giovedì 15 giugno 2017

COLERA VARSI, ROMA


     
 


COLERA
VARSI, ROMA

   
   
 
pubblicato 

L’arte viene spesso intesa come processo, sperimentazione, luogo di ricerca e lavoro intorno ad un dato esito. L’esplorazione si compie di solito secondo diversi livelli, che si articolano in un dato tempo e in un dato spazio, in relazione a pratiche ma anche a stimoli e influenze esterne. 
"Colera è un progetto nero, denso e sporco, immediato e ostinato, insistente e ossessivo, invasivo e virale: è urgente”, è il tentativo di forzare queste prassi nella realizzazione di un evento artistico esplosivo. Le pareti della Galleria VARSI, che si dimostra sempre più all’avanguardia sulla scena artistica, si sono aperte e chiuse per tre settimane intorno ad una stampatrice e ad un gruppo di artisti tra i più interessanti del panorama urbano, ricreando un certo clima sperimentale che si era naturalmente verificato un anno prima a Londra nello studio di uno di loro e che li aveva visti lavorare febbrilmente intorno alle possibilità date dal monotipo (stampa di pezzi unici con torchio calcografico, ad inchiostro e materiali vari). 

Colera, Borondo, foto di Blind eye factory, courtesy Varsi
Un’idea fortemente voluta dalla curatrice Chiara Pietropaoli e sposata con entusiasmo ed interesse dal giovane gallerista Massimo Scrocca, instancabile promotore nella Capitale delle pratiche artistiche più significative. Borondo (Valladolid, 1989), Canemorto (trio di artisti fondato a Milano nel 2007), Run (Ancona, 1979; vive e lavora a Londra) e Servadio (1986, vive e lavora a Londra) sono i protagonisti di questa operazione: quattro forti individualità artistiche che si sono ibridate nel tentativo di esplorare i limiti, i confini e le possibilità della pratica artistica del monotipo. Questa tipologia di stampa implica infatti un lavoro istantaneo e irriproducibile su lastre di plexiglas, sempre diverso e con esiti unici. Le diverse mani e sensibilità si sono mescolate, hanno creato stratificazioni, pensieri, escrescenze, ridondanze. O hanno costruito storie, piccole fratture solitarie. Oppure hanno prodotto visioni. Il tutto ben evidenziato in un allestimento che ha riportato un ordine quasi magico in un ambiente fino ad un giorno prima dell’inaugurazione, sommerso dai fogli e dall’inchiostro. Un progetto, come spiega la curatrice Chiara Pietropaoli, che "ha l'urgenza di essere presente, di generare e seguitare, di occupare lo spazio e contaminarlo di intenzioni e azioni; di condividere e sentire o condividere per sentire”

Mariangela Capozzi
mostra visitata il 25 marzo 

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