domenica 5 giugno 2011

La madre assillante non commette stalking

T.A.R.
Lombardia - Milano
Sezione III
Sentenza 6 maggio 2011, n. 1205

N. 01205/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00530/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 530 del 2011, proposto da:
L.N., rappresentata e difesa dall’avv. G.P., domiciliato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. c/o la Segreteria del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, via Corridoni n. 39 - Milano;

contro

MINISTERO DELL’INTERNO - QUESTURA DI PAVIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Milano, via F. n. 1;

nei confronti di

A.F., non costituito in giudizio;

per l’annullamento
- del provvedimento di ammonimento n.243/2010/Anticr. emesso, ai sensi dell’art. 8 D.L. n. 11/2009, conv. nella L. 38/2009, dal QUESTORE DELLA PROVINCIA DI PAVIA;
- nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di MINISTERO DELL’INTERNO e di QUESTURA DI PAVIA;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2011 il dott. Dario Simeoli e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso depositato il 18 febbraio 2011, la ricorrente ha impugnato il decreto di ammonimento adottato del Questore di Milano, ex artt. 7 e 8 della Legge38/2009, in ragione dell’asserito compimento di atti persecutori nei confronti del figlio A.F. La ricorrente ha chiesto al Tribunale di disporne l’annullamento, previa
sua sospensione incidentale, perché viziato da eccesso di potere e violazione di legge.
Si è costituito in giudizio il MINISTERO DELL’INTERNO, chiedendo il rigetto del ricorso.
All’esito dell’istruttoria svolta e dell’interrogatorio libero delle parti, sul contraddittorio così istauratosi, la causa è stata discussa nella camera di consiglio del 14 aprile 2011.

2. Ritiene il Collegio che il giudizio possa essere definito con sentenza in forma semplificata, emessa ai sensi dell'art. 60 c.p.a., adottata in esito alla camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare, stante l’integrità del contraddittorio, l’avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti, rese edotte dal Presidente del Collegio di tale eventualità.

3. Nel corso dell’udienza camerale del 2 marzo 2011, la ricorrente, presente nella camera di consiglio al fianco del suo avvocato, aveva espresso la volontà di conferire con il suo Giudice. Tale richiesta, unitamente alla estrema particolarità della fattispecie, ha indotto il Collegio, dopo attenta riflessione, a disporre l’interrogatorio libero delle parti costituite dal momento che, nelle produzioni allegate in atti, sono comprese numerose dichiarazioni scritte che possono essere più compiutamente apprezzate attraverso l’audizione orale della ricorrente e di un rappresentante dell’amministrazione.
Trattandosi di mezzo istruttorio estraneo alla tradizione del processo amministrativo, ritiene il Collegio di richiamare in sentenza brevi considerazioni (già svolte nell’ordinanza istruttoria) sulla sua natura e ammissibilità nel quadro del nuovo codice del processo amministrativo.

3.1. Le dichiarazioni rese in sede d’interrogatorio libero rivestono un ruolo probatorio “suppletivo” e “indiziario”, non potendo le risposte date nel corso del suo svolgimento avere valore di confessione, né essere apprezzate nella loro isolatezza quali elementi di piena prova; piuttosto, la loro deduzione fornisce al Giudice motivi sussidiari di convincimento per corroborare o disattendere le prove già acquisite al processo. Pur con i predetti limiti, l’interrogatorio libero costituisce un importante ausilio alla chiarificazione e precisazione delle allegazioni di fatto contenute negli scritti difensionali, specie nelle controversie in cui solo il “contatto” con le parti può fornire indispensabili elementi “sensitivi” di convincimento ai fini del riscontro e della valutazione delle prove (in specie, documentali) già acquisite. Il colloquio informale, altresì, può consentire al Giudice di comprendere in maniera più esauriente i termini reali delle operazioni economiche e dei meccanismi tecnici celati dietro il linguaggio specialistico utilizzato, facilitando allo stesso tempo l’espunzione dal thema probandum dei fatti
non oggetto di specifica contestazione e per i quali il deducente può essere assolto ab onere probandi.

