I miei
primi anni della mia vita li vissi in campagna
dove passavo le giornate intere a piedi scalzi per cui non ero abituato all’uso delle
scarpe. Le prime che ricordo furono quelle che mi comprarono per la prima
comunione, altrimenti indossavo dei sandali che conservavano al piede tutto la
libertà che il piede desiderava, ma erano adatti solamente ai periodi asciutti
dell’anno mentre per l’autunno, l’inverno e primavera con la frequenza
obbligatoria delle scuola dovetti abituarmi ad indossare nel periodo invernale
e nelle giornate di pioggia stivali di gomma che erano diventati di largo uso
dopo l’arrivo delle truppe di liberazione.
Cert’è che
un bel giorno mi trovai ai piedi, quando pioveva, anche scarpe con collo alto,
mentre mio padre indossava abitualmente un paio di scarpe e mia madre degli
zoccoletti aperti o chiusi a seconda della stagione o scarpe che al rientro era
d’obbligo lucidare prima di riporle dopo averle esentate dalla polvere e dal
fango e da elementi che si attaccavano alle suole come le gomme americane, chewing gum"
o cicles che dir si voglia portate anch’esse dai liberatori o altro calpestati
involontariamente.
La pulizia delle scarpe mi era stata assegnata perché ero il
più grande dei figli e avevo l’età per farlo. Era stato un apprendistato di
qualche minuto, ma il lavoretto anche se non era gradevole era facile da
sbrigare. Lo svolgevo volentieri, mentre mia madre si dedicava alla cucina o
alla spesa, ma un lucida scarpe, ‘o pulimmo in napoletano, sciuscià, ecc. ecc lo
vidi la prima volta a Piazza Monumento dalla parte della Cassa armonica un
giorno che accompagnai mia madre a fare una compera.
L’apparecchiatura consisteva in una grossa poltrona dove si
accomodava il cliente e due sostegni dove appoggiare i piedi debitamente
separati e distanti tra loro per permettere all’operatore di compiere la sua
attività senza avere intralci.
Le spazzole e il lucidi erano mantenuti all’interno del cassetto
che costituiva la basse sulla quale
erano collocati i due poggia piedi.
Per evitare di imbrattare le calze del cliente con i prodotti
per lucidare venivano usate delle sagome di cartone pressato che inseriti nelle
scarpe senza alcun disagio per il cliente impedivano il contatto accidentale
della spazzola con il calzino..
Il più delle volte si trattava di togliere dalla tomaia
soltanto la polvere che vi si era accumulata durante il tragitto effettuato dal
cliente. Il servizio veniva richiesto sempre prima che questi si presentasse in
uno degli uffici della zona, altre volte perché il cliente non erano capace di
farlo in prima persona ed altre volte solamente per mettersi in mostra in quei dieci
minuti che l’operazione richiedeva.
C’era anche chi si faceva lucidare le scarpe per rilassarsi
dieci minuti seduto in mancanza di panchine nelle vicinanze invece di
impegnarsi presso il Caffè Gran Napoli con una consumazione che richiedeva
tempi più lunghi e non era conveniente se non lo richiedeva un appuntamento.
Nella memoria del “Libero Ricercatore” ho trovato un nome “Lazzariello 'o pulimmo” che
voglio annotare come testimonianza a Castellammare di Stabia di questa attività
che sicuramente per qualche anno passò di padre in figlio, ma non mi aiuta a
ricordare i tratti della persona la svolgeva e resta come un’ombra nella mia
memoria.
L’attività non procurava grandi guadagni, la cifra per la
prestazione era modesta, ma permetteva di portare a casa qualche lira che
consentiva di affrontare la vita con maggiore dignità.
Una lucidata di scarpe non costava molto, ma non tutti se la
potevano permettere. Un giorno, mentre aspettavo l’autobus che mi doveva
riportare a casa assistetti ad una scenetta che era tragica e comica allo
stesso tempo.
Durante il servizio al pulimmo gli capitò di sputare sulle
scarpe dell’avventore per rimuovere qualcosa che non riusciva ad asportare. Il
cliente lo guardò interdetto e contrariato apostrofandolo: - Ma che state
facenne ?
Signo’, nun ve preoccupate ? M’è servuto pe levà na macchia !
Na macchia?
Eh! Na cacate ‘e
gallina.
-Ah ! na cacata
‘e gallina !
Quando il pulimmo
ultimò la sua opera, l’avventore gli chiese quanto gli doveva.
Cinquanta lire,
come al solito.
Pe na sputazzata
? E si te sputo ‘nfaccia pe t’’a lavà, quanto
me daie ?
Per poco non
finirono alle mani.
L’uomo gli lasciò
le cinquanta lire rispondendogli: - Bell’o’, ma visto ogge e nun me vide cchiù!
‘O pulimmo a sua
volta: - E tu quanno mugliereta te ne cacce ‘a dint’’o lietto, nun j’ a durmì ‘nzieme
cu ‘e galline.
Non succedeva spesso, ma quando succedeva la cosa veniva
raccontata per mesi, anzi qualcuno con una certa protervia andava d’’o pulimmo
e gli chiedeva: - Allora, Rafè, comm’è chillu fatto d’’e galline?
Ma lui con la testa sotto facendo finta di non sentire continuava
il suo lavoro cercando lo sguardo del cliente che, pur facendo finta di
guardarsi intorno, osservava i suoi gesti che andavano veloci ora da sinistra
ora da destra rendendo le tomaie uno specchio nel quale era difficile non
perdersi se ti fermavi a guardarle.
Sulla sedia o trono, ante litteram, era poggiato un cuscino imbottito e sui
braccioli dei cuscinetti di cuoio che venivano puliti prima che il cliente si
accomodasse e il cuscino rivoltato e sbattuto per alleggerirlo della polvere
della strada.
Le spazzole erano diverse per i diversi colori delle scarpe,
alcune di colore neutro per spazzolare quelle di camoscio e altre per quelle
bianche.
I lucidi erano contenuti in scatole metalliche ch’erano come
minino il doppio di quelle che compravamo per uso domestico.
Nei tempi morti lucidava quelle che gli portavano da casa per
il quale combinava il prezzo col cliente in modo da invogliarlo e lasciarlo
contento per non perdere quella grazia di dio che non solo lo teneva impegnato
ma gli procurava un guadagno sicuro e duraturo.
Non so quando si ritirò dall’attività, ma tornando a
Castellammare, come mi capita di tanto in tanto, non lo trovai più e nessuno mi
seppe dire cosa era successo, mentre ci sono mestieri stagionali che continuano
a resistere in quanto legati al commercio al minuto delle castagne, delle
pannocchie di granoturco, delle fave, delle noci, ecc.ecc. anche se le norme
sull’igiene dell’alimentazione cercano di fare a tutt’i costi la loro parte.
In altre parti del mondo invece il mestiere continua ad
essere praticato come dimostrano le foto di repertorio rintracciate in Google.
E’ un mestiere umile che non si adatta a tutti, ma oltre alla
sussistenza procura un rapporto umano di indubbio valore.
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