FOLLIA. Carro attrezzi sfreccia a 130 km/h per Torino
La municipale sanziona il conducente. Si stava dirigendo verso un incidente in corso Regina Margherita
Correva a 130km orari per raggiungere un incidente in corso Regina Margherita a Torino. Gli agenti della municipale hanno così fermato il conducente di un carro attrezzi, che viaggiava a tutta birra, intorno alle 23, in una delle arterie stradali principali della città.
L’autista è stato poi sanzionato. Nel corso dei controlli degli agenti del Nucleo Sequestri e Rimozioni sono state accertate ben 16 violazioni gravi al codice della strada. Altri due conducenti di carri attrezzi sono stati fermati per eccesso di velocità.
L’eredità del “calzolaio del Toro”. Le scarpe di Bacigalupo in regalo
Vincenzo Bevilacqua, 94 anni, chiude la sua storica bottega di via Filadelfia
È noto come “il calzolaio del Toro”. E di certo, Vincenzo Bevilacqua, classe 1923, è una specie di “istituzione” di borgo Filadelfia, essendo rimasto in attività fino a quasi 94 anni. Un appassionato, come raramente ce ne sono: lui, le scarpe non soltanto le aggiustava, ma ne sapeva raccontare la storia. E la storia più bella di tutte era quella dei giocatori del Toro: il negozietto del signor Bevilacqua, proprio di fronte allo storico “Fila” recentemente tornato a nuova vita, è stato visitato da decine di giocatori che dopo una partita avevano, magari, qualche problemino con le suole o con i tacchetti. E lui, pazientemente, si metteva al lavoro.
Vincenzo e il Toro. Un binomio che ha radici lontane, poiché questo calzolaio entusiasta del suo lavoro è arrivato a Torino due giorni dopo la tragedia di Superga. Proveniva da Melfi: era sceso a Porta Nuova con la classica valigia di cartone e un mestiere tra le mani. Lavorò per anni in Fiat, aggiustando le scarpe nel tempo libero. Poi, nel 1980 aprì il suo negozio davanti allo stadio: dentro, tutto era rimasto come una volta, con le scaffalature in legno e un lungo bancone di lavoro. Alle pareti, ritagli di giornale, fotografie e gagliardetti. «Ma con gli anni ho collezionato un vero e proprio museo», dice lui. E sì, perché il signor Bevilacqua ha raccolto e custodito tutti i cimeli che gli hanno lasciato i giocatori di passaggio. Autografi, palloni e soprattutto scarpe. Come quelle del portiere Bacigalupo: era il cimelio più prezioso, lasciato in vetrina con tanto di targhetta, per ricordare il mitico portiere del Grande Torino, morto nella tragedia del 4 maggio 1949.
Recentemente, però, Vincenzo ha deciso di chiudere tutto. Troppo forte, il peso degli anni: la salute viene prima della passione per il proprio lavoro e dell’amore per lo sport. Così, mentre lo stadio Filadelfia finalmente rinasce, chiude per sempre una delle realtà “storiche” per i tifosi granata. «Chiudo, ma alcuni cimeli ho voluto regalarli – dice – ad esempio, ho lasciato le scarpe di Bacigalupo al vicino bar di via Filadelfia».
Nasce a Napoli, in via Nuova Capodimonte
(attuale corso Amedeo di Savoia), il 5 aprile 1902 da
una famiglia avellinese della media borghesia. All'età di nove anni gli muore
il padre, proprio pochi mesi dopo il loro trasferimento nel capoluogo campano.
La madre, di trent'anni più giovane del marito svolge umili mansioni
(guardarobiera e stiratrice) per mantenere la famiglia costituita da Maria, Ada
e Giuseppe.
In quegli anni Marotta vive in
condizioni di miseria abitando in un basso, ossia uno stanzone con
portafinestra, ottenuto nel pianterreno del campanile della chiesa
di Sant'Agostino degli Scalzi. Abbandona presto la scuola tecnica,
viene esentato dal servizio militare ed entra all'Azienda del Gas con la
mansione di operaio. In questo periodo riprende gli studi durante la sera e la
notte e riesce a farsi pubblicare da La Tribuna illustrata e Noi
e il mondo le prime novelle e ad ottenere anche i primi
compensi come letterato.