3.2. L’interrogatorio libero, a parere del Collegio, è mezzo istruttorio che, senza aprire “crepe” di sistema, si iscrive armonicamente nelle trame dell’attuale ordinamento processuale amministrativo. Il previgente regime processuale (art. 44 t.u. Cons. Stato r.d. 26 giugno 1924 n. 1054; art. 25 reg. 17 agosto 1907 n. 642; in materia edilizia, art. 16 l. 28 gennaio 1977 n. 10) non contemplava, nel giudizio amministrativo di legittimità, le prove orali dell’interrogatorio libero o formale, del giuramento decisorio e delle testimonianze (cfr. Corte Cost. n. 251/1989 che aveva disatteso la questione di costituzionalità della mancata previsione della prova testimoniale nel processo amministrativo di legittimità; diversamente, in sede di giurisdizione esclusiva per
controversie attinenti a diritti soggettivi, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 146/1987, aveva esteso al processo amministrativo gli altri mezzi di prova previsti per il processo dinanzi al giudice ordinario).

Al di là dei condizionamenti derivanti dal timore delle possibili deviazioni che l’indiscriminato uso dei mezzi probatori orali avrebbero potuto determinare, tale assetto normativo rifletteva la realtà originaria di un processo la cui istruzione verteva prettamente su prove precostituite, ovvero su documenti che non si formavano innanzi al giudice nel processo in contraddittorio tra le parti, ma prima del processo nel momento stesso in cui il potere veniva tradotto in atto; un giudizio che “proseguiva” dal procedimento, in cui l’indagine probatoria sull’esercizio dei pubblici poteri era indiretta poiché incentrata essenzialmente sulle modalità mediante le quali era stata compiuta l’istruttoria nel procedimento amministrativo; dove il principio dispositivo, sia in punto di oneri di allegazioni dei fatti che di mezzi di prova, risultava fortemente attenuato dalle ricerche ufficiose del Giudice, al punto da far ritenere che l’uno (l’onere probatorio) fosse di per sé assolto dall’altro (l’onere di allegazione); un paradigma processuale dogmaticamente giustificato dalla considerazione della speciale categoria di situazioni oggettive che “sul terreno sostanziale si realizzano attraverso l’intermediazione del procedimento amministrativo” nonché dalla necessità di impedire che l’accesso diretto al fatto da parte del giudice in modo autonomo rispetto al procedimento amministrativo trasferisse sul piano giurisdizionale “quella funzione che spetta all’amministrazione nell’ambito del procedimento di formazione dei suoi atti”.

I successivi sviluppi della giurisprudenza hanno segnato una indubbia inversione di tendenza. Sulla propensione del Giudice a spingersi “oltre” la rappresentazione dei fatti forniti dal procedimento hanno contato diversi fattori.

Sul piano sostanziale, la progressiva conformazione del potere pubblico non più in termini di agire unilaterale e isolato, quanto di relazione giuridica informata ai principi di partecipazione trasparente e aperta (in ipotesi) finanche alla negoziazione degli interessi coinvolti, con il porre precisi doveri comportamentali a carico dell’autorità amministrativa, ha agevolato di riflesso il raggiungimento di un maggior equilibrio processuale quanto a parità di accesso alla prova.

