Giuseppe Giaquinto
Tra fiori e mare, ricordi e Procida.
Ripercorrendo le opere di Giuseppe Giaquinto che ho avuto il
piacere di vedere sia in mostra sia presso il suo studio o sulle pubblicazioni
che le riportano, continuo a sorprendermi per le soluzioni compositive che
mette in atto per rappresentare la realtà che vive facendone un racconto per
immagini aduso a sbalordire per i colori fortemente caldi ed accattivanti che adopera, per la facilità con la quale li
accosta determinando equilibri che non immaginavo
o conoscevo per assonanze con altri mondi espressivi.
I titoli, ma anche senza di essi, mi prendono per mano e mi
fanno attraversare tutta la sua storia senza ansie se non quelle determinate
dallo stupore offerto dal colore, espresso in maniera antinaturalistica che mi
fa credere di poterlo replicare con la
stessa semplicità operativa di Giuseppe Giaquinto.
Per esempio nell’opera “Natura vivente” del 1996 la frutta adagiata
sul prato non sembra una perdita della natura, ma tesori alimentari messi
apposta lì, al dilà dei simboli che in passato hanno rappresentato, per rinfrancare il nostro cammino
ricordandocene l’indispensabilità nell’alimentazione proprio attraverso quella
suggestione che non avremmo mai colta in altre occasioni. I suoi quadri sono
una dispensa che potrebbe alimentare fisicamente ed intellettualmente una
moltitudine di persone per il benessere coloristico che diffondono aiutandoci a
sviluppare i nostri pensieri con le stesse vibrazioni.
Il paesaggio si distende in immagini tranquille e riposanti,
ma in una dimensione sempre più distante dalla città, che potremmo ritrovare
soltanto in quell’impervia natura che
ancora resiste alla corruzione della civiltà che sicuramente gli darebbe nuovi
caratteri più ordinati e statici.
I “Ricordi”, che non mancano, sono giocati invece in toni
più contenuti, ma sempre con forme abbreviate che conservano tutta la
consistenza di cui hanno pur sempre bisogno per continuare a far tremare
l’anima.
Procida resta però, come suo paese d’origine, il motivo
dominante della sua pittura. Non può fare a meno di essa sia che la
rappresentazione è nitida nei suoi connotati, sia che è soltanto l’emblema di
quella realtà, che non lo rattrista nei distacchi, ma che lo sorprende nei
ritorni che abitualmente effettua per mantenere contatti con la sua origine
isolana e le atmosfere che non vuole perdere diluendole in quelle della
residenza abituale anche se più di una volta si è lasciato andare.
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