sabato 25 Gennaio 2020 09:08
Addio a Emanuele Severino,
il filosofo dell’eternità
scritto da Nino Maiorino 25/01/2020
Pochi giorni fa è venuto a mancare uno
dei più grandi filosofi contemporanei, Emanuele Severino,
vanto e orgoglio
della cultura italiana. Aveva quasi 91.anni, ma la sua mente era ancora lucida
e, come avviene alle persone di grande cultura, spesso dissacrante.
In un’epoca nella quale si fa di tutto
per appiattire la intelligenza delle persone, i cui cervelli vengono strizzati
come limoni da parte dei mass-media, prima fra tutti la radio-televisione
italiana che su quasi tutti i suoi canali, a tutte le ore della giornata,
trasmette programmi che definire “spazzatura” è poco, dispiace, a parte il
fatto umano, che persone come Severino ci lascino.
Qualche giorno addietro un altro grande
italiano, il celebre Direttore d’orchestra Riccardo Muti, ha lanciato il suo
grido di dolore contro la incultura imperante e la volontà che la popolazione
diventi sempre più ignorante, specialmente contro la TV: “basta cuochi, c’è
bisogno di cultura”, ha gridato, ma chi ascolta?
Emanuele Severino era nato a Brescia il
26 febbraio 1929. E’ stato un grande filosofo italiano dal pensiero complesso e
sorprendente, fra l’altro sostiene che tutto è eterno, non solo ogni uomo e ogni
cosa, ma anche ogni momento di vita, ogni sentimento, ogni aspetto della
realtà, e che quindi niente scompare, niente muore.
Si era laureato a Pavia nel 1950 e,
insieme a un altro grande filosofo, Gustavo Bontadini, scrisse una tesi che
delineò il campo dei suoi interessi, dal titolo “Heidegger e la metafisica”.
Da giovane Severino era affascinato
dalla matematica, ma il fratello Giuseppe gli aveva insistentemente parlato
di Giovanni Gentile (altro nome fondamentale
della filosofia italiana), perché frequentava le sue lezioni alla
Normale di Pisa. Quando Giuseppe morì nel 1942 Emanuele sentì il desiderio di
raccogliere la sua eredità, una spinta interiore che lo portò appunto ad
indirizzare i suoi interessi verso il pensiero filosofico.
Emanuele Severino ha vinto numerosi
premi per le sue opere, ed è stato anche Medaglia d’oro
della Repubblica per i Benemeriti della Cultura. Per molti anni,
inoltre, è stato collaboratore del Corriere della Sera.
E’ stato anche un musicista mancato, da
giovane aveva composto una suite per strumenti a fiato in uno stile a
metà strada tra Bartók e Stravinsky.
Temperamento geniale e dall’acume
unico, Emanuele Severino ottenne la libera docenza in filosofia
teoretica nel 1951, a soli ventitré anni, appena un anno dopo essersi laureato
e dopo un periodo di insegnamento come incaricato all’Università Cattolica di
Milano, nel 1962 divenne ordinario di Filosofia morale presso la
stessa.
Ma per il pensiero teoretico (ragionare
in maniera astratta) che andava elaborando già in quegli anni, Severino entrò
in rotta di collisione con la Chiesa e venne allontanato dalla Università
Cattolica nel 1969. Anche in seguito, i suoi rapporti con la Chiesa sono sempre
stati burrascosi, tanto che si può tranquillamente sostenere come egli sia stato
uno dei pochi autori contemporanei ritenuti “pericolosi” dalle autorità
ecclesiastiche.
Lo stesso Severino scrisse: “Mi resi
conto che il mio discorso conteneva il “no” più radicale alla tradizione
metafisica dell’Occidente e dell’Oriente […] ma non era rivolto specificamente
contro la religione cristiana”.
L’anno successivo, venne chiamato presso
l’Università di Venezia “Cà Foscari” dove è stato direttore del Dipartimento di
filosofia e teoria delle scienze fino al 1989.
Lasciò l’insegnamento dopo mezzo secolo
circa, meritandosi gli apprezzamenti di un altro illustre collega, il ben noto
Massimo Cacciari (fra l’altro ex sindaco della città lagunare), che per
l’occasione gli scrisse una lettera assai lusinghiera, nella quale esprimeva
ammirazione incondizionata per Severino, definendolo un gigante e l’unico
filosofo che nel Novecento si potesse contrapporre a Heidegger.
In estrema sintesi, il pensiero di
Severino si può riassumere partendo dalla constatazione che, da Platone in
poi, una “cosa” è intesa come ciò che si mantiene in un provvisorio equilibrio
tra essere e non essere. Questa “fede nel divenire” implica che l’ “ente” sia
un niente, quando non è ancora nato o non è più. E’ questa, per Severino, la
“follia” dell’Occidente, lo spazio originario in cui sono venuti a muoversi e
ad articolarsi non solo le forme della cultura occidentale, ma anche le sue
istituzioni sociali e politiche.
Di fronte all’angoscia del divenire,
l’Occidente, rispondendo a quella che Severino chiama la “logica del rimedio”,
ha evocato gli “immutabili” che possono essere definiti via via come Dio, le
leggi della natura, la dialettica, il libero mercato, le leggi etiche o
politiche…
La civiltà della tecnica sarebbe il modo
in cui oggi domina il senso greco della “cosa”.
All’inizio della nostra civiltà Dio, il
Primo Tecnico, crea il mondo dal nulla e può sospingerlo nel nulla. Oggi, la
tecnica, ultimo dio, ricrea il mondo e ha la possibilità di annientarlo. Nella
sua opera Severino intende mettere in questione la “fede nel divenire” entro
cui l’Occidente si muove, nella convinzione che l’uomo vada alla ricerca del
rimedio contro l’angoscia del divenire innanzitutto perché crede che il
divenire esista.
Severino, insomma, elabora
una originale interpretazione del nichilismo, inteso come il contenuto
essenziale del pensiero e della storia dell’Occidente, animati dalla
persuasione che “l’ente sia niente”. Ammettere il divenire significa infatti
asserire che l’essere possa non essere più, il che equivale a negare che
davvero sia. Questa concezione non è puramente teorica o contemplativa, ma
risponde alla volontà di dominio e di potenza che anima sin dall’origine
l’occidente: la nullità dell’ente è infatti la condizione alla quale diventa
possibile (e necessario) il gesto del dominio, che è insieme ragione
strumentale e volontà assoggettatrice della natura.
Se il nichilismo così inteso è
l’aberrazione costitutiva dell’Occidente, l’unico rimedio consisterà nel
ritorno a un’ontologia di tipo “parmenideo”, che smascheri l’illusione
fondamentale del divenire e renda così possibile una diversa e non più alienata
modalità dell’agire umano.
Per usare parole dello stesso Severino:
“…ci attende la «Non Follia», l’apparire dell’eternità di tutte le cose. Noi
siamo eterni e mortali perché l’eterno entra ed esce dall’apparire. La morte è
l’assentarsi dell’eterno”.
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