Sul piano processuale, altresì, rilevano i seguenti svolgimenti: l’affermazione, a partire dal nuovo contenzioso sulla “regolazione”, di un più penetrante sindacato di ragionevolezza rispetto al mero riscontro di illogicità formale della decisione pubblica; la convinzione che quella degli apprezzamenti tecnici non sia un’area istituzionalmente “riservata” alla pubblica amministrazione, giacché ciò che certamente resta precluso al giudice amministrativo è soltanto il giudizio di valore e di scelta che “specializza” la funzione amministrativa, mentre l’interpretazione e l’accertamento dei presupposti della fattispecie di cui il potere è effetto spetta al giudice; se non sussiste il predetto limite istituzionale, neppure è insito nel processo amministrativo di legittimità (soprattutto a seguito dell’introduzione dello strumento della C.T.U.) un limite strutturale di accedere direttamente al fatto, costituendo piuttosto il potere di accertare i presupposti di fatto del provvedimento impugnato lo specifico della giurisdizione amministrativa anche di legittimità; il progressivo spostamento dell’oggetto del giudizio amministrativo dall’atto al rapporto regolato dal medesimo, al fine di scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata e sempre che non vi si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali (cfr. recentemente Cons. Stato, ad. plen., sentenza 23 marzo 2011 n. 3), ha reso oramai intollerabile l’idea di una cognizione ristretta ai soli elementi di fatto che risultino esclusi o sussistenti in base alle risultanze procedimentali.

3.3. Il codice del processo amministrativo, al fine di dare continuità ad un modello processuale ispirato all’agilità delle forme piuttosto che al modello civilistico di giudizio a cognizione piena contraddistinto dalla predeterminazione legale di forme, termini e poteri delle parti, non ha introdotto un’autonoma fase di istruzione della causa, mantenendo fermo il principio di concentrazione dei poteri istruttori e decisori (pur con l’importante innovazione rappresentata dall’unificazione delle regole istruttorie per la giurisdizione di legittimità, esclusiva e di merito). Tuttavia, non può dirsi che il codice abbia svolto, nella specifica materia, un ruolo di mera canonizzazione dei risultati consolidati in giurisprudenza.

Per quanto permanga un assai ampio potere di intervento del giudice sul materiale di fatto introdotto dalle parti nel processo, non sembra che la formula del metodo acquisitivo nella formazione del materiale probatorio continui a connotare, negli stessi termini, il processo amministrativo. Il codice, in particolare, sembra definire, con maggiore precisione che in passato, l’oggetto ed il ruolo dei poteri ufficiosi.

Sotto il primo profilo, se l’introduzione dei fatti principali (per tale intendendosi quelli “posti a fondamento delle domande e delle eccezioni”) è opera esclusiva delle parti (art. 64, I comma, c.p.a.), sembra conseguirne che il Giudice non possa spingersi alla verifica di fatti, che pure gli appaiono rilevanti ai fini del decidere, se non dedotti dalle parti, salvo che si tratti di fatti “secondari” (ovvero dedotti in funzione esclusivamente probatoria): è, dunque, alla ricerca dei fatti allegati dalle parti, che il Giudice “può chiedere alle parti anche d’ufficio chiarimenti o documenti” (art. 63, I comma, c.p.a.), “anche d’ufficio, può ordinare anche a terzi di esibire in giudizio i documenti o quanto altro ritenga necessario” (art. 63, II comma, c.p.a.), oppure “disporre, anche d’ufficio, l’acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione” (art. 64, III comma, c.p.a.).

Non sembra poi che, all’onere dell’introduzione della parte consegua automaticamente (come postula il metodo acquisitivo nella sua classica formulazione), il dovere di acquisizione del giudice semplicemente perché ne è stato offerto un principio di prova. Il richiamo del principio dell’onere della prova (articoli 63, I comma, e 64, I comma), a questo riguardo, sembra introdurre al riguardo un duplice limite.

In primo luogo, il principio dispositivo è mitigato dal metodo acquisitivo soltanto in relazione all’effettiva indisponibilità dei mezzi di prova. Inoltre, sembra doversi inferire che i poteri di ufficio sono preordinati essenzialmente ad evitare la meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova. In altre parole, il contemperamento del principio dispositivo sia con le esigenze di equilibrare la posizione della parte privata sia con la necessità di ricercare la verità materiale (stante l’estrema rilevanza pubblica delle questioni trattate), sembrerebbe essere stato predefinito dal legislatore nel senso che, allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, possa e debba disporre d’ufficio gli atti istruttori (“sollecitati” dal materiale acquisito), onde superare l’incertezza dei fatti in contestazione.

