Da dove viene (e dove vuole andare) A24, la società che sta cercando di cambiare il cinema americano
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Dietro alcuni dei piccoli film migliori degli ultimi anni (principalmente americani) c’è la A24, società di distribuzione (e da poco anche produzione) che sta facendo quel che solo la Miramax era riuscita a fare a metà anni ‘90: prendere i film migliori, destinati ad un’esistenza marginale e metterli sotto il riflettore, trasformarli in eventi da andare a vedere a tutti i costi. Lo ha fatto inventando strategie di marketing, puntando aggressivamente su certi autori, individuando i trend prima del loro arrivo, se non proprio creandoli, e incentrando la campagna distributiva su di essi per dare un senso (quindi un incasso) in sala anche a film che non l’avrebbero avuto altrimenti.
Incassi e notorietà da cui poi deriva anche il giro internazionale che questi film possono prendere.
Incassi e notorietà da cui poi deriva anche il giro internazionale che questi film possono prendere.
Ancora di più, in un’industria americana in cui, l’abbiamo detto più volte, il film da medio budget va scomparendo e i contenuti più adulti ed estremi si sono spostati in massa sulla televisione, la A24 è uno dei pochissimi ultimi baluardi che cura, cerca e sceglie film audaci e interessanti anche di medio budget (ma pure di budget striminziti). Di certo è l’unica che poi questi film, in molti casi, li fa fruttare, li porta ai premi e al pubblico, li rimette al centro del discorso cinematografico.
Se vi siete mai chiesti come abbiano fatto film particolari come The Witch, Locke, Under The Skin o The Lobster ad arrivare dove sono arrivati invece di perdersi nel dimenticatoio della nicchia, la risposta è: A24.
Se vi siete mai chiesti come abbiano fatto film particolari come The Witch, Locke, Under The Skin o The Lobster ad arrivare dove sono arrivati invece di perdersi nel dimenticatoio della nicchia, la risposta è: A24.
Da noi non è molto nota perché operando sul territorio americano è lì che le loro campagne si fanno notare. Tuttavia anche fuori dagli Stati Uniti è difficile non essersi accorti del loro logo che compare regolarmente davanti ai film più interessanti, inconsueti e di successo. È la casa di distribuzione che ha portato alla ribalta Spring Breakers, che ha fomentato il successo di Ex Machina, che ha avuto il coraggio di investire nella distribuzione (tra gli altri) di A Most Violent Year, Amy, The Bling Ring, Green Room, American Honey e Moonlight, con il quale ha vinto un Oscar a soli 5 anni dalla sua nascita.
Il nome nasce dall’autostrada italiana A24 che collega Roma a Teramo, è stato percorrendola che Daniel Katz, David Fenkel e John Hodges, i tre fondatori della società, hanno deciso di aprirla e quindi l’hanno chiamata così. I tre venivano da esperienze diverse nei vari settori dell’industria del cinema, rispettivamente da Big Beach, dalla Oscilloscope e da Guggenheim Partners, ma prima erano stati in società affini alla distribuzione come Focus Features. Non erano insomma estranei al cinema, eppure da subito non si sono comportati come gli altri. Già la prima scelta fatta dalla A24 non è stata convenzionale: stabilire l’ufficio a New York e non come tutti a Los Angeles.
Ad oggi per atteggiamento, strategia, attenzione al prodotto e capacità di trasformare film piccoli e di nicchia in eventi da andare a vedere, la A24 è paragonata alla Miramax, la compagnia con cui i fratelli Weinstein negli anni ‘90 hanno cambiato Hollywood, elevando ad un altro grado d’importanza il cinema indipendente. Non è chiaro se la A24 riuscirà ad arrivare alle vette della Miramax o se vorrà fare altro, di certo ad oggi i film piccoli e indie sognano di essere acquistati dalla A24 come ieri sognavano di essere preda di Weinstein (con la differenza che alla A24, ad oggi, non hanno quell’atteggiamento dittatoriale sul final cut, non cambiano i montaggi, non tagliano i film e via dicendo). La ragione è sia il lavoro che fanno sia come ormai essere scelti dalla A24 sia un attestato, significa che la società ha capito che il film si inserisce bene nello zeitgeist del momento.
