pubblicato venerdì 13 maggio 2016
Ha preparato tutto: ha avvisato i suoi followers, ha chiesto ai minori di non guardare, ha mandato un sms ai famigliari, e poi si è lanciata sotto la RER, i treni parigini suburbani. Il motivo? Era stata violentata e, nel fare il nome dell'uomo, ha dichiarato che stava per compiere l'atto non per creare scalpore ma per "aprire le menti" e costringere le persone a reagire. Peccato che, la prima a non reagire, sia stata lei, 19enne anonima della periferia parigina.
Peccato che la colpa si dia a Periscope, Twitter, Facebook, le piazze virtuali che permettono a perfetti idioti di ottenere un insperato successo, e ad altri ragazzi "normali" di diventare barzellette nel mondo della rete; peccato che solo uno dei followers della ragazza, in questo caso, abbia chiamato la polizia, mentre forse gli altri continuavano a guardare o già si erano spostati su altri canali.
E peccato che i drammi di queste vite fragili e sottili come veline vengano fuori solo dopo essere finite sotto i binari, dopo qualche festino finito male, dopo suicidi apparentemente ispiegabili agli occhi di chi non frequentava i social.
Delle morti in diretta abbiamo più volte parlato, anche osservando le "coreografie" messe in scena dai tagliagole dell'Isis, forse i primi a sdoganare i social come dimostrazione di come si può uccidere, venire uccisi, sparare, ghigliottinare, annegare, dissanguare. Il risultato, ad ora, è un infinito bla bla bla. E un cambiare canale. Forse ai tempi di Bukowski, e anche a quelli di Warhol, con la morte che veniva fissata sui giornali e ci rimaneva per settimane, la storia era diversa. Forse le tragedie avevano un tempo di esclamazione più lungo da parte dell'osservatore. La Francia, come tutti i Paesi occidentali, oggi piangono queste morti nel tempo di un "Oh". Non è un caso che su Periscope i video vengano eliminati in automatico dopo 24 ore. Avanti il prossimo.
Avanti il prossimo che potrà uccidere la mamma in diretta, tagliarsi le vene nella vasca, sparare al cane, picchiare il barbone o semplicemente rovesciare la cattedra del professore, per poi riconoscersi o pentirsi.
Arancia Meccanica dura dal 1971, Psycho dal '60, Che fine ha fatto Baby Jane dal '62. Storie di Ordinaria Follia viene ristampato dal 1972: legano le brutture con l'arte, l'alto e il basso: fanno il sublime.
Le storie orrende di Facebook, Twitter, Periscope, Youtube restano solo tali. Non c'è ragione che esita per salvarle da questa definizione, nemmeno quando si tratta di appelli disperati. Forse, smettendo di arrampicarsi sugli schermi, qualcosa come la vita potrebbe valere un po' di più. E a perderla non ci si metterebbe il tempo di un video messaggio. (MB)
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martedì 17 maggio 2016
STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
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