venerdì 27 novembre 2015

Giuseppe, Adolfo e Carlo i tre medici che hanno accompagnato fin qui la mia vita


Via Domenico Aragno (padre di Giuseppe) Settimo Tse
Quando nel 1973 trasferii la mia famiglia da Settimo Torinese ad Ostia Lido, oltre a dire addio al clima impietoso della zona, agli odori acri e pesanti che le ditte farmaceutiche, intorno casa, scaricavano nell'aria, all'inquinamento acustico della padana superiore che attraversava l'abitato congestionandolo quasi tutto il giorno e forse ancora, dovetti dire addio anche alle amicizie e alle conoscenze che inevitabilmente avevo contratto. Prima di partire salutammo vicini e lontani, lasciando a tutti il nuovo recapito con l'invito sincero a farci visita, anche senza preavviso.
Uno, però, che non salutammo di sicuro fu il dott. Aragno, Giuseppe, che mi tornò alla mente nel momento in cui il mio primo bambino si sentì male una volta a Roma. Come avrei fatto a trovare un altro medico come lui adesso che ne avevo bisogno ? Mi aveva tirato fuori da una broncopolmonite con competenza e dedizione. Nei primi momenti della malattia passava per casa ripetutamente, anche due volte al giorno, e se la degenza presentava qualche imprevisto non si dava pace fino a quando non aveva trovato il rimedio per eliminarlo. Quando gli accennai che sarei andato via da Settimo, mi raccomandò di non trascurarmi, di affidarmi con immediatezza ad un altro medico, ma saranno stati il clima meno rigido della capitale  e le preoccupazioni della nuova sistemazione, a farmi dimenticare le sue raccomandazioni fino a che il mio primo figlio non si sentì male.

Casalpalocco
Via Anacreonte AXA Roma

            Come primo tentativo bussai con mia moglie alla vicina di casa che giovane com'era, si trovava anche lei nella nostra stessa condizione. Ci consigliò comunque di rivolgerci alla signora del piano di sopra che avendo tre bambine sicuramente avrebbe saputo indicarci qualcuno nelle vicinanze. Infatti la donna, moglie di un brigadiere della Guardia di Finanza, indirizzò le nostre ricerche su Corso Duca di Genova, dove trovammo un medico che era buono per tutti i mali. Simpaticissimo. Durante la malattia del bambino diventammo amici e una sera che venne a casa dopo le ventidue, mi chiese se lo accompagnavo fino all'Infernetto dove non se la sentiva di andarci da solo.
            Forse erano altri tempi ed altre mutue. Forse le cose sono cambiate dopo l'avvento del Servizio Sanitario Nazionale che nell'intenzione del legislatore doveva assicurare parità di assistenza a tutti, ricchi e poveri, a chi lavorava e a chi non, ma che ha certamente finito con l'ingessare l'assistenza in un carrozzone unico dove la professione medica ha ceduto il passo al calcolo e al menefreghismo.
            Nel novantanove percento dei casi prima della riforma sanitaria l'attività medica era una missione, dopo é diventa solamente una professione, con al centro il medico e l'ammalato inutile dal venerdì pomeriggio fino a domenica sera. Il medico in quelle ore non esiste se non a pagamento e la dice lunga anche il trattamento che attuano nei confronti di chi vi ricorre, sempre ossequiati e riveriti.
            Comunque riuscimmo a trovarne uno che faceva al caso nostro che nei modi ricordava Aragno. Il suo nome era Kissopulos, italiano ma di origini greche. Era il nipote di uno di quei greci arrivati in Italia dopo l’unità. Ti scrutava col suo sguardo amico ed era facile entrare in sintonia con lui. Il più grande dei due ragazzi incominciò a soffrire di asma allergica e fu lui ad indirizzarci verso una ricercatrice dell’Università La Sapienza. Quando i guai cominciarono anche per noi diventò la nostra guida sanitaria, il nostro consigliore, la persona nella quale fare affidamento rispondendo con sollecitudine alle nostre chiamate accompagnandoci nella malattia senza eccessive preoccupazioni. Era Lui che si faceva carico del nostro benessere fisico senza essere invadente e men che meno approssimativo. La nostra salute è stata al sicuro finchè è vissuto. Quando arrivò il suo successore restammo amici e l’ultima volta che gli facemmo visita candidamente, dopo aver scrutato i nostri visi e sinceratori che non avevamo bisogno di lui professionalmente, disse: - Non ho più memoria di niente. So per dimenticare chi sono, ma di voi due avrò ancora memoria fino all’ultimo momento della  mia esistenza.
Oggi le cose vanno diversamente, anche se qualcuno ha voluto ricordarmi di aver fatto il giuramento di Ippocrate, è difficile trovare un medico capace e scrupoloso. Sono i primi a non saper vivere la loro condizione in maniera particolare i dentisti che cercano di lucrare piuttosto che curare ed educare.


Via dell'Università Roma

Un altro medico che non potrò mai dimenticare è stato Carlo Silvagni che mi asportò dal ventricolo destro di Morgagni tre polipi (neoformazioni plastiche) che, trattenendo il catarro impedivano alle corde vocali di vibrare.
Quello che nessuno aveva saputo vedere in venti anni della mia vita, inviandomi alle cure termali annualmente, lo vide lui in un attimo senza procurarmi gli strazi a cui gli altri mi sottoponevano per visitarmi. L’ultimo mi aveva anche narcotizzato e spillato 100.000 mila lire.
Di fronte al mio disappunto mi fece tornare il giorno appresso e un attimo prima che lui me li asportasse senza accorgermene, la dottoressa che fu incaricata di redigere la cartella con l’anamnesi patologica mi chiese se poteva guardarmi la gola. Non riuscendo a vedere niente, mi domandò se ero sicuro di quello che dicevo. Di fronte alla mia conferma l’altro medico che l’accompagnava per poco non mi strappava la lingua. Raccontai la cosa a Carlo il quale non si meravigliò affatto dell’insuccesso dei due. Proferì solamente:- Meno male che sei capitato nelle mie mani. Dopo due secondi, durante i quali mi asportò i polipi senza avvertire nessun fastidio, mi accompagnò da mia moglie che era in corsia ad aspettarmi e mi disse: Fai sentire a tua moglie la tua voce. Essa lo invocò di non farmi parlare, ma quando sentì  proferire il suo nome con voce forte e chiara restò sbalordita ed incredula.
E’ inutile raccontare le sue imprese. Morì due anni dopo essere andato in pensione nella sua Orvieto dove nel tempo libero, la domenica, si dedicava alla cura del suo terreno e delle sue bestie. Ritengo di essere stato fortunato di averli incontrati, adesso avrei bisogno di un’anima buona per curarmi il nervo sciatico che mi affligge e cerca di sconfiggermi senza ancora riuscirci da quando sono andato in pensione.


Ostia Lido        27/11/2015                                                                Gioacchino Ruocco

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