Nel 1925 si
trasferisce a Milano per intraprendere la carriera
di giornalista. I primi tempi non sono certamente
facili, visto che è costretto a dormire sulle panchine del parco, prima di
entrare alla Arnoldo Mondadori
Editore e poi alla Rizzoli come redattore.
La sua rubrica fissa pubblicata sul
giornale Film viene notata da Borelli, che gli spalanca le
porte del Corriere della Sera.
Negli stessi anni è inoltre a capo dell'ufficio stampa della Germania Film,
ente per la promozione del cinema tedesco in Italia.
La collaborazione con Il Corriere della
Sera, interrotta nel 1943, riprende due anni dopo
e si rivela proficua per la carriera di Marotta, che contemporaneamente
compone sceneggiaturecinematografiche e teatrali.
Marotta incentra la sua opera nei
confronti della città natale, amata e mai abbandonata completamente. Il suo
primo romanzo, "Tutte a me", vede la luce nel 1932.
Da allora la sua carriera si dividerà fra giornalismo e scrittura. A partire
dal 1940, la sua produzione letteraria è folta e
continua.
Giuseppe Marotta lavora molto anche per
il cinema, scrivendo soggetti e sceneggiature. A parte il già citato "L'oro
di Napoli", tratto da un suo libro e scritto in collaborazione con De
Sica e Zavattini,
collabora con Ettore Giannini per
"Carosello napoletano" (1953),
Mario Soldati ed Eduardo De Filippo per
"Questi fantasmi" (1955), Francesco De Feo per
"Mondo Nudo" (1964). La sua attività lo
porta ad essere critico cinematografico per L'Europeo fino alla sua morte, avvenuta a
Napoli il 10 ottobre 1963 dopo un'emorragia cerebrale[3].
Una settimana dopo la sua morte, il 17
ottobre, viene trasmessa la prima serata del Festival di Napoli
1963, presentato da Nunzio Filogamo e Pippo Baudo. In suo onore, i due presentatori
commemorano il poeta scomparso e l'Orchestra attacca il suo grande successo
musicale Mare verde,
presentata da Milva e Mario Trevi al Giugno
della Canzone Napoletana nel 1961.[4]
È uno strano anniversario, questo ventennale della morte di Diana. I giornali britannici, specialmente i tabloid popolari, si riempiono di omaggi alla principessa scomparsa; i canali televisivi fanno a gara a offrire ogni sera un’angolazione diversa sulla vita e la morte di Lady Di. Ma la famiglia reale no: se ne sta tappata in casa, zitta e muta. Domani non è prevista nessuna commemorazione ufficiale, solo oggi i figli William e Harry terranno un incontro con le organizzazioni filantropiche, a sottolineare che sono loro i veri continuatori della vena umanitaria della madre. La regina Elisabetta se ne sta chiusa nel castello di Balmoral, in Scozia, e da lì non uscirà. Anche Carlo, il vedovo, rimarrà rintanato da qualche parte nella brughiera scozzese. Perché la verità è che il fantasma di Diana, due decenni dopo, continua a turbare i sonni della monarchia inglese. Un’istituzione che vista da fuori appare solida come non mai, ma che forse non è così granitica come sembra. A questi dubbi ha dato ora voce la rivista Prospect, la bibbia degli intellettuali del Regno, che ha intitolato il numero di settembre «L’ultimo re? Come Carlo III potrebbe far cadere la monarchia». A parte una serie di altre considerazioni, la corrispondente reale del Sun, autrice del pezzo (e una che la sa lunga), sottolinea che «alla base delle paure riguardo l’ascesa al trono di Carlo c’è quella che non si dilegua mai: il suo regno sarà per sempre perseguitato da Diana?». Perché fu la principessa, nella celebre intervista alla Bbc del 1995, la prima a mettere in questione la capacità di Carlo di fare il re. L’ondata emotiva che