In definitiva, nella prospettiva segnalata, i poteri istruttori non potrebbero essere esercitati, non soltanto sulla base del sapere privato del giudice, ma anche con riferimento a fatti non allegati dalle parti, non acquisiti al processo in modo rituale, nonché contro la volontà delle parti di non servirsi di detta prova; del pari, in presenza di una prova piena già acquisita, non potrebbe il Giudice d’ufficio ammettere una prova diretta a sminuirne la pregnanza.

3.4. Oltre a trovare definitiva consolidazione il principio dispositivo quale fondamento della istruttoria (pur nella sua declinazione “attenuata”), una formula assai innovativa è quella che consente al giudice di disporre anche l’assunzione di altri mezzi di prova contemplati dal codice civile. Si tratta di una norma di chiusura che vuole assicurare l’accesso al fatto in modo pieno, a conferma di un nuovo paradigma del giudizio incentrato sul rapporto senza il diaframma delle risultanze procedimentali. L’esclusione dell’interrogatorio formale e del giuramento continua a giustificarsi in ragione della indisponibilità per le parti delle situazioni soggettive fatte valere e, stante il loro carattere di prova legale, per la inconciliabilità con la libertà di apprezzamento del giudice.

Il rinvio al codice di procedura civile deve ritenersi indirizzato anche all’interrogatorio libero delle parti. La sua ammissibilità, oltre a non essere preclusa dal carattere formale dell’attività amministrativa procedimentale, come si desume dall’ammissibilità della testimonianza scritta e dalla possibilità del Giudice di desumere argomenti di prova anche dal comportamento delle parti nel corso del processo (art. 64, comma 4, c.p.a.), si impone: sia in considerazione della pari dignità delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte che impone di evitare disparità di tutela sul terreno probatorio tra la sede giurisdizionale ordinaria e quella amministrativa; sia in ossequio al principio di parità delle parti (art. 2 c.p.a.), concretizzando la facoltà della parte privata di formulare chiarimenti (non a caso l’art. 63, I comma, c.p.a., riferisce il potere del Giudice di chiedere chiarimenti “alle parti”).

Neppure può valere l’obiezione secondo cui l’interrogatorio libero non è un mezzo di prova vero e proprio (cosicché non sarebbe ricompreso nel predetto rinvio al codice di procedura civile), dal momento che l’espressione stessa utilizzata dal codice del processo amministrativo è imprecisa, sol che si osservi che i mezzi di prova sono definiti (ad eccezione dell’ispezione) dal codice civile, limitandosi il codice di rito alla disciplina dei procedimenti di produzione ed assunzione delle prove nel processo.

Sotto altro profilo, non è preclusa dalla legge la partecipazione della parte sostanziale alla trattazione dell’incidente cautelare: difatti, l’art. 55, comma 7, c.p.a. si limita a precisare che, nella camera di consiglio, (soltanto) i difensori sono sentiti ove ne facciano richiesta, previsione quest’ultima compatibile con il fatto che nel processo amministrativo l’interrogatorio libero non è atto processuale che deve indefettibilmente svolgersi in limite litis (come invece per gli articoli 183 e 420 c.p.c.) ma è dipeso da una apposita e discrezionale valutazione di rilevanza del Collegio.

4. Passando ora allo scrutinio delle censure sollevate, ritiene il Collegio che, in disparte i dedotti profili di violazione del contradditorio procedimentale, il ricorso sia, nel merito, fondato.

4.1. Non sussistano, infatti, i presupposti per le misure amministrative introdotte dal d.l. 23 febbraio 2009 n. 11 (convertito, con modificazioni, in legge 23 aprile 2009 n. 38), al fine di assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso l’introduzione di una disciplina organica in materia di atti persecutori. Anche qui sono necessari brevi spunti ricostruttivi.

