Omaggi al quadrato
Omaggi al Quadrato è un’unica intera opera d’arte. Mi è stato chiaro improvvisamente, dopo alcuni giorni di una meditazione vagamente forzata da un bisogno didattico di comprensione, trovando così il filo di Arianna necessario per uscire dallo stupendo labirinto pittorico dei quadrati di Iosef Albers in cui ci si smarrisce realmente, (come in un tempio Maya, da lui ben conosciuti e, a base quadrata), in cui gli infiniti corridoi sempre uguali portano alle pareti centinaia di quadrati dipinti: anch’essi uguali?
Per nulla, uguale è tutt’al più la divina costanza di un uomo seriamente innamorato del proprio credo e del proprio lavoro, indistintamente innamorato di tutti i colori, che sono il fine stesso della sua fedeltà, un maestro che ci accompagna benevolo in una esplorazione congiunta di percezione ottica e di psicologia, di sintesi costruttivista e di avanguardia.
Per nulla, uguale è tutt’al più la divina costanza di un uomo seriamente innamorato del proprio credo e del proprio lavoro, indistintamente innamorato di tutti i colori, che sono il fine stesso della sua fedeltà, un maestro che ci accompagna benevolo in una esplorazione congiunta di percezione ottica e di psicologia, di sintesi costruttivista e di avanguardia.
Non si entra in questo labirinto con impeto sbrigativo per poi passare ad una agitazione frenetica prima di capitolare, al contrario, in questo labirinto si entra lentamente e si esce ancora più lenti, pur ammettendo che si voglia uscire, per lo stato trascendentale ed ipnotico a cui si arriva seguendo un percorso lungo più di due decenni.
Questo è stato il tempo impiegato da Josef Albers per erigere il ciclo Omaggi al Quadrato, esposto da una riassuntiva ed efficace rappresentanza al Museo Morandi di Bologna, curata da Peter Weiermair e Giusi Vecchi, nel suggerimento di convivenza e confronto con le opere del pittore bolognese.
Questo è stato il tempo impiegato da Josef Albers per erigere il ciclo Omaggi al Quadrato, esposto da una riassuntiva ed efficace rappresentanza al Museo Morandi di Bologna, curata da Peter Weiermair e Giusi Vecchi, nel suggerimento di convivenza e confronto con le opere del pittore bolognese.
Iniziato nel 1950 Omaggi al Quadrato è un poliedro di quasi un migliaio di opere, un’immensa testimonianza artistica e di vita che mi ha affascinato proprio attraverso la considerazione dell’insieme, come se dagli anni di tante ricerche ne fosse risultato un unico grande quadrato che comprendesse tutte le linee e tutti i colori conosciuti singolarmente da Albers.
Un Omaggio al quadrato è una composizione squisitamente cromatica data da tre oppure quattro quadrati di misura decrescente inscritti l’uno nell’altro.
Un Omaggio al quadrato è una composizione squisitamente cromatica data da tre oppure quattro quadrati di misura decrescente inscritti l’uno nell’altro.
La forma è priva di linee tracciate ed è data dalla tangenza dei colori puri distribuiti direttamente dal tubetto e distesi accuratamente con la spatola, in cui ogni quadrato è portatore caratteristico di un colore che ha ragione di essere non a priori ma solo una volta associato agli altri pigmenti.
Sboccia e si rivela così il senso e il fine compositivo secondo il quale nessun colore ha un aspetto univoco ma viene caratterizzandosi dalla stretta relazione con gli altri, secondo una precisa Interazione più armonica o dissonante a seconda degli accostamenti.
Il colore è relativo, l’aspetto più relativo che ci sia in arte, questo è il messaggio.
Non solo ha una parzialità concettuale praticamente infinità, perché l’idea mentale di uno stesso colore è diversa per ognuno, ma anche la sua presenza fisica viene vissuta diversamente e nessuno può realmente conoscere ciò che viene avvertito da un altro.
Le onde di rifrazione della luce di due colori accostati entrano in relazione arrivando alla variabile di modificazione dei toni “originario” attraverso una dinamicità non compositiva ma, nel caso di Albers, percettivo-psicologica.
