Venditore di fichi d'India
Ieri, al supermercato, tra la frutta in vendita, vicino al banco delle noci fresche, ho trovato, con grande sorpresa, anche i fichi d’India. Le confezioni ne contenevano quattro o sei. Dalle mie parti, in dialetto napoletano, questo frutto è identificato con il nome di “ficurinia”. Negli anni vissuti in campagna, presso i nonni materni, nel periodo della sua maturazione ci attrezzavamo per asportarli frutti dalle pale delle piante e consumarli a volontà anche se le raccomandazioni di evitare un’indigestione sopravanzavano quelle di non rovinarci le mani con le spine che li rivestono, quasi a proteggerli contro l’ingordigia di noi ragazzi. Al di là dei semi contenuti che possono provocare anche occlusioni intestinali, la polpa, quando il frutto è maturo, risulta gustosissima.
Il ricordo di queste piante dietro la casa di mia nonna è ancora vivo: le pale, come mani enormi cariche di doni, si protendevano nell’aria per inebriarsi al sole e come tutte le piante succulente, producono un lattice che è un toccasana contro le scottature e le irritazioni rinfrescandola e rigenerandola.
Dopo la fine della guerra, col trasferimento definitivo alla casa natia di Vicolo Sorrentino a Mezzapietra, dove i miei abitavano dal giorno del loro matrimonio, la vita nel ritornare al suo tran tran naturale proponeva di tanto in tanto anche nel vicolo di residenza i mestieranti della strada che portavano a domicilio il frutto delle loro iniziative praticate per sbarcare in qualche modo il lunario, assicurandosi la sopravvivenza.
Così un giorno arrivarono anche quelli che vendevano i fichi d’india. Erano per lo più dei ragazzi che trascinavano su carrettini di legno che avevano costruiti loro stessi, cassette di fichi d’india che vendevano sia singolarmente, sia ad “appizzare”, che si risolveva in una sorte di acquisto/lotteria che consisteva nel far cadere il coltello verticalmente, dall’altezza della cintola, con la punta verso il basso, sopra i frutti deposti nella cassetta per poi prelevarne quelli nei quali il coltello era penetrato sempre che non si sfilavano dalla lama nel momento che venivano asportati tenuto conto che il coltello durante tale operazione doveva restare perpendicolare alla cassetta sempre e comunque. Le prestazioni erano diverse con costi diversi. Per un numero illimitato di “appizzate”, fino a quando l’ultimo frutto sollevato non si sganciava dal coltello, vi era un prezzo, oppure si pagava per il numero di colpi che si desiderava effettuare.
Il coltello era sempre di peso modesto, con la punta acuminata ma a lama liscia, senza seghettature che potevano facilitare l’asporto. Il coltello non sempre riusciva a penetrare nei frutti in maniera profonda per cui il risultato era quasi sempre magro. Quando i colpi andavano tutti a vuoto era il ragazzo che ne offriva qualcuno come consolazione per la perdita.
Quando invece le cose andavano a sfavore del venditore sorgevano animate discussione sul modo con il quale si era riusciti a sollevare il coltello dalla cassetta con i frutti infilzati. Le chiacchiere continuavano anche dopo quando il venditore usciva dal vicolo come uno sconfitto e si facevano propositi per la prossima scorpacciata.
Il Paliotti nella sua storia a fascicoli della “Canzone Napoletana”, nel fascicolo n. 9, pubblica una stampa a colori di Pasquale Mattei del sec. XIX, ma il soggetto che vi è rappresentato, è lontano mille miglia da quei che arrivavano nel mio vicolo, dalla loro vivacità e della loro furbizia.
Oggi, a distanza di tanti anni, debbo riconoscere che avevano un carattere eccezionale, una determinazione che il sottoscritto, invece, ha acquisito soltanto nell’età adulta e messa alla prova quando ormai era indispensabile ed ineluttabile.
Comunque i fichi d’india hanno sempre lo stesso fascino e lo stesso sapore, certo, oggi, arrivano in commercio emendati dalle spine e non devi prendere più tante precauzioni nel maneggiarli. Aprirli per consumarli è come aprire uno scrigno dove ci sono sogni che non ti danno mai requie tanti sono i ricordi ad essi legati.
Gioacchino Ruocco
Gia pubblicato in il Libero Ricercatore
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