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Apolitica e apartitica, usa il web per
promuovere cause e raccogliere adesioni. Per qualcuno somiglia al M5S. Ecco
come funziona davvero
Cammina veloce, lo senti dal ritmo delle
parole all’unisono con l’ampia falcata. Salvatore Barbera, 33 anni e una laurea
in fisica nucleare, ha appena concluso un incontro al Policlinico Agostino
Gemelli di Roma. Il reparto di Terapia Intensiva Neonatale ha bisogno di 2
milioni di euro e, per trovare i finanziamenti, potrebbe lanciare una petizione
su Change.org: la piattaforma per fare campaigning, ovvero perorare
una causa e raccogliere adesioni, creata 5 anni fa a San Francisco da Ben
Rattray. La società, in pieno stile Silicon Valley, ha aperto sedi in 18 Paesi
e conta 150 dipendenti. Barbera, direttore delle campagne per l’Italia, lavora
a tempo pieno al progetto assieme a Elisa Finocchiaro e a Sergio Cecchini. Sul
portale si può rendere visibile un’istanza pubblicata dall’utente (gli iscritti
in Italia sono oltre 800mila, nel mondo 30 milioni) e condividerla con la Rete.
I filtri sono quelli classici dell’informazione sul web: no alla violenza, al
razzismo, all’antisemitismo e a ogni forma di discriminazione. Change.org si
professa apolitica e apartitica, ovvero aperta a tutti. Così trasversale da
aver accolto la richiesta di Salvatore Vassallo e Giuseppe Civati per le
Primarie parlamentari del Pd e quella di Casapound per concedere il passaporto
diplomatico ai marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, e poi da
promuovere le corse “quirinalesche” di Salvatore Settis, Emma Bonino e Stefano
Rodotà. Quanto alla selezione delle campagne (ne arrivano circa 50 al mese, in
totale 500 da luglio 2012), Barbera assicura: «Le più interessanti marciano da
sole: appena pubblicate, in poco tempo raccolgono migliaia di firme».
Modello Greenpeace. Complice la forte vocazione sociale
del sito e del suo staff: vedi il trentenne ex attivista di Greenpeace, noto
anche come “il bandito del clima” per il foglio di via che lo aveva costretto
ad allontanarsi da Roma dopo una manifestazione pacifica davanti a Palazzo Chigi
(il provvedimento, in seguito, è stato revocato). L’impegno nelle iniziative
promosse dall’associazione ambientalista tra l’Europa e il Medioriente, fino
alla battaglia contro il nucleare in Italia, è stata un’ottima palestra per
approdare a Change.org con un bagaglio solido e credibile. Il resto del lavoro
lo fanno le storie, «che arrivano a noi e si impongono naturalmente», dice
Barbera. La filosofia è analoga a quella di YouTube dove, in cima alla
classifica dei video più cliccati, sono quelli che accendono l’entusiasmo della
Rete. Spesso, filmati casalinghi e a bassa fedeltà, ma dal forte impatto
comunicativo: per la verve satirica o il rimando all’attualità, il gioco allo
specchio con la community o quel senso di net-crazia dal basso, per cui sono i
votanti a decretare il migliore. Accade lo stesso con le petizioni: più firme
raccolgono, più aumentano le possibilità di successo. Non per caso,
sull’homepage del sito gli obiettivi raggiunti sono in primo piano:
dall’appello per la proiezione del film di Bill Emmott Girlfriend in a
coma lo stesso giorno in cui l’anteprima al Maxxi di Roma era stata
censurata, alla candidatura al Premio Nobel per la Pace di Malala Yousafzai, la
15enne pakistana ferita nel pullman della scuola con un colpo sparato da un telebano.
La cittadinanza concessa dal Consiglio dei
ministri ai tre senegalesi sopravvissuti alla sparatoria al mercato di Firenze,
due anni fa, è la vittoria di cui Barbera si sente più orgoglioso. Ora, in meno
di 24 ore, la petizione #iosegno lanciata dal gruppo di
ragazzi sordi per chiedere il riconoscimento ufficiale della Lingua italiana
dei segni ha ottenuto l’impegno del presidente del Senato, Pietro Grasso, a
sollecitare una nuova iniziativa legislativa. Su Change.org trova poi spazio la
campagna L’Italia sono anch’io, a sostegno delle seconde
generazioni: «Sono già state raccolte 110mila firme cartacee per presentare una
proposta di legge d’iniziativa popolare ma, tramite il sito, stiamo cercando di
sollecitare il Parlamento a esaminarla prima possibile», spiega Barbera.
Tra i segreti del buon campaigning, però,
c’è anche la capacità di sorprendere. Lo stratega italiano della piattaforma
globale snocciola i casi più emblematici: «Una 13enne statunitense è riuscita a
ottenere da una rivista di non ritoccare più con Photoshop le immagini delle
adolescenti». E ha terremotato l’entourage degli scout americani l’espulsione
di un’iscritta, dopo che aveva rivelato di essere lesbica: la donna, col
tam-tam su Change, ha sollecitato il dibattito per rivedere i criteri di
ammissione e superare le discriminazioni. Se i grandi temi (diritti civili,
ambiente, immigrazione) vanno da sé, si moltiplicano gli input dal territorio,
in particolare dal tessuto urbano di città come Roma e Milano: vedi la
petizione per consentire il trasporto delle biciclette sul metro per una
mobilità sostenibile. L’approccio del portale, per la partecipazione
orizzontale e il supporto tra pari, ricorda un po’ l’exploit del blog di Beppe
Grillo e l’ascesa del M5S. «Change.org nasce prima», frena Barbera, «e non
vuole creare un’agenda politica. Il nostro scopo è quello di portare istanze
personali o collettive all’attenzione dei media». Come vi finanziate? «Siamo
stipendiati dalla società di San Francisco», spiega il direttore Italia, «una corporation
che fa profit ma investe gli utili nel sociale». Un altro canale di fundraising
è lo spazio offerto alle iniziative di grosse ong: «Se l’utente accetta di
ricevere per email i loro aggiornamenti, noi incassiamo una percentuale».
Meccanismo simile a quello della pubblicità sul web, qui dal contenuto non
commerciale. La differenza con altri siti o social network che sponsorizzano
giuste cause? «Change ha assunto persone con profili specifici e background nel
settore: allo sviluppo della piattaforma lavorano 30 ingegneri». Anche per
garantire la sicurezza: «Quando la petizione lanciata da Viola Tesi a Grillo
perché votasse la fiducia a un governo Bersani ha subito un attacco hacker, in
poco tempo siamo riusciti a bloccarlo».
10 aprile 2013 (modifica il 12 aprile 2013)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Maria Egizia Fiaschetti
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