In assenza di chiaro-scuro la tridimensionalità non è ricercata mai, invece l’idea di spazio coincide sostanzialmente con l’idea di un movimento strettamente interno all’opera percepibile dalle variazioni dei concetti di luminosità e brillantezza delle campiture e dal loro contatto interagente; per cui come dice Albers stesso, “i miei quadrati si muovono avanti e indietro, sembrano avanzare e recedere, crescere e rimpicciolirsi” secondo anche la scelta di composizioni di toni caldi notoriamente percepiti come un incontro espansivo con chi guarda e tono freddi, concentrati e distanzianti, sovrapposti in una gamma praticamente infinita di combinazioni.
Sboccia e si rivela così il senso e il fine compositivo secondo il quale nessun colore ha un aspetto univoco ma viene caratterizzandosi dalla stretta relazione con gli altri, secondo una precisa Interazione più armonica o dissonante a seconda degli accostamenti.
Il colore è relativo, l’aspetto più relativo che ci sia in arte, questo è il messaggio.
Non solo ha una parzialità concettuale praticamente infinità, perché l’idea mentale di uno stesso colore è diversa per ognuno, ma anche la sua presenza fisica viene vissuta diversamente e nessuno può realmente conoscere ciò che viene avvertito da un altro.
Le onde di rifrazione della luce di due colori accostati entrano in relazione arrivando alla variabile di modificazione dei toni “originario” attraverso una dinamicità non compositiva ma, nel caso di Albers, percettivo-psicologica.
In assenza di chiaro-scuro la tridimensionalità non è ricercata mai, invece l’idea di spazio coincide sostanzialmente con l’idea di un movimento strettamente interno all’opera percepibile dalle variazioni dei concetti di luminosità e brillantezza delle campiture e dal loro contatto interagente; per cui come dice Albers stesso, “i miei quadrati si muovono avanti e indietro, sembrano avanzare e recedere, crescere e rimpicciolirsi” secondo anche la scelta di composizioni di toni caldi notoriamente percepiti come un incontro espansivo con chi guarda e tono freddi, concentrati e distanzianti, sovrapposti in una gamma praticamente infinita di combinazioni.
Le basi dei quadrati sono spostate con un leggero scarto verso il lato di base, producendo un ulteriore movimento percettivo verso il basso o verso l’alto che esula dalla staticità un po’ banale della simmetria, realizzando un effetto stimolante ottimamente espresso in catalogo da Fox Weber come “un invito alla perplessità”.
L’ esplicita staticità di impianto e nettezza delle campiture quadrangolari sono necessarie per permettere il verificarsi percettivo di ogni singolo colore, ( il dinamismo vorticoso e destabilizzante proprio dell’ Optical Art, non a caso basato di più sulla linea, si muove in opposta direzione), senza macchiarne l’isolamento necessario per caratterizzarli come individuali; per Albers: “il colore segue proprio come l’essere umano, due diversi modi di comportamento: prima realizza se stesso e poi instaura rapporti con gli altri”.
L’idea di spazio esce di molto dalla tradizionale illusività rappresentativa per costituirsi come volume di un oggetto, ovvero il quadro in tutta la sua composizione materiale di supporto e pigmenti vuole essere una “cosa” che si definisce nello spazio esterno, tanto che la cornice non esiste come vero limite ma come elemento compositivo e la parete stessa diventa supporto e cornice potenzialmente illimitata di un opera che ne è il fulcro compiuto.
Il quadrato è la forma che meglio si presta ad una simile ricerca, perché è stabile, comprensibile immediatamente ed emotivamente coinvolge meno del cerchio o del triangolo, risolve i contrasti, i drammi per lasciare spazio libero alla funzione (interagente) del colore.
Il quadrato di Albers non si riveste del significato meramente simbolico di sunto ideografico del meccanismo universale ma diviene forma estremamente concreta per il ripetuto e verificato utilizzo da parte dell’artista.
Tralasciano la sola idealità per unire pratica e teoria, il simbolico al fisiologico ed in virtù del valore di ricerca che questi quadrati assumono, divengono simbolo solo di loro stessi, non confondibili con ciò che non compendi questo preciso “mestiere costruttivo”.
