La bella Rafaëla,1927, olio su tela, cm 63x90
MOSTRA DI “TAMARA DE LEMPICKA.
REGINA DEL MODERNO”
AL VITTORIANO DI ROMA
Dopo la Mostra Antologica del 2007 a Milano la figura e l’arte di “Tamara De Lempicka. La regina del moderno degli anni Venti e Trenta” vengono ora celebrate in maniera più completa ed esaustiva a Roma, al Complesso Monumentale del Vittoriano, da marzo a luglio del 2011, con una mostra curata da Gioia Mori che riunisce 120 opere tra dipinti e disegni, provenienti da musei internazionali e da alcune collezioni private di star americane come Anjelica Houston e Jack Nicholson, due film degli anni 30 da lei interpretati che si possono vedere in mostra, cinquanta fotografie d’epoca che la ritraggono come una diva del cinema e tredici dipinti di artisti polacchi suoi contemporanei, frequentati nel corso della sua vita, per un confronto sul piano dello stile in relazione alle radici sociali della loro epoca, ma anche per sottolineare il suo legame con l’arte del suo Paese d’origine.
Solo da alcuni decenni è stata valorizzata e riscoperta la figura di questa misteriosa artista, certamente di madre polacca, ma dall’incerta biografia ( Varsavia o Mosca, 1898? – Tuernavaca, Messico 1980). Spregiudicata nell’arte e nella vita, apolide e multilingue, eccentrica e fatale, emancipata ed affascinante, dalla sessualità ambigua e volubile, sempre pronta ad iniziare nuove storie, è vissuta tra inquiete vicende personali, continui viaggi ed una tensione costante verso la ricerca e la sperimentazione. Giovanissima nel 1916 sposa il giovane avvocato russo Tadeusz Lempiscki da cui deriva il suo pseudonimo. Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo, nel 1915, all’alba della Rivoluzione contro l’assolutismo zarista, si trasferisce a Parigi, dove frequenta l‘Académie de la Grande Chaumiere e l’Académie Ranson seguendo le lezioni di Maurice Denis, artista post-impressionista e di Andrè Lhote, esponente del neocubismo che le insegna ad utilizzare linee semplici, forme quasi geometriche, i tagli netti delle luci e colori intensi, essenziali e pregnanti. Viene così a contatto con le più avanzate ricerche in campo artistico divenendo una valente ritrattista del bel mondo parigino. Nelle sue opere adotta uno stile sempre più maturo, ma molto particolare e vibrante riuscendo a fondere gli apporti culturali provenienti dal classicismo e dal Rinascimento italiano con quelli delle avanguardie storiche come il Costruttivismo russo, il Realismo magico, il Neocubismo, il Futurismo, la fotografia, la pubblicità, la moda e, in particolar modo, l’Art Decò riuscendo a rielaborarli in maniera geniale, a volgerli tutti verso l’unità del proprio stile e ad articolare la propria visione artistica in modo autonomo ed originale. I suoi viaggi per le maggiori città del mondo le permettono di incontrare i più importanti personaggi della cultura del Novecento. In Italia incontra Tommaso Marinetti, promotore del Futurismo, Enrico Prampolini, autore del manifesto dell’Arte Meccanica Futurista e nel 1926 il poeta- soldato Gabriele D’Annunzio che la corteggia senza successo. Tamara lo respinge definendolo “un orribile nano in uniforme” e gli concede l’umiliazione del bacio di un’ascella. Da questa fitta rete di rapporti mondani e di fonti di studio trae gli umori necessari per essere sempre più se stessa per gli altri, divenendo la pittrice più amata del jet set internazionale.
