Ogni giorno, in ogni angolo della Nazione, nasce uno scrittore. Solitamente questo avviene intorno al sesto anno d’età ma, a leggere le biografie online, ad alcuni capita ancora prima dell’aver imparato a tenere in mano una penna in modo corretto. In certi casi si verificano scoperte tardive, per cui la divina chiamata dell’arte della narrazione arriva solo con l’età pensionistica e si manifesta con un’irrefrenabile produzione poetica e prosaica.
Il bisogno di scrivere è innato e universalmente condivisibile. Il problema è che si accompagna al desiderio di rendere pubblici i propri pensieri, di avere tanti lettori che citino passi a memoria e li utilizzino come epitaffi. Nessuno si accontenta di avere un diario segreto o almeno, intimamente, spera che qualcuno ne forzi la serratura. Ogni scrittore vuole il suo lettore, che non si fermi soltanto alla propria cerchia famigliare e meglio se in un rapporto di almeno uno a un milione.
Se si digita su Google “Pubblicare il proprio libro” appaiono circa 586mila risultati. I migliori sono immediatamente collegati a quello che gli anglofoni chiamano Vanity Press, l’auto-pubblicazione o la pubblicazione con un editore che richiede un contributo – dunque, a pagamento.
Il contributo può arrivare a dieci volte il costo materiale del libro, che spesso finisce nelle cantine degli autori in attesa di essere smerciato come regalo durante le festività. L’editoria a pagamento, però, non è nulla di illegale: secondo la legge del 22 aprile 1941, n. 633, l’editore deve pubblicare a proprie spese, “salvo diversi accordi”. Ogni scrittore è libero di buttare il denaro come vuole facendo l’APS, Autore a Proprie Spese, termine apparso per la prima volta nel 1988 nel romanzo di Umberto Eco Il pendolo di Foucault. L’Associazione italiana editori (Aie) stima che negli ultimi anni siano stati circa 27-28mila gli autori che si sono auto-pubblicati, sia su carta sia su digitale; questo vuol dire che un buon numero di italiani ha deciso di tirare fuori il proprio romanzo dal cassetto.
Alcuni scrittori attualmente famosi sono passati dal self-publishing: per citare solo gli italiani, una per tutti Anna Premoli, Premio Bancarella 2013 o anche Franca Baldacci, finita nel catalogo Sperling & Kupfer. Per alcuni c’è speranza, se vogliamo chiamare così la possibilità infinitesimale di riuscire ad avere sufficiente talento, e anche un po’ di fortuna.
Gli editori a pagamento, in cambio di un contributo economico come l’acquisto preventivo di un certo numero di copie, offrono alcuni importanti servizi, come la capacità di trovare un potenziale sconfinato anche in testi dove mancano le basi minime di sintassi e costruzione di un periodo. Vale per romanzi, saggi e soprattutto per la poesia, dove il mercato è praticamente inesistente, ma le velleità in rima non si arrestano di fronte al collasso economico del settore.
Nel sito di uno dei tanti fornitori di rotative a comando dell’autore, ci viene spiegato che gli editori non servono a nulla, se non a tarpare le ali creative dello scrittore improvvisato: taccagni che non vogliono investire né abbattere foreste per lasciare a imperitura memoria un romanzo storico fantasy ambientato a Capracotta. Le cose non stanno esattamente così. Le grosse case editrici, infatti, spesso stampano libri di cui si disinteressano, semplicemente per andare a bilanciare il rapporto con i resi e rendere così positivo il segno delle proprie pubblicazioni. Le famose fascette che, avvolte intorno alle copertine, strillano di vendite multimilionarie, si riferiscono alle copie inviate alle librerie e non tengono conto di quante vengono rimandate alla casa madre. I distributori, in teoria, si offrono di pagare tutte le copie date dall’editore, ma nella pratica pagano solo per il venduto, che si riduce a un 40% circa dopo sei mesi.
Per tappare il buco tra le due cifre le case editrici mettono sul mercato altri libri che riempiono per qualche mese gli scaffali, fino al fatidico momento del conto dell’invenduto. Succede a tutte: alcune si lanciano così nel tranquillo, soddisfacente e decisamente più redditizio mercato dell’auto-pubblicazione.
Su Scrivo.me, il portale del Gruppo Mondadori, si suggerisce che padroneggiare l’uso corretto della grammatica e della punteggiatura non è così importante, quello che occorre è la passione. E la disponibilità economica per fomentarla.