L’ esplicita staticità di impianto e nettezza delle campiture quadrangolari sono necessarie per permettere il verificarsi percettivo di ogni singolo colore, ( il dinamismo vorticoso e destabilizzante proprio dell’ Optical Art, non a caso basato di più sulla linea, si muove in opposta direzione), senza macchiarne l’isolamento necessario per caratterizzarli come individuali; per Albers: “il colore segue proprio come l’essere umano, due diversi modi di comportamento: prima realizza se stesso e poi instaura rapporti con gli altri”.
L’idea di spazio esce di molto dalla tradizionale illusività rappresentativa per costituirsi come volume di un oggetto, ovvero il quadro in tutta la sua composizione materiale di supporto e pigmenti vuole essere una “cosa” che si definisce nello spazio esterno, tanto che la cornice non esiste come vero limite ma come elemento compositivo e la parete stessa diventa supporto e cornice potenzialmente illimitata di un opera che ne è il fulcro compiuto.
Il quadrato è la forma che meglio si presta ad una simile ricerca, perché è stabile, comprensibile immediatamente ed emotivamente coinvolge meno del cerchio o del triangolo, risolve i contrasti, i drammi per lasciare spazio libero alla funzione (interagente) del colore.
Il quadrato di Albers non si riveste del significato meramente simbolico di sunto ideografico del meccanismo universale ma diviene forma estremamente concreta per il ripetuto e verificato utilizzo da parte dell’artista.
Tralasciano la sola idealità per unire pratica e teoria, il simbolico al fisiologico ed in virtù del valore di ricerca che questi quadrati assumono, divengono simbolo solo di loro stessi, non confondibili con ciò che non compendi questo preciso “mestiere costruttivo”.
Apparentemente il valore estetico può sembrare subordinato alla volontà sperimentale, inscrivibile nella definizione di scienza dell’arte come tentativo di ritrovare nel fare artistico alcuni principi stabili e verificabili e da qui generalizzabili; ma se proviamo ad intendere come “estetico” anche l’interesse e il contributo di cui queste sperimentazioni si rivestono, l’estetica dei quadrati di Albers sta proprio nell’indagine e dimostrazione delle relazioni cinetiche tra i colori entro il prestito dello schema quadrato.
La percezione è il “medium” preliminare di un più vasto percorso di comprensione delle immagini, “cioè del conoscere e pensare attraverso le immagini” (Argan), che si consolida poi nell’individualità dell’Immaginazione superando così la rigidezza del compito tecnico verso un concetto estetico.
Paradossalmente se il valore tradizionale di “estetico” pare ridursi ad un volontario subordine, si può invero allargare al massimo fino a generalizzarsi nel piacere soggettivo di una composizione in arancione o magari di morbidi grigi.
La percezione è il “medium” preliminare di un più vasto percorso di comprensione delle immagini, “cioè del conoscere e pensare attraverso le immagini” (Argan), che si consolida poi nell’individualità dell’Immaginazione superando così la rigidezza del compito tecnico verso un concetto estetico.
Paradossalmente se il valore tradizionale di “estetico” pare ridursi ad un volontario subordine, si può invero allargare al massimo fino a generalizzarsi nel piacere soggettivo di una composizione in arancione o magari di morbidi grigi.
Josef Albers nasce nel 1888 a Bottrop in Germania, compie studi artistici a Berlino poi Monaco, (sotto la direzione di F. von Stuck), prima di entrare nel 1920 nel Bauhaus di Weimar.
Nel 1925 con il trasferimento della scuola a Dessau diventa docente del “Corso Preparatorio” esercitando notevole influenza su un’intera generazione di artisti, architetti e designer.
Sposa Anni Fleischmann, già sua allieva, ottima artista, con cui condivide una simile sperimentazione astratta; nel 1930 diviene vice direttore del Bauhaus, costretto a chiudere tre anni dopo per la stupidità nazista.
Fuggito negli Stati Uniti è invitato ad insegnare al nuovo Black Mountain College nella Carolina del Nord, ed inizia un periodo di numerosi viaggi alla scoperta delle civiltà pre-colombiane in centro e sud America divenendo un collezionista appassionato di reperti archeologici.