Del periodo parigino è memorabile il ritratto dedicato a “Kizette in rosa” del 1926, dove dipinge sua figlia quasi adolescente, seduta mentre legge un libro, con lo sguardo innocente che guarda l’interlocutore fuori dal quadro, con le gambe piegate e maliziosamente scoperte, i piedi incrociati senza una scarpa, ma con i calzettoni bianchi come il suo vestitino dalla gonna plissettata. Famosa è anche la serie delle cinque opere dedicate a “La bella Rafaëla”, sua amante preferita, ritratta sempre in deliquio e sdraiata su molli panneggi verdi o grigi, i tratti del volto marcati, la bocca in fiamme, le forme straripanti e sensuali, in sottoveste rosa o quasi nuda, seducente, trasgressiva e senza pudore. Nel 1928 il marito chiede il divorzio per i suoi continui tradimenti e per il suo gusto per le esagerazioni, così Tamara inizia una serie di fervide relazioni amorose, intime o intellettuali.
“Kizette in rosa”, 1926, olio su tela
Nel 1933 sposa in seconde nozze il barone tedesco Raoul Kuffner, suo grande collezionista, ebreo come suo padre, che le concede la più totale libertà sessuale. Nel 1938 l’artista. ormai famosa e strapagata, costantemente fatta di cocaina, si trasferisce con il marito negli Stati Uniti per sfuggire all’orrore della guerra e alla persecuzione nazista. L’America la battezza come la “Baronessa con il pennello”, ma l’artista continua ad esporre con successo in tutta Europa ed in particolar modo a Parigi. Tutte le sue figure femminili, giovani donne sensuali ed algide, nude o vestite elegantemente, con stole di pelliccia o guanti, con baschi neri o con i capelli rosso mogano, con gli sguardi bistrati e febbrili. sono rese con una loro solida monumentalità, con tratti forti e piene di vitalità coloristica, talvolta un po’ distratte, pensierose ed annoiate, da sole o in gruppo, ma sempre immerse in un’atmosfera orgiastica e trasgressiva. Talvolta, in primo piano o sullo sfondo dei quadri l’artista rappresenta i simboli più moderni del tempo in cui è vissuta come i grattacieli, i telefoni, le automobili esprimendo in pieno il sentimento della modernità che procede di pari passo con il progresso dell’industria della sua epoca in continua espansione. Ritrae anche fiori come le calli, ma sempre in modo che abbiano evidenti riferimenti all’erotismo, tanto da essere considerata la madre dell’iconografia erotica del Novecento.
Gli uomini, dipinti da Tamara, sono ritmati quasi completamente nella gamma dei grigi ed hanno l’incarnato pallido e gli occhi freddi e piccoli come nel ritratto del poeta André Gide, nel ritratto di “Uomo incompiuto” del 1928, nel ritratto del granduca Gabriel Constantinovich Romanov, uno dei pochi superstiti della famiglia dello zar Nicola II e nel ritratto del marchese Guido Sommi Picenardi del 1925, compositore futurista e suo amante. I verdi, i rossi, i blu Lempicka così vibranti di vita e di passione nei quadri dedicati alle donne, nei quadri dedicati alle figure maschili sembrano spegnersi ed immalinconirsi.
Tamara De Lempicka, artista fra le più apprezzate e discusse del XX secolo, è stata definita una diva pop, nel senso di popular, un aggettivo che le calza a pennello, perché, specialmente negli anni Venti e Trenta le donne dei suoi quadri rappresentano l’ideale di bellezza riconosciuto dalla società del tempo e favoriscono l’affermarsi di un modello giunonico nel fisico e libero ed intraprendente nel suo agire, volitivo e trasognato, dai capelli corti e dal collo esile, con gli occhi bistrati e febbrili e la riscoperta del corpo come strumento di gioia e di piacere. Sono donne che certamente non si dedicano alla propria realizzazione culturale in maniera efficace per raggiungere le pari opportunità con gli uomini, ma puntano tutto sul loro potere seduttivo cercando di acquisire una loro importanza sociale perché fumano, guidano l’automobile, vestono all’ultima moda, parlano al telefono, guardano gl’interlocutori in maniera accattivante, quasi per catturarli, proprio come nelle opere pittoriche della “Baronessa con il pennello”.
Anna Iozzino
(storica e critica d’arte)
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