4.2. In particolare, ai sensi dell’art. 8, fino a quando non è proposta querela per il reato di atti persecutori di cui all’articolo 612-bis del codice penale (introdotto dall’articolo 7 dello stesso decreto legge), la persona offesa può avanzare richiesta al Questore di ammonimento nei confronti dell’autore di condotte persecutorie.
Sono considerate tali quelle reiterate con cui chiunque minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

4.3. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore il quale, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta anche l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni. Si prevede che la pena per il delitto di cui all’articolo 612-bis del codice penale sia aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito e che si proceda d’ufficio al suo accertamento.

4.4. La finalità dell’ammonimento è di dissuadere il persecutore dal persistere nel suo atteggiamento in una fase prodromica in cui, pur non attingendo la sua condotta la soglia della rilevanza penale, tuttavia, già si intravedono elementi di rischio di una possibile escalation criminale; ovvero ancora, per dare alla vittima, familiare del persecutore o comunque ad egli legata da vincolo affettivo, restia ad una denuncia penale per motivi di solidarietà ed affetto, la possibilità di richiamare l’aggressore ad una condotta più prudente e non lesiva.
4.5. Con riguardo ai rapporti con il procedimento penale, è stato sottolineato come il ben diverso peso delle conseguenze dell’ammonimento e dei provvedimenti del giudice penale giustificano il diverso spessore dell’attività investigativa che si richiede nelle due ipotesi. Non è necessario, ai fini dell’ammonimento, che si sia raggiunta la prova del reato, essendo sufficiente fare riferimento ad elementi dai quali è possibile desumere un comportamento persecutorio o gravemente minaccioso che ha ingenerato nella vittima un forte stato di ansia e di paura.
Diversamente opinando, ovvero se si richiedesse alla vittima di fornire prove tali da poter resistere in un giudizio penale, la previsione dell’ammonimento avrebbe scarse possibilità di applicazione pratica, atteso che le condotte integranti lo stalking, per loro natura, si consumano spesso in assenza di testimoni. La disciplina normativa è infatti chiara nel delimitare i poteri-doveri del Questore in materia, prescrivendo che questi assuma "se necessario informazioni dagli organi investigativi" e senta "le persone informate dei fatti", al fine di formarsi un prudente convincimento circa la fondatezza dell’istanza (TAR SICILIA - CATANIA, SEZ. IV - sentenza 29 aprile 2010 n. 1289). In definitiva, il Questore deve soltanto apprezzare discrezionalmente, sulla base dei fatti esposti e degli elementi probatori fornite dal richiedente e degli altri che ritiene di acquisire dagli organi investigativi e dall’audizione delle persone informate sui fatti, la fondatezza dell’istanza, raggiungendo una ragionevole certezza sulla plausibilità e verosimiglianza delle vicende ivi esposte, senza che sia necessario il compiuto riscontro dell’avvenuta lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale incriminatrice (nel caso in esame, la libertà morale, compromessa dallo stato di ansia e timore che impedisce alla vittima di autodeterminarsi senza condizionamenti).

5. Nella specie, il provvedimento impugnato trova origine nella richiesta avanzata dal figlio della ricorrente, sig. A.F., del 26 ottobre 2010. Esso è motivato in ragione dei seguenti atti posti in essere dalla ricorrente: - appostamenti presso l’Università degli Studi di Pavia dove il figlio svolge l’attività di studio; - invio di numerosa corrispondenza indesiderata; - inoltro di numerose chiamate all’utenza telefonica e continui tentativi di un indesiderato contatto con l’esponente, coinvolgendo terze persone. Si legge, inoltre, che tali atti persecutori, oggettivamente ritenuti idonei da causare un grave stato d’ansia e paura, sarebbero aumentati in considerazione della vendita di un immobile di proprietà di A.F., evento che avrebbe ulteriormente accentuato l’attività persecutoria nei suoi confronti da parte della madre; che tali atti avrebbero costretto il ragazzo a cambiare le proprie abitudini di vita per non essere da lei rintracciato (ad esempio avrebbe dovuto cambiare due dimore, utenze cellulari, abbandonare vecchie amicizie e luoghi frequentati in passato).