Una delle più grosse case editrici a pagamento è la BookSprint Edizioni di Vito Pacelli: il visionario editore in un‘intervista su Rai Due, preda di un crescente pathos, ci racconta che dopo una “sigaretta particolare”, finì per diventare un eroinomane che si bucava otto volte al giorno. Secondo i miei calcoli, Pacelli si iniettava oltre un grammo di eroina al giorno, battendo qualsiasi scenario mai immaginato da Irvine Welsh nella Scozia degli anni ’80, per poi – dopo un periodo di disintossicazione a San Patrignano – decidere di diventare editore e pubblicare quasi tremila autori e circa seimila libri. Vi consiglio di leggere alcuni estratti dei romanzi e delle raccolte di poesie che vengono ogni giorno pubblicati su BookSprint. Soffermatevi, in particolare, sulle copertine tautologiche che illustrano con un paio di tacchi magenta un libro dal titolo Le scarpe rosse e sulle varie declinazioni di umani pennuti in copertina a tutti i romanzi che hanno nel titolo la parola “angelo”.
Nelle ultime settimane ho chiesto preventivi a diverse case editrici a pagamento. Ho scritto un libro di poesie, mettendo una parola a caso dietro l’altra a capo e senza preoccuparmi troppo della grammatica o della qualità generale della mia opera. Mi sono firmata con uno pseudonimo, fingendo di essere una donna matura laureata all’Università della vita che ama parlare di fiori, profumi e colori vari, senza curarsi troppo dell’ortografia. Chiunque abbia un minimo di buon senso avrebbe dovuto consigliarmi di prendere altre strade. Invece ben due case di self-publishing, a cui ho chiesto 100 copie per iniziare, si sono rivelate mie grandi estimatrici e mi hanno offerto distribuzione e copertina per 610 euro; Una terza ha aggiunto illustrazioni e correzione per meno di 400 euro; Un’altra, invece, per la sola stampa del mio capolavoro ha chiesto meno di 250 euro e mi ha comunicato che, eventualmente, ci si sarebbe potuti mettere d’accordo sugli altri servizi.
Non credo siano prezzi assurdi, anche perché si presentano per quello che sono: stampatori con una predilezione per la “letteratura”. Il problema è più legato alle situazioni in cui la proposta di servizi non è così palese, ma viene mascherata dietro lusinghiere offerte di pubblicazione, che solo in un secondo tempo si rivelano essere a pagamento o – peggio ancora – prevedono l’acquisto obbligatorio da parte dell’autore di un numero cospicuo di copie.
La vera prova del fuoco, il rito di passaggio per essere riconosciuti nel piccolo Olimpo degli scrittori emergenti, è però la partecipazione con vincita a un concorso letterario che permetta di inserire nella propria biografia qualche menzione onorifica di prestigio, come la partecipazione al premio “Un libro amico per l’inverno”. Il portale Concorsi Letterari offre una selezione sconfinata di competizioni per poeti esordienti, attempati narratori e sperimentatori che non vogliono sentirsi ingabbiati dall’analisi logica. Le quote di partecipazioni sono più che affrontabili: si parla di 5 o al massimo 20 euro per inviare il proprio capolavoro a una giuria che lo renderà immortale premiandolo con una targa in argento, una corona di alloro e altre menzioni speciali.
Uno di questi concorsi è quello della Casa Editrice Pagine, produttrice diretta di una rivista di poesia diretta da Elio Pecora. Ogni sei mesi circa, viene indetto un concorso per la migliore opera in versi, che viene premiata con un compenso di 1500 euro – di cui 750 sono in contanti, mentre ai restanti corrisponde il valore in libri della stessa Casa Editrice. La partecipazione è gratuita, ma la cosa bizzarra, però, è che molti dei concorrenti vengono in seguito contattati con una proposta di pubblicazione della loro poesia, forse non meritevole di vittoria, ma sicuramente degna di essere resa nota al mondo intero. A questo punto, scatta la richiesta di una somma che verrà utilizzata per le spese di stampa e per la pubblicità via social dell’antologia.
Leggendo le decine e decine di post sui diversi forum di scrittori che vogliono farcela, pare che il tasso di selezione dei migliori sia quasi del 90% dei partecipanti e che, fatta leva sulla possibilità di finire finalmente su cartaceo, siano in molti a cedere a questo subdolo sistema di auto-finanziamento con cui comprare forse non l’immortalità, ma almeno una una legittimazione di fronte ad amici e parenti.
Scriviamo in tanti, leggiamo in pochi, pubblichiamo in troppi. Ma non c’è nulla di male, in fondo. L’unica nota negativa è ritrovarsi a dover leggere il romanzo erotico familiare della propria zia, scritto di getto dopo la lettura vorace della trilogia di Irene Cao e della Ferrante, superare l’imbarazzo e dirle che, te lo assicuro zia, è davvero un capolavoro.
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