Così in cielo come in
terra. Di sospensioni e di fossili, di AnnaLaura Patanè
Il quarto ed ultimo appuntamento di MadLab alla Raccolta Manzù
con AnnaLaura Patanè, previsto per
sabato 10 gennaio 2015, conferma ancora una volta la volontà con cui di volta in
volta il curatore della rassegna Fabio
D’Achille, scavallando l’inizio di lustro, è andato a scovare situazioni
artistiche al femminile le più disparate, riuscendo per ognuna di esse a farsi
medium tra contenuti e contenitore, il non facile “ ridotto” verdearancio del
museo, qui interpretato in maniera decisamente polifunzionale. Si parte infatti
dal boccascena teatrale illuminato e filmico, aperto sulla notte profonda del
giardino popolato dalle ninfe silvestri e intirizzite di Stefania Romagna – Inanna
Trillis, attraverso le tele materiche, infuocate e pirotecniche della
sofferta Stimmung neoinformale di Antonella Catini, per approdare alla
suggestione intima, autobiografica e autoreferenziale, di studio d’artista di Marianna Galati, e, per ultimo, ora, a
questa combinazione alto-basso, di sospensioni e di fossili di AnnaLaura
Patanè. Se nei primi due appuntamenti infatti Fabio ha in certo modo operato in
senso centrifugo nei riguardi del piccolo incandescente contenitore, da cui si
sprigionava il ruscellante arcadico tema della performance di Stefania Romagna
così come l’incontenibile struggimento cromatico delle tele di Antonella Catini,
per Galati e Patanè il discorso è opposto e centripeto: la porta si chiude alle
spalle, e lo spazio espositivo, già esiguo, si riduce e si comprime
ulteriormente, e si fa stanza, scrigno del pensiero e della riflessione su se
stessi – gli infiniti autoritratti, gli infiniti occhi di Marianna - e sul
mondo.
Il nucleo interiore ci
attira, in quest’ultimo appuntamento, in modo magnetico: le Sospensioni di Anna Laura Patanè -
l’orsacchiotto di peluche rappresentato recto-verso sullo sfondo neutro
popolato di scritte interpretabili quali richieste di aiuto, il piccolo papero
giallo sospeso per una zampa e che si staglia contro la sua stessa ombra
cenerina – ci attirano e ci confondono con il gioco eternamente ambiguo tra
simulacro dell’originaria “età dell’innocenza” e dolorosa presa di coscienza della
sua irrimediabile perdita: la solitudine avvolgente dei fondi, grigi come
aurei, l’algore convenzionalmente concettuale “des chiffres et des lettres” in
auge nel contemporaneo dai “telegrammi” di Kounellis in poi, e soprattutto la
presenza di quelle ombre stridenti e inquietanti, e tuttavia non incombenti né
sproporzionate, il minimo accenno di merletto ai bordi di qualche tela, tutti
questi elementi concorrono ad aumentare il silenzio assordante della serie d’innocenti
pendus, accomunabili loro malgrado,
nella sventura della sorte, a certi appesi
della contigua Raccolta Manzù, ora Cristi ora Partigiani…
“Un fossile è, prima di
tutto, materia che porta dentro di sé e ben in evidenza la memoria della sua
esistenza: e i lavori di AnnaLaura sono prima di tutto memorie di esistenze ma
non consumate dal tempo, né vive né morte, ben visibili, presenti, tangibili… in
quel confine sottile che separa la vita dalla morte, e che trova nel fossile
appunto un momento di meditazione, serena e affascinante, una sorta di limbo esistenziale,
in cui non prevale né l’una né l’altra”. Cosi efficacemente scrive Silvia Sfrecola Romani a proposito
della tematica dei Fossili ricorrente
sia nella pittura - sensibilmente materica - così come nella scultura di AnnaLaura
Patanè, contemplati nella presente selezione di Fabio D’Achille, a presentarci
l’altra faccia dell’artista, quella terrena, addirittura sotterranea
stratificata e calcarea, e per questo ancora più preziosa e calligrafica
nell’elemento proustiano dell’impronta e del ricordo imperituro. Così lo spazio
espositivo si fa qui ora per l’ultima volta decisamente Wunderkammer depisisiana, gabinetto delle meraviglie tra terra e
cielo, tra natura e cultura: e il merito è dell’arte.
Marcella Cossu
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