venerdì 17 novembre 2017

La bella tedeschina ballerina nei night uccisa a coltellate


VIA VENETO NERA

La bella tedeschina ballerina nei night uccisa a coltellate

Nel maggio del 1963, la strada della "Dolce Vita" viene sporcata dal sangue di una ragazza, quello dell'attrice e fotomodella Christa Wanninger, 23 anni
Nel maggio del 1963 il delitto della "bellissima tedeschina"
È il 1960 quando il film di Federico Fellini esce nelle sale. Racconta una Roma diventata meta di star internazionali del cinema e di paparazzi che le inseguono per immortalarne vizi e stravizi, scenate di gelosia e sbronze finite a cazzotti. Uno spettacolo nello spettacolo, una passerella rutilante ed esclusiva che ha per centro via Veneto e i suoi locali.
Tre anni dopo la strada della Dolce Vita viene sporcata dal sangue di una ragazza, quello della “bellissima tedeschina” Christa Wanninger, come la definiscono i giornali dell’epoca, che sparano per settimane in prima pagina titoli di cartone sull’efferato delitto. Il suo presunto assassino viene arrestato, ma assolto in primo grado per insufficienza di prove.
I fatti avvengono il 2 maggio 1963. Sono passate da poco le 14,30 quando la polizia arriva in via Emilia 81. Sul pianerottolo del quarto piano c’è una ragazza agonizzante che indossa un cappotto verde. L’ascensore è bloccato, le porte interne aperte, quella interna chiusa. La ferita è Christa, attrice e fotomodella, è nata 23 anni prima a Monaco di Baviera. Arriverà già cadavere al policlinico Umberto I. È stata accoltellata sette volte. E sette persone hanno visto allontanarsi lungo le scale un uomo che, con tutta probabilità, è il suo carnefice.
Una di loro è la portiera, Francesca Barbonetti. La donna si trova al terzo piano per recapitare una raccomandata, quando sente «un forte urlo provenire dal piano superiore». Sale e vede un uomo sui 30-32 anni, alto circa un metro e 75, robusto, con un abito scuro che sta scendendo. «Gli chiesi cosa fosse accaduto – riferisce la Barbonetti alla polizia – e mi rispose: “una signora che strilla, non so”». Viene disegnato un identikit, ma le indagini non fanno molti passi in avanti. I tentativi di stabilire un nesso fra la vittima e il suo killer falliscono. E la stampa si scatena in modo morboso, anche perché quello della tedesca venuta a cercare fortuna nella città della Dolce Vita era il diciassettesimo delitto irrisolto nella capitale dal dopoguerra. Nei guai finisce pure l’amica e connazionale che Christa stava andando a trovare in via Emilia, Gerda Hodapp.
La donna, che apre con ritardo la porta di casa alla polizia, sostiene che al momento dell’omicidio stava dormendo e, se l’amica ha suonato al campanello, lei non l’ha sentita. E non l’ha sentita neppure quando ha urlato dopo essere stata ferita a morte. Una “sordità” che suona sospetta agli investigatori e che la fa finire nei guai.
La vera svolta arriva dieci mesi dopo. Il 6 marzo 1964 un uomo chiama la redazione di un giornale. Sostiene di avere importanti informazioni sul caso e chiede un compenso di cinque milioni. L’anonimo rivela un dettaglio non pubblicato sui giornali: la vittima indossava un cappotto verde. Il cronista gli dice di chiamare più tardi e, intanto, allerta i carabinieri. Quella stessa sera il telefonista viene sorpreso. Si chiama Guido Pierri, ha 32 anni e il suo volto corrisponde a quello dell’identikit. In tasca ha un coltello di 30 centimetri, ma viene poi scarcerato senza neppure essere interrogato.
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