Le tre vite dell'operaio Eugenio
Dalla lettera di Eugenio Raspi, Narni
Eugenio Raspi, 50 anni, ha lavorato per oltre vent’anni, fino al licenziamento, come operaio alle Acciaierie di Terni, gruppo Thyssen. Ha perso il lavoro tre anni fa, ha attraversato in seguito una forma di depressione, poi ha scritto la sua storia. Ha inviato il manoscritto, ha vinto un premio per opere prime, tra pochi giorni il suo racconto sarà un libro. Pubblico la sua lettera senza aggiungere altro, perché è bellissima. Ogni commento superfluo.
“La mia storia sono tre. A luglio 2013 vengo licenziato dall'azienda in cui ho lavorato per 21 anni, all'interno delle Acciaierie di Terni, vittima del famigerato Articolo 18, ordinamento Fornero, di cui tanti parlano e pochi sanno. Impugno il provvedimento e faccio causa all'azienda. Mentre il processo va avanti cerco di ricollocarmi, ma la crisi economica nell'area ternana non mi restituisce ciò che mi è stato tolto: il lavoro. Il processo si conclude a fine 2014 dopo 15 mesi di attesa, la sentenza stabilisce che il licenziamento è illegittimo ma scatta il risarcimento economico anziché il reintegro. Ho 47 anni e devo prendere una decisione: fare ricorso e attendere i tempi biblici della giustizia, scontrandomi con una legge modificata ad hoc che non concede speranze o dare un taglio al passato. Non faccio ricorso. Storia finita. La prima".
"Inizia la seconda. Giornate prive di senso, porte che restano chiuse, inesistenti sostegni da parte delle istituzioni; subisco le mancate promesse di voucher formativi e assegni di ricollocamento che restano solo formali, ancora oggi, nel 2017. Diventano improcrastinabili i lavori di ristrutturazione della casa di famiglia, se non altro potrò dare dignità alla mia mente e alle mie braccia, restate inoccupate. Non posso chiedere un mutuo, utilizzo parte del TFR e mi arrangio fra ditta edile e qualcosa che posso fare io".
"Mi dico: almeno sfrutto il bonus per incentivi alla ristrutturazione, poi scopro che da inoccupato non potrò dedurre le spese perché non ho maturato l'Irpef, ho reddito zero. Anche il morale si annulla. Continuo a cercare lavoro: o sono troppo qualificato o troppo poco; troppo in là con gli anni o poco attrattivo per mancanza di incentivi per essere assunto. Il mio profilo su www.cliclavoro non viene mai consultato. Io e il lavoro, sembra una storia finita. È la seconda".
"Siamo alla terza. Scrivere è una passione giovanile rimasta al margine della vita. Decido di narrare dello stabilimento in cui sono entrato da ragazzo e uscito da uomo. Mi alzo la mattina e scrivo con la stessa dedizione di quando andavo in fabbrica. A Farfa, festival Liberi sulla carta, c'è un workshop di scrittura creativa. Decido di partecipare".
"A compimento del corso si deve consegnare un racconto. Svolgo il compito e attendo. Il responso – stento a crederci - è positivo. Mi dà la forza per riprendere e migliorare la storia. A ottobre del 2015 spedisco due copie del mio manoscritto (titolo: Inox), a un premio letterario. Passati sette mesi arriva la telefonata: sono il presidente del Premio Calvino, lei è uno dei nove finalisti. Tripudio. Non vinco, ma finalmente il trascorrere del tempo ha un sapore diverso: si materializza su carta il libro che parla della fabbrica da cui sono stato espulso. Fine della terza storia, bella. Ecco. Nell'attesa di un lavoro, ho scritto dell’attesa e del lavoro”.
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