso che proprio questo è il
senso.
La realtà
politica, la contemporaneità, è completamente esclusa da questa mostra, sembra
ormai che non ci possa essere una mediazione possibile tra Biennali sul genere
di quella di Berlino, dove la politica diventa oggetto di
attrazione e questa di Venezia dove nella maniera più
conservatrice possibile si depotenzia e si disciplina il valore rivoluzionario
dell’arte e dell’immaginazione.
Forse dovremo
cercare l’arte altrove, lontano dalla Biennale e dai suoi eventi, lontano dalle
feste in laguna sempre più escludenti e blindate da bodyguard e agenti di
sicurezza vestiti di nero.
O forse dovremo
cercare di esercitare sempre di più all’interno dei confini del sistema
dell’arte un nostro pensiero critico, cercando di organizzare nella nostra
testa display, connessioni e mappe concettuali capaci di generare quei
cambiamenti di cui tutti noi abbiamo realmente bisogno.
Biennale di
Venezia 2013, link correlati:
Su UnDo.Net la
Biennale di Venezia fotografata da giovani autori:
Appunti sulla Biennale e dintorni, un
articolato racconto per immagini di Alice Pedroletti
Persone e opere, brevi e intensi scorci di
Giulia Ticozzi
Visioni dal Palazzo Enciclopedico,
dal Padiglione Italia e dai Padiglioni Nazionali, in collaborazione con
theartpriest.com
Il lato australe della Biennale. La
"guida" di UnDo.Net tra le mostre ufficiali, collaterali e parallele
I video delle performances al
Padiglione Italia durante i giorni di opening: Sislej Xhafa e il barbiere tra i
rami di un albero, Francesca Grilli e i vocalizzi su una goccia che cade,
Marcello Maloberti tra sculture che si attivano e monoliti instabili
Il Vaticano alla Biennale. In questo video
le immagini dal Padiglione della Santa Sede e un'intervista con Paolo Rosa di
Studio Azzurro
In questa intervista Massimiliano Gioni dice
che si è sentito "investito dal compito impossibile di raccontare il mondo
intero nella Biennale di Venezia", ma anche come abbia cercato di scuotere
le geografie eurocentriche ed esplorare la fantasmagorica frontiera con la
follia... (Pubblicata il 10/05/2013)
Marcella Anglani è storica
dell'arte, insegna ultime tendenze dell'arte contemporanea all'Accademia di
Belle Arti di Brera a Milano, scrive su riviste specializzate
Marcella Anglani è storica dell'arte, insegna ultime tendenze dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, scrive su riviste specializzate
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