martedì 17 luglio 2012

La lezione di Giulio Paolini sull'arte.


Tra performance che riflettono solo se stesse e inutili tavoli di partecipazione
pubblicato lunedì 16 luglio 2012
Giulio Paolini - Les Herbes folles - 2010 - matita e collage su carta, collage su parete, teca di plexiglas - courtesy l’artista & Studio Dabbeni, Lugano - photo Alessandro Zambianchi

Leggere Giulio Paolini, in una lunga intervista di Franco Marcoaldi apparsa su Repubblica, intorno al tema del bello, è un po' come respirare una boccata d'aria fresca. Certo, è un punto di vista tagliente, forse reazionario quello del grande protagonista dell'Arte Povera, che i più potranno tacciare come antico e antiquato, senza attinenze con il presente centrifugato, ma che risale al valore della storia, del tempo e dell'arte. Che persegue oggi, sono le parole di Paolini «ciò che non le compete, ovvero una dimensione di partecipazione, comunicazione e informazioni, con risultati nefasti». Obiettivi che invece dovrebbero avvicinare altre attività come la politica. E l'esempio cade su Documenta, specificatamente nell'edizione di quest'anno, dove la curatrice Christov-Bakargiev ha inserito nell'organico dei curatori anche altri "agenti", spesso lontani dal mondo dell'arte anche se profondamente legati agli aspetti culturali del mondo. Ma Paolini su questo punto rincara la dose: «Che lo si voglia o meno, l'arte non si siede intorno a nessun tavolo: sta su un trono o in un angolo, a seconda dei casi» dichiara l'artista intorno alle modalità dell'arte di raccogliersi a riflettere sulle questioni dell'attualità.
E poi c'è la questione musei, i grandi contenitori che devono intrattenere, creare uno spazio di condivisione per famiglie, per occupare una giornata libera: «Oggi l'arte è diventata una questione di "democrazia", alla cui sfera vengono attribuiti effetti che non gli appartengono». L'ultimo pensiero vola alla performance, soprattutto nella dimensione più estemporanea e "live" che caratterizza l'azione: «La performance dimostra soltanto se stessa, occupa uno spazio in modo invadente e categorico [...] mentre la messinscena teatrale, nonostante il "qui e ora" obbedisce a un codice progettuale preciso» chiosa Paolini. Insomma, lo spazio per una riflessione è piuttosto ampio, anche solamente toccando questi tre punti fondamentali dell'intervento dell'artista. Che come tutte le grandi personalità del nostro contemporaneo, a costo di risultare impopolare, è andato dritto al nervo di una questione da diverso tempo "sospesa".

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