Robert Pattinson, che ha recitato in due film distribuiti dalla A24 (The Rover, Good Time) e con loro ha avuto molto a che fare, ha detto che “sono la società da cui essere presi oggi. Non so che facciano, davvero, ma è il loro momento, capiscono bene lo spirito del tempo e se ti prendono il film davvero significa qualcosa”.
Cinque film distribuiti nel primo anno di attività, tra cui The Bling Ring, Spring Breakers, The Spectacular Now e A Glimpse Inside The Mind of Charles Swan III, con Spring Breakers a costituire subito un caso di successo clamoroso grazie ad una strategia commerciale spietata fatta di cartelloni offensivi, e grande attenzione nella campagna dei premi (ma anche un ottimo incasso per schermo).
La stessa Sofia Coppola decise con un certo grado di esitazione di affidarsi ad una società nuova, attirata dal fatto che non avessero molti titoli a cui dare attenzione e speranzosa del fatto che si sarebbero impegnati. Come conseguenza della sua scelte ricevette telefonate infuriate da parte del suo solito distributore Harvey Weinstein(quando ancora aveva accesso ad un telefono) che avrebbe molto voluto il film con Emma Watson in un ruolo sessualmente provocante.
Questa è infatti una delle caratteristica dei film scelti dalla A24, se hanno delle star (cosa che non capita sempre) è in ruoli completamente diversi per la loro immagine, radicali e sorprendenti.
Cinque anni fa, quando sembrava inevitabile la discesa in un regno in cui il cinema americano fosse rigidamente diviso in indipendenti sconosciuti e grandissimi film, nessuno avrebbe potuto prevedere che una casa di distribuzione potesse fare questa differenza. Di nuovo. Invece alla A24, dove nessuno aveva meno di 42 anni all’atto di fondazione, sembra si sia creata la tempesta perfetta tra competenza nel settore business e gusto cinematografico da cinephile.
Cinque anni fa, quando sembrava inevitabile la discesa in un regno in cui il cinema americano fosse rigidamente diviso in indipendenti sconosciuti e grandissimi film, nessuno avrebbe potuto prevedere che una casa di distribuzione potesse fare questa differenza. Di nuovo. Invece alla A24, dove nessuno aveva meno di 42 anni all’atto di fondazione, sembra si sia creata la tempesta perfetta tra competenza nel settore business e gusto cinematografico da cinephile.
Al secondo anno di attività i film presi erano già 11, tra cui Enemy di Denis Villeneuve, Under The Skin, Locke e A Most Violent Year. Tutti amatissimi nel settore, apprezzati dalla stampa e capaci di lanciare i propri autori e costituire una grossa legittimazione culturale per le star che vi hanno preso parte in ruoli non convenzionali per loro (Jake Gyllenhaal, Scarlett Johansson, Tom Hardy). Eppure sono tutti film andati sotto le aspettative al box office.
La A24 procede così però, con una mentalità da start up e i soldi che arrivano da investitori per avere un po’ di respiro in attesa delle prestazioni eccezionali dei titoli di punta. In parte infatti è stato DirecTV, il canale satellitare, a finanziarli con una partnership da 40 milioni di dollari in virtù della quale A24 acquista film che possano andare sulla loro piattaforma 30 giorni prima dell’uscita in sala. Nel 2014 poi sono arrivati altri 50 milioni dalle banche che hanno investito sulla loro capacità.
Il motivo per cui A24 piace così tanto è ben riassunto da Harmony Korine, regista di Spring Breakers: “Te l’avrei potuto dire subito che erano destinati a diventare grandi, perché si vedeva che lo volevano ed era ovvio che potevano farlo. Hollywood è gestita da burocrati ad oggi, quindi ogni volta che parli con qualcuno che non è un burocrate è eccitante. Loro hanno cuore”.
Se Spring Breakers è stato il successo che li ha fatti notare immediatamente (complice la partecipazione di Selena Gomez in bikini che tende a mobilitare un certo pubblico di riferimento), Ex Machina è stata la prima grande conferma. Un film molto complicato da distribuire che loro portarono al South by Southwest dove per l’occasione costruirono un chatbot di Alicia Vikander (nel film interpreta un’intelligenza artificiale che sviluppa un rapporto sentimentale con un umano) da mettere su Tinder, per promuovere il film. La cosa era totalmente illegale e fatta senza l’approvazione della Vikander che non ne fu per niente contenta e volle cancellare l’account. Loro riuscirono a mantenerlo online per il tempo necessario (la campagna è spiegata nel dettaglio qui). E oggi è lo stesso Alex Garland, regista del film, a dire che “se Ex Machina fosse stato distribuito da un grande studio, non avrebbe mai avuto il successo che ha avuto. E non lo dico per criticare gli studios, è un dato di fatto […] Io credo che loro, rispetto agli altri, abbiano capito che esiste un sufficiente numero di persone là fuori che vogliono vedere film che li sfidino, film audaci. E puntano a prendere quelli”.