accompagnò nel 1997 i funerali della principessa, e che ha cambiato per sempre l’atteggiamento pubblico dei sudditi britannici, ebbe come contraltare la rabbia verso una famiglia reale percepita come fredda e distante. E se negli anni successivi Carlo si è impegnato, con un certo successo, a ricostruire la propria immagine e soprattutto a far accettare la figura di Camilla, le rievocazioni di questi giorni hanno risvegliato lo spettro di Diana. Come il documentario di Channel 4 «Diana: nelle sue parole», che ha rivangato le miserie del matrimonio con Carlo e rivelato che quando la principessa andò dalla regina a chiedere aiuto si sentì rispondere che non c’era nulla da fare perché l’erede al trono era «senza speranza». O quello di Itv con protagonisti William e Harry, che nel ricoprire di encomi la madre sono riusciti a non menzionare Carlo neppure una volta.«Diana resta una minaccia sempre presente», conclude Prospect. I due principi hanno anche organizzato una riconsacrazione della tomba della madre: ma invece di scegliere l’anniversario della morte, lo hanno fatto nel giorno del suo compleanno, il primo luglio. Ben sapendo che Carlo e Camilla sarebbero stati in viaggio ufficiale in Canada. Niente è casuale: perché i sondaggi continuano a ripetere che la maggioranza della popolazione vorrebbe William re. Lui fa capire a ogni passo che il suo regno sarebbe nel solco della modernizzazione avviata da Diana: un sentiero che Carlo avrebbe invece difficoltà a percorrere. Ed è per questo che la monarchia traballa. Si ha l’impressione che ci siano ormai tre centri di potere: Buckingham Palace, con i cortigiani della regina impegnati a tenerla sul trono il più a lungo possibile, consapevoli del vuoto che si apre dopo di lei; St James’ Palace, con la corte di Carlo tesa a puntellare l’immagine del futuro sovrano (e della consorte Camilla); Kensington Palace, dove si è insediato il terzetto William-Kate-Harry che gioca la sua partita. Chissà cosa avrebbe pensato Diana se avesse saputo che avrebbe provocato tutto questo fracasso. Forse se la ride, in qualche angolo del paradiso. (Luigi Ippolito – Corriere della Sera)
È il 1997. Frankie Hi NRG pubblica Quelli Che Benpensano come singolo di lancio per il suo nuovo album, La Morte dei Miracoli. Il pezzo ha un successo incredibile, vince il Pim (Premio Italiano della Musica) inventato qualche anno prima da Musica!, l’inserto musicale di Repubblica, e conquista le radio e le tv musicali. Merito della musica, certo: in un paese allora non certo avvezzo all’hip hop e al rap (salvo alcuni casi isolati come gli Articolo 31), quel groove ansioso della base, incalzato nel ritornello da una tromba strozzata e invettiva, s’infila di prepotenza nelle teste dei ragazzi e delle ragazze. Un mantra ancora difficile da dimenticare o riascoltare senza emozione.
Sono intorno a me Ma non parlano con me Sono come me Ma si sentono meglio
Ma quello che conquista i cuori e le menti è, soprattutto, il testo. Quelli Che Benpensano, ricordiamocelo, è un brano di denuncia, accesa, pungente, senza sconti, al perbenismo dilagante, alla competizione liberista senza scampo: “L’imperativo è vincere / E non far partecipare nessun altro“, una competizione per avere ed ostentare (“Vivon col timore di poter sembrare poveri / Quel che hanno ostentano, tutto il resto invidiano“). È un’Italia con i sacchi di sabbia davanti alla finestra, ma ormai la coscienza un po’ meno pulita di un tempo (“Quelli che la notte non si può girare più / Quelli che vanno a mignotte mentre i figli guardan la tv“).
