Napolitano ha passato il suo settennato chiedendo ai partiti
di abbassare i toni, ma era tanta ,tanto a sinistra che a destra e al centro, la
voglia di strafare che, almeno verbalmente, si è tornati indietro alle
rappresaglia del dopo guerra quando gli antifascisti sentirono la necessità di
vendicarsi per i torti subiti e quelli di destra si mossero per non perdere le posizioni
sulle quali si erano attestate.
Il bagno di sangue se non c’è stato in maniera diluviale, in
piccole dimensioni si è verificato senza attenuanti e i vinti non hanno
dimenticato le efferatezze che le vendette a loro comminate e i vinti non
hanno saputo vincere senza strafare.
Il problema è ancora presente in questa nostra Italia,
diventata una per mano di Garibaldi e di altri “uomini di pensiero”, ma mai
avvertita come patria visto il risorgere al sud di partiti come quello
Borbonico o analisi di quel periodo storico che portarono alla spoliazione del
Sud a favore di un nord liberatore, mai chiamato in causa e mal tollerato.
Sentir aleggiare da un uomo politico ancora oggi la minaccia
che i comunisti mangiavano i bambini come nel dopo guerra la campagna
elettorale asseriva, è un’offesa alla verità storica e all’inteligenza degli
uomini onesti ed equanimi.
Chi non è mai stato al servizio di nessun capitale sa che
gli uomini della base mangiano pane e sacrifici offrendo i propri frutti alla
spregiudicatezza di quelli che si sentono capitalisti e affaristi capaci di
sovvertire il mondo con le loro speculazioni da un giorno all’altro.
La politica in Italia non ha mai conquistato un linguaggio
civile, capace di concetti semplici e di parole chiare comprensibili a tutti.
L’esercizio del potere è diventato appannaggio di pochi con
la nomina di vassalli e valvassori capaci di spogliare gli altri anche del
benessere di sopravvivenza.
Abbiamo raggiunto nell’arco di sessantanni una povertà
diffusa, un analfabetismo di massa che ha acquisito la sufficienza di sapere e
comprendere, ma non ancora degna di essere presa in considerazione da chi si è
arrogato il diritto di decidere per gli altri.
Non abbiamo bisogno di ricchezze, ma di lavoro per
conservare la nostra dignità che nessuno più dovrà osare toglierci pena la
condanna civile e l’ostracismo come nemico della nazione.
Le rivoluzioni sono nocive in quanto acuiscono le
incomprensioni come quelle di questi giorni quando tutti hanno vinto e rivendicano
il ruolo di vincitori mettendosi come muro contro muro.
Una volta preso atto che un vero vincitore non c’è stato,
andavano lasciate le chiacchiere da parte per accomunare le proprie diversità
per dare al paese una guida certa utilizzando i progetti migliori che sono
stati avanzati.
La grandezza dei grandi si vede nell’umiltà e non nella
superbia, anche se il proverbio recita di non farsi pecora che c’è sempre un
lupo in agguato.
E’ auspicabile un consesso il più ampio possibile per ritrovare l’unità nazionale che ancora è straniera in patria e che nessuno
mangerà nessuno per poter vivere tutti felici e contenti ora e sempre nei
secoli a venire.
Nessun commento:
Posta un commento