Da Giustizia News
..
Pizzo ai produttori della serie “Gomorra” Chiesta la condanna per favoreggiamento per manager e produttore della fiction
«Proprio loro che fanno una fiction sui camorristi finiscono imbrigliati, coinvolti e vittime in una richiesta estorsiva da parte della Camorra a cui non hanno saputo dire di no». Il pubblico ministero Maria Benincasa censura così la condotta di Gennaro Aquino e Gianluca Arcopinto, rispettivamente location manager e organizzatore generale della prima stagione del noto telefilm “Gomorra – la serie”, finiti a processo per favoreggiamento personale dei Gallo. Requisitoria dai toni duri, che si conclude con la richiesta di condanna dei due imputati: un anno e tre mesi per Aquino, un anno e sei mesi per Arcopinto, perché non hanno «denunciato una richiesta estorsiva di 6mila euro alla casa cinematografica Cattleya», produttrice della nota fiction in onda sulla piattaforma Sky. «Le dichiarazioni spontanee di quest’oggi di Gennaro Aquino appaiono confessorie rispetto alle sommarie informazioni acquisite nel lontano 2013. – ha detto il pm Benincasa dinanzi al giudice mononcratico Gabriella Ambrosino del Tribunale di Torre Annunziata – L’imputato risulta esser stato esecutore materiale per il pagamento della richiesta estorsiva e ci racconta di aver dovuto obbedire ad un ordine di scuderia non per timore di una ritorsione ma per altro motivo».
Il pm: i due imputati hanno mentito sull’estorsione per salvare la Cattley
dalla pessima figura internazionale su questa storia
Oggetto dell’estorsione, secondo l’accusa, la ripresa di alcune scene del telefilm all’interno della sfarzosa villa della famiglia Gallo, individuata da produttori e dagli imputati come la location perfetta per ‘casa Savastano’. I produttori della Cattleya avevano, infatti, sottoscritto nella primavera 2013 un contratto di locazione di 6mila euro al mese per girare alcuni set della serie all’interno dell’abitazione del boss Francesco Gallo, finita poi sotto sequestro dopo l’arresto del reggente della cosca per spaccio di droga nell’ambito dell’operazione ‘Mano Nera’. Era aprile 2013 e la gestione dell’immobile era stata dunque affidata ad un amministratore giudiziario che avrebbe dovuto percepire l’affitto dalla società cinematografca. Affitto che sarebbe stato poi consegnato ai titolari del bene solo in caso di dissequestro. Da qui i primi screzi con i familiari del boss che avevano comunque preteso il pagamento delle rate mensili dai produttori della fiction per continuare a girare il film. Attraverso minacce, pressioni e alcuni danneggiamenti al set la famiglia Gallo era così riuscita a raggiungere il suo obiettivo e a indurre, nel giugno 2013, Gennaro Aquino al pagamento di una rata del fitto pari a 6mila euro. «Aquino ci dice che erano tutti consapevoli del reato di estorsione – ha continuato il procuratore – ed esistono registrazioni e dichiarazioni di testimoni che inchiodano anche Arcopinto. E’ palese che durante il processo alcuni tra i produttori della serie, chiamati a testimoniare, abbiano mentito. Così come hanno mentito negli interrogatori per sommarie informazioni i due imputati dicendo di non essere stati a conoscenza delle pressioni e delle minacce. Non certamente per aiutare la famiglia Gallo o per omertà con la Camorra, ma per coprire la Cattleya che con la vicenda ha fatto una pessima figura internazionale». Anche la Fai, costituitasi parte civile e rappresentata dall’avvocato Roberta Rispoli si è associata alla richiesta di condanna del pubblico ministero e ha presentato la sua richiesta di risarcimento danni al giudice Ambrosino. La sentenza è attesa per domani.
dalla pessima figura internazionale su questa storia
Oggetto dell’estorsione, secondo l’accusa, la ripresa di alcune scene del telefilm all’interno della sfarzosa villa della famiglia Gallo, individuata da produttori e dagli imputati come la location perfetta per ‘casa Savastano’. I produttori della Cattleya avevano, infatti, sottoscritto nella primavera 2013 un contratto di locazione di 6mila euro al mese per girare alcuni set della serie all’interno dell’abitazione del boss Francesco Gallo, finita poi sotto sequestro dopo l’arresto del reggente della cosca per spaccio di droga nell’ambito dell’operazione ‘Mano Nera’. Era aprile 2013 e la gestione dell’immobile era stata dunque affidata ad un amministratore giudiziario che avrebbe dovuto percepire l’affitto dalla società cinematografca. Affitto che sarebbe stato poi consegnato ai titolari del bene solo in caso di dissequestro. Da qui i primi screzi con i familiari del boss che avevano comunque preteso il pagamento delle rate mensili dai produttori della fiction per continuare a girare il film. Attraverso minacce, pressioni e alcuni danneggiamenti al set la famiglia Gallo era così riuscita a raggiungere il suo obiettivo e a indurre, nel giugno 2013, Gennaro Aquino al pagamento di una rata del fitto pari a 6mila euro. «Aquino ci dice che erano tutti consapevoli del reato di estorsione – ha continuato il procuratore – ed esistono registrazioni e dichiarazioni di testimoni che inchiodano anche Arcopinto. E’ palese che durante il processo alcuni tra i produttori della serie, chiamati a testimoniare, abbiano mentito. Così come hanno mentito negli interrogatori per sommarie informazioni i due imputati dicendo di non essere stati a conoscenza delle pressioni e delle minacce. Non certamente per aiutare la famiglia Gallo o per omertà con la Camorra, ma per coprire la Cattleya che con la vicenda ha fatto una pessima figura internazionale». Anche la Fai, costituitasi parte civile e rappresentata dall’avvocato Roberta Rispoli si è associata alla richiesta di condanna del pubblico ministero e ha presentato la sua richiesta di risarcimento danni al giudice Ambrosino. La sentenza è attesa per domani.
martedì, 6 febbraio 2018 - 22:31
Nessun commento:
Posta un commento