E che dire di quel video allucinato, di quel taxi a zonzo per una Roma di periferie e cassonetti, palcoscenico dove si recita a soggetto? È uno spazio fisico in movimento, che raccoglie e seppellisce scandali e nefandezze, sotto l’occhio dell’autore (e regista del videoclip), che osserva e registra il tutto per noi. E così il romanzo nero si condensa in poco più di 400 parole, tra il dondolio delle teste di Frankie e Riccardo Sinigallia (gran sacerdote della musica romana di quegli anni, ricordate?) che dicono che no, loro non ci stanno.
Quelli Che Benpensano si inserisce di diritto nel solco della tradizione della canzone d’autore di denuncia politica e sociale; declinata certo con le modalità moderne dell’hip hop. Ma tutto è tranne che una semplice denuncia verso una particolare classe sociale: è uno specchio lucido e tagliente, alzato contro il volto di un paese che credeva ingenuamente di essersi ripulito la coscienza con Tangentopoli, e forse si stava accorgendo che le cose non erano cambiate poi così tanto. Siamo nel 1997: il primo governo di centrosinistra ha iniziato la sua attività da poco, sostenuto nel paese da una grande spinta emotiva verso la prima occasione ad un governo composto anche da post-comunisti, saliti al governo con un ambizioso programma riformista.
In Parlamento in quegli anni si discute, per fare un esempio, di settimana lavorativa di 35 ore. Ma quella innocenza, sembra suggerire Frankie, è già stata persa, e il processo è oramai irreversibile. L’inizio del testo non è un caso: “Sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi a far promesse senza mantenerle mai…“. Sembra dire il rapper siciliano: Quelli Che Benpensano siamo tutti noi, noi che stiamo girando a zonzo il sabato nei centri commerciali, abbiamo iniziato a guardare con troppa invidia la nuova auto del vicino, noi che siamo spinti a leggere ogni rapporto in termini utilitaristici.
Lettura troppo spinta? Chissà. Frankie Hi NRG non è l’unico, in quegli anni, a raccontare senza orpelli ideologici le ipocrisie e le incongruenze della società italiana: di sicuro, nel mainstream, uno di quelli a farlo con meno peli sulla lingua, lasciando ad altri chiavi di lettura più metaforiche. E questa, come sempre, è un’altra storia.
La Morte dei Miracoli di Frankie Hi-Nrg Mc è su Amazon.
Simone Nocentini
(articolo pubblicato originariamente su mentelocale.it e gentilmente concesso ad Aural Crave per la ripubblicazione)
Quelli che benpensano
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Del brano sono state fatte varie versioni, come il remix di Ice One inserito sempre nell'album La morte dei miracoli; Fiorella Mannoia ripubblica il brano come singolo nel 2012, composto nella parte musicale da Giulia Puzzo e Sebastiano Ruocco e nella parte testuale da Frankie hi-nrg mc.
Quelli che benpensano tratta di una figura molto presente negli anni ottanta e novanta, lo yuppie, l'arrampicatore sociale. Nel testo vengono definiti «come lucertole [che] s'arrampicano», per loro «l'imperativo è vincere e non far partecipare nessun altro», perché «nella logica del gioco la sola regola è esser scaltro». Il brano fu premiato come miglior canzone italiana del 1997. Il ritornello del brano è cantato da Riccardo Sinigallia.
La canzone presenta inoltre dei campionamenti tratti dai brani Dawn Comes Alone, composto da Jack Arel, interpretata da Tuesday Jackson e presente nella colonna sonora del film francese I giovani lupi, e Blue Juice, composto da Jimmy McGriff.[1]
Il 9 ottobre 2012 la cantante Fiorella Mannoia ha pubblicato una reinterpretazione di Quelli che benpensano come singolo apripista del suo album dal vivoSud il tour. Si tratta di una rivisitazione del brano in una versione duetto del brano proprio con Frankie hi-nrg mc, autore del testo del brano.[2]
Il video mostra la registrazione di un'esibizione dal vivo della Mannoia mentre interpreta il brano insieme a Frankie hi-nrg mc. Sul palco è presente anche un corpo di ballo che si cimenta in varie coreografie.[3]