5.1. Orbene, ritiene il Collegio che a fare difetto nella ricostruzione operata dalla amministrazione sia, in radice, il carattere persecutorio del comportamento ascritto alla madre del F.. A tal fine si richiede un comportamento oggettivamente “minaccioso” o “molesto”, posto in essere con condotte reiterate, tale da porre il contendente in una posizione di ingiustificata predominanza, da cui consegua uno specifico evento di danno (un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero, in alternativa, il fondato timore per la propria incolumità ovvero, sempre in alternativa, l’alterazione delle proprie abitudini di vita).
Non si vede come possa integrare il presupposto appena descritto il tentativo di una madre di venire a conoscenza del luogo in cui abbia la residenza il figlio (chiedendo informazioni presso conoscenti); l’invio di due e-mail e due SMS (tra l’altro, pare, non direttamente ma tramite l’intermediazione di un rappresentante della Curia); due colloqui svolti presso la Curia in presenza di terze persone; il carattere patrimoniale delle richieste (fondate o infondate che siano) avanzate da un genitore nei confronti del figlio, per quanto possano apparire bizzarre agli occhi di un estraneo; circa l’invio di numerosa corrispondenza indesiderata e l’inoltro di
numerose chiamate all’utenza telefonica, poi, non vi è alcun riscontro probatorio in atti. Si tratta, peraltro, di condotte che, per numero e modalità, sono verosimilmente insuscettibili di comportare un “perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva”.

5.2. Oltre a fare difetto il profilo della reiterazione ossessiva di condotte vessatorie, sia l’idoneità a ingenerare il fondato timore per l’incolumità propria e del prossimo congiunto, il provvedimento di ammonimento è anche incongruo rispetto alle risultanze della istruttoria svolta: quali atti di riscontro, oltre l’esposto presentato da A.F., il provvedimento cita le successive dichiarazioni acquisite da persone informate sui fatti e relazioni ed annotazioni redatte dal personale della Compagnia Carabinieri di Vigevano intervenuti in varie circostanze; si tratta, infatti, di documenti che attestano colloqui avuti con la ricorrente da cui può, al più, desumersi una condizione di disagio emotivo e sociale che, tuttavia, può costituire il presupposto di tutt’altro tipo di intervento della pubblica amministrazione (cfr. il verbale dell’incontro organizzato presso la Curia di Vigevano al quale hanno partecipato un rappresentante della Curia stessa, il Comandante della Compagnia Carabinieri di Vigevano, il F. e la madre).

5.3. In definitiva, il comportamento dell’amministrazione tradisce uno sviamento di potere. Il decreto di ammonimento non può essere utilizzato né quale strumento per ingerirsi in situazioni di pura conflittualità familiare, per quanto esasperata (sempreché, beninteso, non superi la soglia della persecutorietà); meno che meno tale strumento può essere utilizzato con funzione cautelare rispetto alla
“pericolosità sociale” degli individui (che come la ricorrente abbiano compiuto un delitto assai grave), situazione quest’ultima rispetto alla quale l’ordinamento contempla altri strumenti e ben altre garanzie (tra l’altro, osserva il Collegio, il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Milano del 17 dicembre 2008, citato dall’ispettore capo nel corso dell'interrogatorio libero, oltre a non essere minimamente citato tra gli atti del procedimento amministrativo, è stato revocato, a seguito di interposto appello, dal Tribunale di Sorveglianza di Milano il con pronuncia del 24 settembre 2009).

5. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
ACCOGLIE il ricorso e, per l’effetto, annulla i provvedimenti indicati in epigrafe;
CONDANNA l’amministrazione al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente che si liquida in € 800,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Stefano Celeste Cozzi, Presidente FF
Dario Simeoli, Referendario, Estensore
Raffaello Gisondi, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/05/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Nessun commento:

Posta un commento