SUPREMA CORTE DI
CASSAZIONE
SEZIONE I PENALE
Sentenza 13 dicembre
2012 – 17 gennaio 2013, n. 2597
(Presidente
Giordano – Relatore Caiazzo)
Rilevato in fatto
Rilevato in fatto
Con sentenza in data
28.6.2011 il Tribunale dl Palermo condannava C.R. alla pena di euro 400,00 di
ammenda, e a risarcire i danni alla parte civile che liquidava in euro 500,00,
in ordine al reato di cui agli artt. 81 e 660 c.p. per aver, inviandole SMS dal
contenuto offensivo, recato molestia e disturbo a D.F.A., il 30.12.2006 e
l’8.1.2007.
La parte lesa aveva
ricevuto un SMS il 30.12.2006 dal seguente tenore: “è giusto che tu lo sappia,
S. da sempre ti fa le corna, povera cretina, sei l’unica a non saperlo, forse”.
Il successivo 8 gennaio
la D.F. aveva ricevuto altro messaggio, “d’altronde una mediocre come te che si
aspettava? Tuo marito è un bel ragazzo e tu una befana, non ti resta che fare
la cornuta contenta”.
Dalle indagini era risultato che i due messaggi erano stati spediti dal cellulare intestato alla cognata C.R. Secondo Il Tribunale il fatto era da attribuire all’imputata, anche perché la stessa, dopo il fatto, non aveva avuto alcun contatto con la denunciante per chiarire la sua posizione.
La reiterata condotta, secondo il giudicante, appariva idonea a recare molestia e disturbo alla persona offesa, ponendola in una condizione di forte disagio ed alterandone in modo significativo le normali condizioni di tranquillità personale e familiare.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, tramite il proprio difensore, chiedendone l’annullamento per errata applicazione dell’art. 660 c.p. e dell’art. 191 c.p.p. nonché per difetto di motivazione.
Il fatto contestato non era punibile poiché non era ravvisabile alcuna lesione dell’ordine pubblico, bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’art. 660 c.p.
Il fatto, secondo la ricorrente, non integra il reato contestato trattandosi di soli due SMS, inviati in ora diurna da utenza cellulare non celata.
La testimonianza della parte lesa era inutilizzabile poiché non erano stati raccolti elementi idonei a convalidare le sue dichiarazioni né la sentenza aveva adeguatamente motivato sulla intrinseca credibilità della parte offesa.
Ha presentato una memoria il difensore di parte civile con la quale ha contestato le tesi sostenute dalla ricorrente.
Dalle indagini era risultato che i due messaggi erano stati spediti dal cellulare intestato alla cognata C.R. Secondo Il Tribunale il fatto era da attribuire all’imputata, anche perché la stessa, dopo il fatto, non aveva avuto alcun contatto con la denunciante per chiarire la sua posizione.
La reiterata condotta, secondo il giudicante, appariva idonea a recare molestia e disturbo alla persona offesa, ponendola in una condizione di forte disagio ed alterandone in modo significativo le normali condizioni di tranquillità personale e familiare.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, tramite il proprio difensore, chiedendone l’annullamento per errata applicazione dell’art. 660 c.p. e dell’art. 191 c.p.p. nonché per difetto di motivazione.
Il fatto contestato non era punibile poiché non era ravvisabile alcuna lesione dell’ordine pubblico, bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’art. 660 c.p.
Il fatto, secondo la ricorrente, non integra il reato contestato trattandosi di soli due SMS, inviati in ora diurna da utenza cellulare non celata.
La testimonianza della parte lesa era inutilizzabile poiché non erano stati raccolti elementi idonei a convalidare le sue dichiarazioni né la sentenza aveva adeguatamente motivato sulla intrinseca credibilità della parte offesa.
Ha presentato una memoria il difensore di parte civile con la quale ha contestato le tesi sostenute dalla ricorrente.
Considerato in
diritto
I motivi di ricorso
sono manifestamente infondati.
Il reato contestato punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo.
Non vi è dubbio che il contenuto dei due suddetti sms, inviati dall’imputata alla parte lesa, erano idonei a recare molestia e disturbo per le ragioni indicate nella sentenza impugnata.
Il reato de quo è plurioffensivo, poiché protegge, oltre la tranquillità della persona offesa, anche l’ordine pubblico, che però è sufficiente, per la sussistenza del reato, che sia messo solo in pericolo per la possibile reazione della parte offesa.
Non si riscontra alcun vizio logico giuridico nella motivazione con la quale il Tribunale ha ritenuto l’imputata responsabile del reato ascrittole, ed è destituita di fondamento l’affermazione del ricorrente che la testimonianza della persona offesa non sarebbe utilizzabile - sebbene ritenuta attendibile dal giudicante - in mancanza di elementi idonei a convalidare le sue dichiarazioni.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa Corte. L’imputata, inoltre, deve essere condannata a rimborsare le spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio che si liquidano come da dispositivo.
Il reato contestato punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo.
Non vi è dubbio che il contenuto dei due suddetti sms, inviati dall’imputata alla parte lesa, erano idonei a recare molestia e disturbo per le ragioni indicate nella sentenza impugnata.
Il reato de quo è plurioffensivo, poiché protegge, oltre la tranquillità della persona offesa, anche l’ordine pubblico, che però è sufficiente, per la sussistenza del reato, che sia messo solo in pericolo per la possibile reazione della parte offesa.
Non si riscontra alcun vizio logico giuridico nella motivazione con la quale il Tribunale ha ritenuto l’imputata responsabile del reato ascrittole, ed è destituita di fondamento l’affermazione del ricorrente che la testimonianza della persona offesa non sarebbe utilizzabile - sebbene ritenuta attendibile dal giudicante - in mancanza di elementi idonei a convalidare le sue dichiarazioni.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa Corte. L’imputata, inoltre, deve essere condannata a rimborsare le spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile
il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, nonché alla
rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalla parte civile che
liquida in euro 1.500,00, altre accessori come per legge.
Cioè: Se vuoi insultare qualcuno, fallo a voce, senza testimoni (prima però assicurati che l'insultato/a non abbia in mano un coltello, una pistola, un badile o qualche altro oggetto pesante)
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