LA RIVISTA IN EDICOLA
Misterioso e umano
La scoperta di una nuova specie ominide,
Homo naledi, rimette in discussione le teorie
sulla nostra evoluzione
In edicola dal 3 maggio
Homo naledi, rimette in discussione le teorie
sulla nostra evoluzione
In edicola dal 3 maggio
20 maggio 2016
Quando dall'Europa tornammo in Africa
L'analisi del DNA mitocondriale ricavato dai resti di un essere umano moderno scoperto nella grotta di Pestera Muierii, in Romania, e vissuto 35.000 anni fa suggerisce che si tratti di un individuo appartenente a una popolazione che attraversò l'Europa sudorientale per fare ritorno in Nord Africa nel primo Paleolitico superiore(red)
Secondo il modello paleoantropologico comunemente accettato, Homo sapiens è emerso in Africa circa 200.000 anni fa e si è poi diffuso in Eurasia in seguito a una migrazione avvenuta tra 50.000 e 70.000 anni fa. Questa ipotesi è coerente con le prime registrazioni fossili euroasiatiche riferibili agli esseri umani moderni databili a 45.000-50.000 anni fa e ad alcune prove genetiche. Ora però sulle pagine della rivista “Scientific Reports”, un gruppo internazionale di ricerca guidato da Concepcion de-la-Rua, dell'Università dei Paesi Baschi a Leioa, in Spagna, avanza l'ipotesi che contemporaneamente alla diffusione di H. sapiens in tutta l'Europa e in Medio e Vicino Oriente, una consistente popolazione abbia fatto ritorno in Africa.
La conclusione è figlia dall'analisi genetica effettuata sui resti dei denti di un esemplare di H. sapiens scoperto nella grotta di Pestera Muierii, in Romania, risalente a circa 35.000 anni fa. De-la-rua e colleghi hanno studiato in particolare il DNA mitocondriale recuperato dal reperto, indicato con la sigla PM1, che codifica le informazioni genetiche necessarie per la sintesi di proteine coinvolte nella respirazione cellulare.
Il DNA mitocondriale, che si trova cioè negli organelli cellulari chiamati mitocondri ed è diverso da dal DNA che si trova nel nucleo della cellula, ha la particolarità di trasmettersi per via matrilineare. Questo significa che ogni individuo ha un DNA mitocondriale identico a quello della propria madre, se si eccettuano gli effetti di mutazioni casuali e di ricombinazioni genetiche interne. Un materiale genetico così stabile attraverso le generazioni è uno strumento fondamentale per i paleontologi perché permette di stabilire le parentele di diversi
individui andando anche molto indietro nel tempo.
Nel caso di PM1, gli autori hanno verificato che il suo DNA mitocondriale appartiene a un aplogruppo basale, cioè a una popolazione genetica che ha in comune un antico progenitore, di origine eurasiatica e non è stato mai osservato in alcun altro reperto umano, né antico né moderno. Da esso hanno però avuto origine le diverse varianti, chiamate aplotipi, che sono attualmente predominanti nell'Africa settentrionale.
L'ipotesi dei ricercatori è dunque che si tratti di un individuo appartenente a una popolazione che attraversò l'Europa sudorientale per fare ritorno in Nord Africa, circa 45.000 anni fa, cioè nella prima parte del Paleolitico superiore. Si tratta della prima prova sperimentale di questo ritorno in Africa del Paleolitico, di cui non sono finora trovate tracce nel continente africano.
La conclusione è figlia dall'analisi genetica effettuata sui resti dei denti di un esemplare di H. sapiens scoperto nella grotta di Pestera Muierii, in Romania, risalente a circa 35.000 anni fa. De-la-rua e colleghi hanno studiato in particolare il DNA mitocondriale recuperato dal reperto, indicato con la sigla PM1, che codifica le informazioni genetiche necessarie per la sintesi di proteine coinvolte nella respirazione cellulare.
Il DNA mitocondriale, che si trova cioè negli organelli cellulari chiamati mitocondri ed è diverso da dal DNA che si trova nel nucleo della cellula, ha la particolarità di trasmettersi per via matrilineare. Questo significa che ogni individuo ha un DNA mitocondriale identico a quello della propria madre, se si eccettuano gli effetti di mutazioni casuali e di ricombinazioni genetiche interne. Un materiale genetico così stabile attraverso le generazioni è uno strumento fondamentale per i paleontologi perché permette di stabilire le parentele di diversi
Nel caso di PM1, gli autori hanno verificato che il suo DNA mitocondriale appartiene a un aplogruppo basale, cioè a una popolazione genetica che ha in comune un antico progenitore, di origine eurasiatica e non è stato mai osservato in alcun altro reperto umano, né antico né moderno. Da esso hanno però avuto origine le diverse varianti, chiamate aplotipi, che sono attualmente predominanti nell'Africa settentrionale.
L'ipotesi dei ricercatori è dunque che si tratti di un individuo appartenente a una popolazione che attraversò l'Europa sudorientale per fare ritorno in Nord Africa, circa 45.000 anni fa, cioè nella prima parte del Paleolitico superiore. Si tratta della prima prova sperimentale di questo ritorno in Africa del Paleolitico, di cui non sono finora trovate tracce nel continente africano.
Nessun commento:
Posta un commento