Antonia Pozzi
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Antonia Pozzi
Figlia di Roberto, importante avvocato milanese e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi,
Antonia scrive le prime poesie ancora adolescente. Studia nel liceo classico Manzoni di Milano, dove vive con il suo professore di latino e greco,
Antonio Maria Cervi, una relazione che, a causa dei pesanti ostacoli frapposti
dalla famiglia Pozzi, verrà interrotta da Cervi nel 1933. Forse a causa di
questa grave ingerenza nella sua sfera affettiva, parlando di sé quell'anno
scrive: «e tu sei entrata / nella strada del morire».
Nel 1930 si iscrive alla facoltà di filologia dell'Università statale di Milano, frequentando
coetanei quali Vittorio Sereni,
suo amico fraterno, Enzo Paci, Luciano Anceschi, Remo Cantoni,
e segue le lezioni del germanista Vincenzo Errante e del docente di estetica Antonio Banfi,
forse il più aperto e moderno docente universitario italiano del tempo, col
quale si laurea nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert.
Tiene un diario e scrive lettere che manifestano i
suoi tanti interessi culturali, coltiva la fotografia,
ama le lunghe escursioni in bicicletta, progetta un romanzo storico sulla Lombardia, studia il tedesco,
il francese e l'inglese,
viaggia, pur brevemente, oltre che in Italia, in Francia, Austria, Germania eInghilterra ma il suo luogo prediletto è la
settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne, nella provincia di Lecco, dove si trova la sua biblioteca e dove studia, scrive e cerca sollievo
nel contatto con la natura solitaria e severa della montagna. Di questi luoghi
si trovano descrizioni, sfondi ed echi espliciti nelle sue poesie; mai invece
descrizioni degli eleganti ambienti milanesi, che pure conosceva bene.
La grande italianista Maria Corti che la conobbe all'università,
disse che «il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che
possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull'orlo degli abissi. Era
un'ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal
carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda
innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in
crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima,
la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili».
Avvertiva certamente il cupo clima politico italiano ed europeo:
le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più
cari: «forse l'età delle parole è finita per sempre», scrisse quell'anno a
Sereni.
A soli ventisei anni si tolse la vita. Nel suo biglietto di addio
ai genitori scrisse di «disperazione mortale». Si uccise mediante barbiturici in una sera di dicembre del 1938, nel
prato antistante l'abbazia di Chiaravalle. La famiglia negò
la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite; il suo testamento fu distrutto dal padre, che manipolò
anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite.
È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il monumento funebre,
un Cristo in bronzo, è opera dello scultore
Giannino Castiglioni.
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