sabato 19 febbraio 2011

Antichi mestieri: 'O pezzaro

Wassilij Grigorjewitsch Perow, Straccivendolo parigino, 1864



        Era un raccoglitore di stracci, di “pezze”, rese ormai inservibili dal tempo,  dall’uso e abuso che ne era stato fatto, di strofinacci da cucina, di ritagli di stoffe prodotti da sarti artigianali, di panni ormai logori, di abiti sdruciti ritenuti non più utilizzabili, riciclabili o in qualche modo recuperabili ne con rattoppi, ne con rammendi, panni di poco conto, di stoffe imputridite, di calzini con troppi buchi, di risultanze di accorciature di pantaloni, di maniche di camicie portati a casa, ma mai utilizzate perché non ne valeva la pena per i costi della mano d’opera che, ormai, sopravanzava il costo di una camicia nuova o di indumenti che non avevano qualità eccelse.
      Passava di tanto in tanto per i quartieri della città, senza scadenze precise. Non era un personaggio improvvisato, il più delle volte aveva alle spalle attività di recupero che praticava da anni o era affiliato ad una di esse. 
      Quasi sempre accompagnava alla raccolta degli stracci anche quella del ferro e di metalli più pregiati come il piombo, l’ottone, il rame, ossa di animali ed oggetti fuori uso che  rischiavi di ritrovare, qualche tempo dopo, al mercato delle pulci o, una volta rigenerati, rivenduti come oggetto di modernariato.  In cambio, ‘o pezzaro, che non era uno stupido, anche se il suo aspetto dimesso suggeriva questa impressione, offriva ben poco, dava a chi gli conferiva i propri residuati qualche piatto, un po’ di bicchieri, degli oggetti sicuramente utili, ma fragili e di cattiva qualità, prodotti di scarto di una produzione già destinata ad un mercato per povera gente.
      Arrivava nel quartiere con un richiamo a voce distesa, inconfondibile, spingendo a mano o apedali,  un carretto carico in parte degli stracci già raccolti e, mai in bella vista, della mercanzia di scambio che era incentrato sul niente per il niente.
      Nonostante ciò era una bella lotta tra ‘o pezzaro e i soggetti che si appropinquavano al carretto con le mani piene, quasi sempre donne, che cercavano di liberare la casa dalle cose inutili che l‘appesantivano e allo stesso tempo di acquisire un surplus di bicchieri, di piatti, di tazzine da caffè che con i figli piccoli finivano facilmente in frantumi.
      A chi non è capitato di sparigliare il servizio buono per non averlo riposto in tempo nella cristalliera dopo averlo usato per fare bella figura con gli ospiti?
      Almeno la terraglia, il vetro costato qualche chilo di stracci che tanto non erano più buoni neppure per togliere la povere dai mobili, se si rompeva non rappresentava una grossa perdita, permetteva di vivere un po’ più a cuor leggero il rapporto con i figli e con se stessi.
      La rottura di un piatto diventava così non più una tragedia da raccontare ai mariti la sera quando rientravano a casa dal lavoro. Bastava non ferirsi con i cocci.
      Forse non tutti sanno, però, la fine che fanno gli stracci e la validità di un cosi umile mestiere che rende ancora viva la memoria nel ricordarlo.
      Gli stracci raccolti vengono conferiti ad aziende che prima di rimetterli in circolazione  li  selezionano per recuperare quelli più pregiati da avviare a quelle poche che ancora producono ovatte da imbottiture, abiti per il mercato dell’usato, e gli stracci che restano stracci al mercato delle officine meccaniche e degli ambienti marittimi che fino a qualche anno fa ne facevano largo uso utilizzandoli per pulirsi le mani, per togliere dal pavimento l’olio sversato, ecc.
      Si è sempre raccontato che più di un pezzaro era diventato ricco rintracciando soldi e preziosi negli abiti che gli venivano conferiti, in particolar modo di persone ormai defunte, in cambio di un servizio di piatti un po’ più decente. Gli abiti adoperati di rado diventavano per alcuni un  nascondiglio sicuro contro i ladri, per essere dimenticati del tutto dal legittimo proprietario e ignorati da congiunti in quanto non erano al corrente di del segreto.
      Per i bambini qualche volta ci scappava un fischietto, un salvadanaio, una trattola o un giocattolo che dopo qualche ora diventava si scassava diventando anch’esso un rottame per il prossimo scambio.
      La filosofia dei tempi andati dava un valore a tutto e un significato alle cose e l’idea di distaccarsene richiedeva senz’altro una ricompensa. Oggi, è vero, gli stracci, gli abiti vecchi e quant’altro vengono conferiti ai cassoni delle raccolte per  beneficenza, ma è un modo diverso di liberasi del superfluo o del non più recuperabile che non dà ne all’anima ne alla memoria sensazioni e ricordi e il senso del bene che procura agli altri.
      La voce d’‘o pezzaro non la ricordo, ma la sua presenza si: sicuramente strillava qualche cosa che invogliava principalmente le donne con tutto quello di cui volevano liberarsi ad uscire di casa per un baratto che acquistava un senso di liberazione, ma anche di acquisizione di beni certamente utili per qualche tempo, anche se di basso valore commerciale.
      Il bello della situazione era il battibecco, il braccio di ferro che si instaurava a livello verbale tra i soggetti della trattativa e gli astanti che incitavano a non farsi fare fessi.
      Alla fine era stato un momento più di divertimento che di arrabbiatura che rendeva la signora più soddisfatta e più disponibile ad affrontare il resto della giornata nel raccomandare ai figli di non distruggere gli oggetti acquisiti prima che o pezzaro passasse un’altra volta. Forse gridava: - ‘O pezzaroooo!  ‘O pezzaroooo!  E’ arrivato ‘o pezzaro. Levateve ‘e pezze ‘a dint’‘a casa. Guardate che ve dongo. ‘O pezzarooo!!!

Gioacchino Ruocco



Dal Libero Ricercatore: Antichi mestieri

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