SMALL ZINE Anno 4 Numero 14 aprile-giugno 2015
Una libera associazione di idee
CRISTINA ABBRUZZESE
Intervista ad Alice Zanin
CIRCUS CIRCES, 2014. Veduta parziale della mostra,
Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milan.
Courtesy dell’artista.
Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milan.
Courtesy dell’artista.
CIRCUS CIRCES, 2014. Veduta parziale della mostra,
Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milan.
Courtesy dell’artista.
Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milan.
Courtesy dell’artista.
Cristina Abbruzzese/ Alice, come nasce la
scelta di utilizzare la cartapesta per la realizzazione delle tue opere?
Alice Zanin/ La cartapesta era il materiale
più congeniale al mio desiderio di creare lavori che trasmettessero un senso di
leggerezza. Di fatto le forme di questi animali in senso propriamente fisico
sono articolate in fil di ferro ingabbiando una porzione d’aria, o di nulla. Mi
affascinano poi le possibilità di sospensione delle opere nello spazio senza
l’ausilio di strutture portanti. La loro povertà in termini di peso le fa
ruotare alla minima corrente, contribuendo a dare un’idea insieme di movimento
e di “rarefazione”.
CA/ I corpi delle tue sculture sono ricoperti
di “parole”, forse perché la fisicità tangibile e concreta si accompagna ad una
componente mutevole e variabile quale è, in sostanza, la parola?
AZ/ Nella prima parte della mia produzione la
componente verbale era proprio riconducibile all’idea di effimero, transitorio
e mutevole appunto. L’animale poi rimanda tradizionalmente al senso della
fiaba, dell’onirico o dell’esotico, comunque, in qualche modo, ad una
dimensione poco concreta. Un animale di parole è come dire “X=coniglio”, per
citare Meret Oppenheim… si può dire qualunque cosa senza un necessario
riscontro con il reale; a parole si sogna, si affabula, si mente.
In seguito ho iniziato ad eliminare le parti
testuali dei quotidiani per ottenere superfici più lievi, giocate su accordi
cromatici tra le carte. Sto comunque sperimentando sulle coperture dei
pezzi.
CA/ Nella tua recente personale dal titolo
“Circus Circes”, allestita negli spazi della Galleria Bianca Maria Rizzi &
Matthias Ritter a Milano, hai unito i tuoi animali a oggetti di uso
quotidiano…
AZ/ Il mio lavoro resta scultoreo, ma tende
all’installazione soprattutto in termini espositivi. Costruire un dialogo tra
opere e oggetti risponde all’esigenza di inscenare una situazione, nel caso
citato ho concepito la galleria come una sorta di teatro dove proporre un circo
inteso più nell’accezione di assurdo immaginifico che propriamente circense. In
effetti l’unico animale pertinente allo spettacolo era un elefante, sospeso a
centro sala come un lampadario sopra ad un’iperbolica piramide di arachidi. Il
registro dialogico prescelto è quello dell’ironia o dell’incongruenza o ancora
dell’associazione di idee. Spesso si tratta di scelte che definirei
“automatiche”: vedendo un’ingombrante lampada a stelo in un mercatino ne ho ad
esempio immaginato il paralume volante e così l’ho utilizzato (Magritte del
resto non era proprio d’accordo sul fatto che il pensiero si potesse situare in
una qualche parte del corpo umano…).
L’oggetto ha catalizzato l’attenzione di
molta parte dell’arte del Novecento, dal Dadaismo in poi. È evidentemente una
presenza scenica dal forte appeal, un’icona. E dal mio punto di vista, anche
l’animale lo è. Se dunque se ne travisa la convenzionale destinazione d’uso, si
ottiene una relazione oscillante tra il reciproco imbarazzo e una galante
ironia.
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