lunedì 10 febbraio 2014

Andare al cinema col passa parola

BARBARA SORRENTINI – “La mia classe” e i suoi cinema

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A un mese, e più, dall’uscita del film “La mia classe” si registra un nuovo fenomeno distributivo che sorprende. O forse no. In effetti, non è la prima volta che opere rifiutate dalla distribuzione “istituzionale” riescano a farsi spazio tra passione e resistenza di esercenti illuminati, ma soprattutto indipendenti nelle scelte di programmazione e il passaparola del pubblico.
Penso al caso eclatante di “Il vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti per più di un anno al Cinema Mexico o al più recente “L’ultimo pastore” di Marco Bonfanti, che si è fatto strada tra sale d’essai, spazi sociali di tutta Italia e numerosi festival internazionali, fino alla programmazione su Rai1 durante le feste natalizie.

Sembrerebbe, che grazie a questo tipo di percorso di totale indipendenza produttiva, artistica e distributiva, il cinema torni ad essere uno strumento partecipativo. Un luogo scelto dal pubblico, da gente che non segue necessariamente i consigli televisivi o dei media, ma che si informa altrove e poi consiglia ad altri. O anche luogo proposto e inventato, in cui singole persone o associazioni chiedono il film per poterlo proiettare in spazi insoliti, nuovi e rivolti a pubblici diversi. Penso, per esempio, alla proiezione, pienissima, con le sedie in più prestate dal bar di fronte, organizzata a fine gennaio nell’Auditorium Demetrio Stratos di Radio Popolare a Milano. In Italia, un cinema così è rivoluzionario.
Non è un cinema vittima del mercato e dell’industria e che, anzi, potrebbe stimolare la creazione di una nuova modalità di politica culturale, che contribuisca alla realizzazione di opere lontane dalle logiche del mercato, ma più vicine alla gente sia per temi che per costruzione dell’opera. Che poi, questo creerebbe un altro genere di mercato, magari più d’autore o militante senza doversi vergognare di utilizzare queste definizioni.

Gianluca Arcopinto, produttore e distributore indipendente di “La mia classe”, scrive su Il Fatto Quotidiano: “Il film, prodotto anche in collaborazione con Raicinema, è stato da subito ritenuto non idoneo a 01, la distribuzione di casa Rai. E’ stato bocciato da Lucky Red, Teodora, Good Films, perché ritenuto ora non in linea con la politica aziendale, ora troppo sperimentale. Solo Officine Ubu ha formulato una proposta di distribuzione, che noi produttori abbiamo preferito non accettare, perché troppo dispendiosa. 

Allora abbiamo deciso di procedere all’autodistribuzione con il nostro ormai storico marchio Pablo. Ci siamo trovati a scontrarci da subito con una delle tante anomalie del nostro Sistema cinema: a Torino e Roma, le due città in cui su carta il film più garantiva un minimo di riscontro, le sale che volevano programmarlo non hanno avuto la possibilità di farlo, perché sotto l’egida di Circuito Cinema, che non ha dato il suo assenso. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo deciso di fare senza, anche e soprattutto grazie ai molti esercenti che in Italia ancora lottano per l’indipendenza e per un cinema di qualità. Grazie a loro, a cominciare da Antonio Sancassani a Milano e a Fabio Meloni a Roma, il film ha iniziato a vivere e per certi versi, nel suo piccolo, ci è esploso tra le mani, in decine e decine di città in cui il film è stato, è, sarà in programmazione. E il fenomeno non accenna a fermarsi, anzi”.

Ora, inutile dire che molta parte della chiamata al cinema la si deve alla presenza di Valerio Mastandrea, attore e anche un po’ autore di se stesso, qui in strettissima sinergia con il regista Daniele Gaglianone e il gruppo di ragazzi stranieri protagonisti del film. La coralità delle scene, l’equilibrio tra realtà e finzione, le difficoltà legislative italiane, per cui le riprese avrebbero rischiato l’interruzione sono però parte integrante della storia e la qualità mescolata alla necessità del tema e del tipo di narrazione completano il buon risultato qualitativo di “La mia classe”.

Un cinema così, come la quantità di documentari eccellenti che si vedono ai festival di cinema per poi perdersi chissà dove, andrebbero sostenuti molto, ma molto di più. L’esempio di attori, un po’ mainstream, nel senso che sono apprezzati dal “grande pubblico”, in grado di scegliere e diventare parte integrante di progetti coraggiosi sono ancora troppo pochi, così come i distributori indipendente e gli esercenti che non tendono a codificare ogni opera d’arte con una lente distorta e lontana dalla realtà.
Se c’è una parte di pubblico, tanto a contare i numeri, che vanno a vedere Checco Zalone, non si può ignorare quella parte, comunque consistente che cerca disperatamente film come “La mia classe”. E questo mese di programmazione, dal nord al sud, nei cinema e in altre sale alternative ne sono la dimostrazione inequivocabile. Il cambiamento passa anche da qui.

Barbara Sorrentini
(09 febbraio 2014)


Nota.
Ho incominciato ad andare a cinema molto presto, a dieci anni, con i compagni più grandi del vicolo Sorrentino dove abitavo.

Forse mia madre voleva che mi emancipassi presto, forse aveva altro da fare e voleva alleggerirsi le braccia, forse... mi dava un po' di intrattieni, ma con i forse la mia storia resta sempre la stessa, quella che riesco a ricordare senza aver capito e senza ancora capire se non facendo congetture, oggi, di un adulto.

Le sale cinematografiche coperte a Castellammare di Stabia durante il periodo invernale erano tre, mentre durante il periodo estivo ad esse si aggiungevano almeno due scoperte.

Molte domeniche pomeriggio dell'anno scolastico andavo al cinema dei Salesiani dove frequentai fino alla terza media, assistendo a film super datati e a datti alla visione di ragazzini.

La domenica le sale erano affollatissime. Gli utenti arrivavano anche dai paesi vicini.
Quello che ricordo non era tanto la moltitudine di gente,il fragore che creavano ma il loro modo di approcciarsi  alla visione del film che si apprestavano a vedere.

Aspettavano quelli che uscivano dalla sala e chiedevano loro com'era il film. Se lo facevano quasi raccontare tutto. Volevano sapere se era divertente, se era noioso, e tante altre particolarità che qualcuno per toglierseli di dosso inventava fino all'inverosimile.

In mezzo alla villa comunale erano installate due vetrinette dove venivano affissi i manifesti dei film e le date della loro programmazione. Una era del cinema Nazionale e un altra dei due cinema di Natale Montillo: il Corso e il Savoia successivamente Supercinema.

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