Biconjugates e Kinetics sono lavori dell’inizio anni ’40 che precorrono gli Omaggi al quadrato; dal 1946 viaggia in molti stati degli U.S.A., dal Texas fino al Canada, nel 1949 lascia il Black Mountain College; i coniugi Albers ricevono numerosi incarichi come docenti ospiti e in cicli di conferenze negli Stati Uniti e in Sud America.
Nel 1950 inizia il suo percorso artistico più famoso nel ciclo Homages to the Square, in olio su masonite; nello stesso anno accetta la nomina a Direttore del Department of Design alla Yale University.
Fra il 1952 e 1954 viaggia in Messico, Perù e Cile.
A metà anni ’50 ritorna in patria per tenere dei corsi come docente ospite e nel 1961 lo Stedelij Museum organizza una sua personale.
Nel 1963 esce per la Yale University Press Interaction of Color, il fondamentale libro, (insieme al testo di Goethe), che riporta tutte le teorie delle ricerche sulla percezione del colore compiute da Albers, paragonando il rapporto tra i colori alle strutture musicali fatte di armonie, accordi, assonanze e dissonanze.
Nel 1971, fu il primo artista ancora in vita ad avere il privilegio di una retrospettiva al Metropolitan Museum di New York.
Josef Albers muore il 25 marzo del 1976 a New Haven, viene sepolto a Orange nel Connecticut.
Nel 1983 Anni Albers presiede all’apertura dello Josef Albers Museum di Bottrop che conserva la più grande collezione di opere dell’artista e contribuente principale insieme alla Josef and Anni Albers Foundation di Bethany, per l’esposizione bolognese.
Nel 1925 con il trasferimento della scuola a Dessau diventa docente del “Corso Preparatorio” esercitando notevole influenza su un’intera generazione di artisti, architetti e designer.
Sposa Anni Fleischmann, già sua allieva, ottima artista, con cui condivide una simile sperimentazione astratta; nel 1930 diviene vice direttore del Bauhaus, costretto a chiudere tre anni dopo per la stupidità nazista.
Fuggito negli Stati Uniti è invitato ad insegnare al nuovo Black Mountain College nella Carolina del Nord, ed inizia un periodo di numerosi viaggi alla scoperta delle civiltà pre-colombiane in centro e sud America divenendo un collezionista appassionato di reperti archeologici.
Biconjugates e Kinetics sono lavori dell’inizio anni ’40 che precorrono gli Omaggi al quadrato; dal 1946 viaggia in molti stati degli U.S.A., dal Texas fino al Canada, nel 1949 lascia il Black Mountain College; i coniugi Albers ricevono numerosi incarichi come docenti ospiti e in cicli di conferenze negli Stati Uniti e in Sud America.
Nel 1950 inizia il suo percorso artistico più famoso nel ciclo Homages to the Square, in olio su masonite; nello stesso anno accetta la nomina a Direttore del Department of Design alla Yale University.
Fra il 1952 e 1954 viaggia in Messico, Perù e Cile.
A metà anni ’50 ritorna in patria per tenere dei corsi come docente ospite e nel 1961 lo Stedelij Museum organizza una sua personale.
Nel 1963 esce per la Yale University Press Interaction of Color, il fondamentale libro, (insieme al testo di Goethe), che riporta tutte le teorie delle ricerche sulla percezione del colore compiute da Albers, paragonando il rapporto tra i colori alle strutture musicali fatte di armonie, accordi, assonanze e dissonanze.
Nel 1971, fu il primo artista ancora in vita ad avere il privilegio di una retrospettiva al Metropolitan Museum di New York.
Josef Albers muore il 25 marzo del 1976 a New Haven, viene sepolto a Orange nel Connecticut.
Nel 1983 Anni Albers presiede all’apertura dello Josef Albers Museum di Bottrop che conserva la più grande collezione di opere dell’artista e contribuente principale insieme alla Josef and Anni Albers Foundation di Bethany, per l’esposizione bolognese.
Josef Albers. Omaggio al Quadrato – Una retrospettiva
Museo Morandi – Comune di Bologna28 gennaio – 30 aprile 2005
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