Il collaboratore di CronacaQui si è spento a 83 anni
Addio a Renzo Ozzano. I volti di un caratterista prestato al giornalismo
Indimenticabile fantino in “Febbre da cavallo”, lavorò con Risi e in “Eccezzziunale... veramente”
Nel destino di Renzo Ozzano c’era scritto che doveva essere un attore. E che dell’attore doveva vivere le mille vite: commissario, fantino, carabiniere, medico del distretto militare. Ruoli da “caratterista”, si diceva ai tempi di quei film un po’ scollacciati, un po’ pecorecci, che tanto facevano ridere l’Italia desiderosa di scrollarsi di dosso il grigiore perbenista e democristiano degli anni ’70. E lui dei caratteristi era il re, nonostante una laurea in Scienze Politiche e un approccio al cinema che fu più da tecnico che da artista, come montatore di film industriali prima e come sceneggiatore di reclame Rai poi. Il poliedro dalle mille sfaccettature di un’esistenza che lo ha portato infine a divenire giornalista, stimato membro dell’ordine e del sindacato, apprezzato collaboratore di CronacaQui. Un poliedro di cui ieri è stato intagliato l’ultimo lato, quello sul quale si è allungata la fredda ombra della fine, a 83 anni compiuti lo scorso 4 agosto.
C’è un paradosso doloroso nel prendere commiato da un uomo che ha strappato così tanti sorrisi. Ma gli occhi che si sono chiusi sui tormenti della malattia continuano a guardarci vispi ed azzurrissimi dal magico fondale di un cinema, da quella scatola incantata che si chiama televisione. Come se Renzo Ozzano fosse ancora con noi, solo con nomi diversi. Ora si chiama Jean Louis Rossini, il fantino italo-francese irretito dalle grazie di una statuaria Nikki Gentile perché si potesse compiere la “mandrakata” di “Febbre da Cavallo”. Oppure risponde al nome di ispettore Dupont, il Clouseau de noartri sulle tracce del camion rubato di Diego Abatantuono in “Eccezzziunale… veramente”.
La grande fortuna di Renzo Ozzano era in fondo questa: essere ricordato da tutti benché non sia mai stato protagonista. Lui che pure i primattori e le prime donne li ha conosciuti tutti, tra una “Soldatessa alle grandi manovre” e un “La moglie in vacanza… l’amante in città”, passando per film di spessore come “La stanza del vescovo” con Ugo Tognazzi e per la regia di Dino Risi e per cult del poliziottesco come “Torino nera” di Carlo Lizzani. E sembra ancora di sentirlo raccontare di Edwige Fenech, bellissima e inconsolabile per il tradimento del suo Luca Cordero di Montezemolo, di Barbara Bouchet che si atteggiava da gran aristocratica perché aveva sposato un produttore, della dolcezza d’animo di Anna Maria Rizzoli e del carattere esuberante di Stefania Sandrelli, una delle poche con cui è rimasto in rapporti fino all’ultimo. Mille vite e altrettante storie da raccontare: «Banfi era agli inizi, intrappolato in un contratto capestro che lo obbligava a fare tutti i film che gli chiedevano dietro un forfait di 100 milioni. Alvaro Vitali è come lo vedi al cinema, lui interpreta se stesso. Bombolo, invece, era rimasto quello che era: uno che vendeva calze al mercato».
Pennellate di ricordi che Renzo Ozzano non lesinava mai. Quando ci si trovava insieme su un servizio oppure quando si dedicava a una delle sue grandi passioni: il mare, la montagna, la storia, soprattutto militare. Uomo di profonda e solida cultura, ha per lunghi anni collaborato con il nostro giornale, con competenza e passione nelle pagine dei “suoi” spettacoli. E poi l’impegno nell’ordine dei giornalisti e nel sindacato. «Un collega gioviale, a cominciare dai tratti del volto – ricordano oggi dalla Stampa Subalpina -, ma anche un pubblicista estremamente coscienzioso e attento alle esigenze dei freelance, che a partire dal 1999, quando si iscrisse all’albo, ha rivestito più volte incarichi regionali e nazionali nella Federazione della stampa e nell’Ordine dei giornalisti. Già negli ultimi tempi l’assenza di Ozzano si è sentita, qui in corso Stati Uniti 27: adesso ci mancherà davvero ». Resta l’epitaffio del vicepresidente dell’Ordine Ezio Ercole: «Non dimentico le prese in giro, fortunatamente in tempi lontani, perché questo pubblicista era stato anche attore caricaturista di straordinario impatto cinematografico. Ma lui, con noi, faceva spallucce, e la storia gli ha dato ragione: la storia del cinema, dove non sarà dimenticato, e la storia del giornalismo, nelle battaglie per una professione corretta, pulita, al passo con i tempi».
Paolo Varetto
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