AVVOCATI DOPO CONTRIBUTI ANCHE ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA, IN MIGLIAIA SI CANCELLANO
Avvocati decimati dalle tasse. Dopo i contributi previdenziali che si fanno sempre più pesanti e vanno ad aggiungersi alle spese di giustizia sempre più elevate, assommate a quelle d’ufficio, ai trasporti aumentati per chi lavora in periferia visti i tagli dei Tribunali locali e sempre nuove continue imposizioni, ora l’assicurazione obbligatoria entrata appena in vigore sta portando migliaia di avvocati a cancellarsi.
Una cancellazione che può riservare sorprese perché se non ci si toglie la partita IVA, iscrizione dall’ albo e dalla Cassa contemporaneamente, comunicando a tutti questa cancellazione , può rimanere la reviviscenza del rapporto con i contributi da pagare anche per l’anno successivo e / o iscrizione alla previdenza separata, insomma altre inutili spese.
Si taglia una classe intellettuale che aveva un rapporto col territorio a volte virtuoso sopratutto in periferia, anche se non sempre la figura dell’avvocato è vista bene e la sua immagine sta perdendo di valore ultimamente.
Il Censis ha elaborato la sua annuale relazione sull’avvocatura. E chi credeva di essere a un passo dalla fine del tunnel si sbagliava di grosso. I risultati del rapporto dell’ Avvocatura mostrano invece una situazione ancora buia. Quella dell’avvocato non è più considerata una professione prestigiosa: chi crede il contrario è solo il 16% della popolazione. Il «decoro» è legato, molto di più, alla figura del medico (59%), dell’ingegnere (24,7%) e del consulente del lavoro (21,4%).
Ciò nonostante il numero degli avvocati iscritti all’albo continua a crescere e non in pochi credono che il prestigio di una professione, prima ancora di essere legato all’utilità che essa porta alla società, è determinato dal numero di persone in grado di esercitarla. Un ingresso massiccio nell’albo deprime il valore della singola unità, secondo leggi economiche che tutti abbiamo studiato sui libri universitari. A tutto questo si aggiunge il fatto che la giustizia non garantisce più tempi e soluzioni soddisfacenti, vuoi per l’incapacità del legislatore a trovare rimedi concreti ai problemi della gente, vuoi perché molti giudici sono incapaci di vedere, dietro al fascicolo e al numero di registro generale, i volti delle persone. Non ci si deve allora meravigliare nel leggere le statistiche: la gente non ha più fiducia nella giustizia; per il 71,6% degli italiani i tribunali non garantiscono la tutela dei diritti fondamentali. Di conseguenza, la crisi del sistema giudiziario si riversa su tutti i soggetti ad esso collegati, primi tra tutti appunto gli avvocati.
Molti cittadini, anche per effetto degli alti costi, rinunciano a far valere i propri diritti. E a rinunciare alla tutela giudiziaria di un diritto sono soprattutto le persone più istruite. A dimostrazione che anche l’accesso all’informazione – non solo universitaria, ma anche quella offerta da internet – ha contribuito a privare gli avvocati di parte della propria clientela, ormai in grado di trovare da sé soluzioni pacifiche o, comunque, più economiche e celeri del tribunale.
Tutto questo si riversa inevitabilmente sulle dichiarazioni dei redditi: i ricavi medi degli avvocati sono in caduta libera da anni, anche se nel 2016 vi è stato un piccolo recupero. Un avvocato su due ha perso reddito nella dichiarazione relativa al 2016, mentre solo uno su quattro ha visto incrementare i ricavi. Tra questi, il termometro dice che il Nord-Ovest è l’area dai risultati migliori, mentre al Sud il 50,6% dei legali vede continuamente scendere la propria capacità di stare sul mercato.
Stando così le cose, sono circa 100mila gli avvocati che, a breve, si cancelleranno dall’albo o stanno seriamente meditando di farlo.
Urge rivedere il modo di gestire le professioni e, in particolar modo, proprio quella dell’avvocato. Che, se un tempo non aveva bisogno di uscire dallo studio per avere clienti – quelli che, dai paesi, si riversavano nelle città anche per trovare qualcuno che sapesse loro leggere e interpretare una lettera – ora deve difendersi da concorrenti molto più aggressivi: il primo di tutti è internet. C’è poi la morsa dell’Antitrust, sempre più proiettata in un’ottica “imprenditoriale” delle professioni classiche.
L’avvocato non è più quello di un tempo, finalizzato al processo, ma deve reinventarsi per diventare il consulente del cittadino, magari rinascendo con un ruolo diverso e senza tante spese, obblighi, anche con rischi di sanzioni economiche e disciplinari, come quello di rimanere nella classe degli avvocati.
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