martedì 28 aprile 2015

Apriamo il Monte Testaccio a Roma


Irene Ranaldi
Rome, Lazio
Sono una sociologa urbana, vivo da trenta anni nell'ex quartiere operaio di Testaccio a Roma, una zona ricca di memoria, storia e contemporaneità. Sono tante le narrazioni che si sono incontrate - e che prima o poi si vanno ad incrociare - in questo luogo dove sorge l'ottavo colle di Roma, il Monte dei Cocci o Monte Testaccio, la prima discarica controllata di Roma imperiale.
Il Monte dei Cocci è nato e cresciuto lungo il corso di tre secoli tra il I e il III d.C. dall'accumularsi di cocci di anfore d'olio scaricate al Porto dell'Emporio e provenienti dalla Spagna. Il Monte dà nome al rione, testae in latino significa infatti "coccio". 
Si tratta allo stesso tempo di un monumento naturale e di un documento, perché attraverso saggi archeologici, tuttora attivi dalla fine dell'Ottocento a causa della vastità dell'area ancora da esaminare, è stato possibile ricostruire parte della storia commerciale dell'Impero romano.
Un sito unico al mondo ma incredibilmente chiuso e lasciato all'incuria più totale. Uno stato delle cose che ne fissa la percezione, complice anche la particolarità del rione Testaccio, in uno spazio senza tempo.
La sua inaccessibilità è un oltraggio quindi non solo alla memoria, ma al piacere di poter osservare dalla sua sommità l'altra Roma, quella del lavoro e della fatica, quella del panorama industriale della zona Ostiense e Marconi, dell'ex Mattatoio e del Campo Boario.
Chiediamo quindi che il Comune di Roma e la Sovrintendenza Archeologica del Lazio indicano un bando pubblico per l'assegnazione - alle realtà associative del territorio - della gestione di attività per la promozione turistica di questo sito archeologico, creando allo stesso tempo occasione di impiego e valorizzazione della cultura.
Irene Ranaldi dell'associazione Marmorata169
www.gentrification.it

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