lunedì 22 luglio 2013

Dichiarazioni lesive della reputazione altrui...


Qualora un personaggio pubblico, che occupa una posizione rilevante nella vita sociale, economica e politica, rilasci delle dichiarazioni diffamatorie nei confronti di un altro personaggio che occupi una posizione analoga, "è la dichiarazione rilasciata dal personaggio intervistato che crea di per sé la notizia, indipendentemente dalla veridicità di quanto affermato e dalla continenza delle parole usate". 

Di conseguenza, la notizia, anche se lesiva della reputazione altrui, merita di essere pubblicata, in quanto diretta a soddisfare l'interesse della collettività alla informazione, interesse tutelato ai sensi dell'art. 21 della Costituzione.

Secondo gli Ermellini, pretendere che il giornalista controlli la verità storica del contenuto della intervista potrebbe comportare una grave limitazione della libertà di stampa e comprimere il diritto-dovere di informare l'opinione pubblica su un dato evento, non potendosi attribuire, al giornalista, il compito di "purgare il contenuto dell'intervista dalle espressioni offensive, sia perché gli verrebbe attribuito un potere di censura che non gli compete, sia perché la notizia, costituita appunto dal giudizio non lusinghiero, espresso con parole forti da un personaggio noto all'indirizzo di un altro personaggio noto, verrebbe ad essere svuotata del suo reale significato".

Sulla base di tali premesse, i giudici della Quinta Sezione Penale della Cassazione individuano una posizione almeno paritaria tra soggetti dichiaranti e soggetti lesi dalle dichiarazioni, situazione che rileva ai fini dell'interesse pubblico della notizia, con conseguente insussistenza di alcun onere, in capo al giornalista, di svolgere una attenta verifica sia sul fatto che sul linguaggio utilizzato.

(Altalex, 22 luglio 2013. Nota di Simone Marani)

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