martedì 10 ottobre 2017

ergastolo per l’omicidio di Fortuna: “Caputo privo di ogni senso morale”




Caivano. Le motivazioni della condanna all’ergastolo per l’omicidio di Fortuna: “Caputo privo di ogni senso morale”

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Caivano. È un libro degli orrori la sentenza del processo sull’omicidio di Fortuna Loffredo detta Chicca, la bambina di sei anni che il 24 giugno 2014 venne lanciata nel vuoto da un terrazzo del palazzo del Parco Verde dove abitava con la famiglia. I fantasmi e i mostri di questa storia ritornano tutti, nelle pagine con le quali la Corte di Assise riassume le motivazioni della condanna all’ergastolo decisa per Raimondo Caputo detto “Titò”, accusato del delitto e di abusi sessuali ai danni di altre tre bambine, e della condanna 10 anni di reclusione comminata alla ex compagna di Caputo, Marianna Fabozzi, accusata di concorso in uno degli abusi contestati all’uomo. Ripercorrendo i fatti, torna alla luce il dramma dell’infanzia violata di Fortuna e delle altre piccole vittime, si delineano i silenzi e le prevaricazioni degli adulti, appare con chiarezza la «imperante logica omertosa» che ha «contraddistinto molti testimoni e parti civili di questo processo». Sul teatro di questa tragedia si muovono bambine che sognano «un ragno cattivo, che fa il serpente», una madre che assiste indifferente agli abusi, una piccola testimone oculare trattata come una donna, costretta a mentire e colpevolizzata per le dichiarazioni che avrebbero potuto svelare un «segreto» da custodire ad ogni costo. Quella stessa teste, amica del cuore di Fortuna, che comincerà a parlare solo quando sarà allontanata dalla famiglia. Sarà lei, nel diario regalatole dalla psicologa, a scrivere queste righe: «Finalmente ho detto tutta la verità. So’ felice e ora mi sento più tranquilla e felice di aver detto tutta la verità alle dottoresse e non voglio andare con un’altra famiglia. Quello deve pagare quello che ha fatto». La bambina si riferisce proprio a Titò. Per il collegio presieduto da Alfonso Barbarano, relatrice Annalisa De Tollis, «la volontà omicida di Caputo è stata accertata in base a plurimi elementi probatori». Nella ricostruzione della Corte, il giorno dei fatti Caputo, «nella deliberata esecuzione di un atto di predazione sessuale ai danni di Fortuna, l’ha portata con sé all’ottavo piano dello stabile ed è rimasto con lei fino al momento della precipitazione». Perché abbia fatto questo, «quale sia stata la ragione contingente che ha spinto Caputo all’omicidio – scrive la Corte – essa si appalesa comunque aberrante e perversa, così da evidenziare una personalità priva di qualsiasi senso morale e rispetto dell’altro». Nella relazione tra l’uomo, definito «un sex offender» e la ex compagna Marianna Fabbozzi, madre di Antonio Giglio, il bimbo morto un anno prima di Fortuna in circostanze analoghe, si sarebbe instaurata, secondo i giudici, «una situazione di reciproco scacco, un patto condiviso» che avrebbe «rinforzato Caputo nei suoi propositi pedofili». I due «si coprivano a vicenda», perché Caputo sospettava, per averlo appreso dalla sorella, che la donna avesse ucciso Antonio e di questo, oltre che dell’omicidio di Fortuna, l’ha poi accusata anche in udienza. Marianna, accusa la Corte, «ha avuto conoscenza o conoscibilità di condotte abusanti del suo convivente» ma non ha fatto nulla. «Ha sacrificato l’integrità morale e psicofisica delle bimbe per offrire copertura a un uomo depravato». L’avvocato Gennaro Razzino, difensore di parte civile della madre di Fortuna, sottolinea come i giudici abbiano seguito un «percorso logico giuridico che, mai come in questo caso, dà contezza dello scenario raccapricciante in cui si è consumato il delitto». Anche per questo colpisce il senso di liberazione descritto dalla piccola testimone nel suo diario. È una piccola luce in questi luoghi oscuri segnati dalla violenza. (Dario Del Porto – la Repubblica)

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