Il più grande successo della A24 è però stato Moonlight, che hanno anche prodotto e che in una notte non poco caotica gli ha fruttato l’Oscar più rocambolesco mai assegnato (al confronto Weinstein per vincere l’Oscar con Shakespeare in Love ha dovuto aspettare molto più tempo). 65 milioni di dollari in tutto il mondo con un film indipendente senza star centrato su un personaggio gay e afroamericano. Non poco. Del resto prima ancora il loro successo maggiore era stato un film austero e duro, di nuovo senza star, ambientato all’epoca dei padri pellegrini in cui il personaggio più carismatico in cartellone era una capra posseduta dal demonio: The Witch. 40 milioni di dollari grazie alla capacità del film di Dave Eggers ma anche grazie, di nuovo, ad una campagna non usuale (qui è ben raccontata) centrata proprio sul caprone demoniaco.
Ma sono stati film dell’A24 anche Room, che è arrivato fino all’Oscar, Amy di Asif Kapadia (uno dei documentari di maggior incasso degli ultimi anni), The End Of Tour e Green Room (in cui Patrick Stewart fa un nazista, a proposito di star in ruoli che ne ribaltano l’immagine). Ovviamente erano loro anche clamorosi insuccessi come Trespass Against Us, Swiss Army Man, The Sea Of Trees e molti altri, non è tutto rose nel loro prato, ma ogni casa di distribuzione che si rispetti sa che dovrà fallire molto se vuole vincere clamorosamente.
La loro capacità di individuare film in primis per il valore e la capacità di essere diversi, la loro voglia di affrontare il discorso sulla qualità in una maniera sconosciuta alle tradizionali società di distribuzione, ha fatto sì che nel 2016 potessero ottenere la distribuzione di American Honey, il primo film americano di Andrea Arnold, fresco di passaggio (in concorso) al Festival di Cannes ma anche un altro beniamino del pubblico cinefilo degli ultimi tempi come The Lobster o anche di Giovani Si Diventa di Noah Baumbach.
Adesso, se si guarda al listino del 2017, A24 ha curato i film di cui più si è discusso e che si sono fatti notare nella stagione dei premi senza appartenere a delle major. Da The Disaster Artist a Lady Bird, da A Ghost Story (costato 100.000$ ma con Rooney Mara e Casey Affleck) a Free Fire, The Killing of A Sacred Deer e The Florida Project.
A24 è diventata una casa da circa 15 film l’anno, poco più di uno al mese, la dimensione che sembra possa garantirgli meglio agilità di movimento e possibilità di concentrarsi bene su ogni titolo.
A24 è diventata una casa da circa 15 film l’anno, poco più di uno al mese, la dimensione che sembra possa garantirgli meglio agilità di movimento e possibilità di concentrarsi bene su ogni titolo.
Dove voglia andare la A24 è abbastanza chiaro, vuole diventare un brand anche noto presso il pubblico (cosa difficile per una distribuzione), garanzia di cinema di qualità altissima, di nicchia ma in grado di fare il crossover, cioè di piacere anche ad una fetta del pubblico di massa.
Per capirlo basta vedere il loro listino per il 2018, che tra gli altri mette insieme Lean On Pete di Andrew Haigh, First Reformed di Paul Schrader, How To Talk To Girls At Parties di John Cameron Mitchell (in cui Nicole Kidmancon parrucca ha un ruolo assurdo per lei) e il primo film da sceneggiatore e regista di Jonah Hill intitolato Mid-90s.
Per capirlo basta vedere il loro listino per il 2018, che tra gli altri mette insieme Lean On Pete di Andrew Haigh, First Reformed di Paul Schrader, How To Talk To Girls At Parties di John Cameron Mitchell (in cui Nicole Kidmancon parrucca ha un ruolo assurdo per lei) e il primo film da sceneggiatore e regista di Jonah Hill intitolato Mid-90s.
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