Una poesia di Valentino Zeichen per l'Annunciazione di Leonardo da Vinci
La critica letteraria non è mai stata particolarmente tenera con la Storia dell’arte italiana in poesia, l’antologia che, nel 1990, Plinio Perilli radunò nel tentativo di compilare una storia dell’arte in versi, o con poesie desunte da raccolte già pubblicate, o con inediti richiesti per l’occasione a poeti contemporanei. L’idea di certa critica è che la lirica, se eccessivamente debitrice nei confronti del dipinto o della scultura, viva in qualche modo nella loro ombra, s’illumini soltanto di luce riflessa, non riesca e elevarsi al rango del capolavoro. Soffre di “vicarietà strutturale”, aveva scritto Giorgio Manacorda, e corre il rischio di trasformarsi in “poesia per ciechi”, di risultare in una mera descrizione dell’opera d’arte. Insomma: la “trasfusione culturale” che Perilli intendeva operare tra arte e poesia talvolta non riesce, ed è innegabile che certe poesie possano risultar fiacche, stanche, obbligate. È però vero anche l’esatto contrario: ci son poesie che son come gemme incastonate tra le pagine dell’antologia, preziosi commenti in versi che aggiungono, aiutano a comprendere, prendono per mano il lettore. Si prenda dunque la poesia che Valentino Zeichen dedica all’Annunciazione di Leonardo da Vinci, il capolavoro giovanile conservato agli Uffizi, dove giunse nel 1867 dalla sagrestia della chiesa di San Bartolomeo a Monteoliveto, appena fuori dal centro di Firenze.
Apparentemente, i piani estetici di Zeichen e di Leonardo non potrebbero esser più sfalsati: l’amabilità dello sfumato leonardiano, il pennello che indugia nel decorativismo quando ci offre il leggio della Vergine, le finezze sottili e lenticolari del manto erboso che s’ammanta di fiori e fiorellini uno a uno delineati. Di contro i versi taglienti, scarni, ruvidi e quasi sferzanti di Zeichen, la sua ironia che non risparmia neppure il capolavoro leonardiano, la sregolatezza della sua poesia arguta, barocca, terrena. Nell’antilirismo e nell’atteggiamento prosastico i due però trovano un livello comune. Prosastici sono i versi di Zeichen, prosastica è l’epifania sacra di Leonardo, descritta dall’artista poco più che ventenne secondo i canoni della ragione che ci restituisce un angelo dalle ali di rapace, pieno, terreno, corporeo, appena arrivato e chinato in segno di reverenza davanti alla Madonna atteggiata in classica compostezza.
La poesia di Zeichen, pubblicata prima nell’antologia di Perilli e poi di nuovo, con leggere modifiche, in Metafisica tascabile, comincia con l’arrivo dell’angelo, percorre un itinerario anche piuttosto usuale attraverso il dipinto, e torna infine al punto in cui tutto è iniziato: “L’aeronautica divina invia / un superbo esemplare volante: / forse un arcangelo, / meraviglia tecnica delle ali / dall’elevata portanza, / ritratte in assetto frenante. / Visibili all’attaccatura / si direbbero protesi tratte / da un bestiario araldico. / Ma nonostante l’apparizione, / l’annuncio della Vergine / deve correre dentro / un filo invisibile che / contiene il prodigio, / nascosto in un ulteriore / e protetto segreto / messo sotto falsa traccia. / Si sorvola l’evento / immerso nella penombra / oltre il filare degli alberi, / il paesaggio in fuga invita / a gareggiare con la / trasparente lontananza. / Lo sguardo la insegue ma / trafigge vanamente l’aria; / poi, ormai cieco, desiste / per volgersi altrove e / ci svela una seconda nostalgia, / cosiddetta da ‘allontanamento’”.
Leonardo da Vinci, Annunciazione (1472 circa; olio su tavola, 90 x 222 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 1618) |
Fin dalla prima immagine, gl’interessi di Leonardo e di Zeichen si fondono in un’unica parola, fortemente evocatrice: “aeronautica”. Gli aerei tornano spesso nei componimenti del poeta fiumano: sono i mezzi che trasportano i poeti smarriti e privi di reale ispirazione, è simile al volo d’una formazione aerea il suo approccio nei confronti d’una donna, gli aerei volano sul cielo di Fiume durante la guerra, in quella che è forse la più commovente (e soprattutto più lirica!) delle sue poesie, un ricordo d’infanzia che ci riporta a quando Zeichen aveva solo cinque anni e camminava tenendo per mano sua madre, con legato al polso un palloncino blu che portava sempre con sé, e che però un giorno gli scappa via, volando per aria, incurante delle bombe dei B-17 degli americani. E naturalmente l’aeronautica è uno dei principali campi d’interesse del Leonardo scienziato, che fin dall’adolescenza studia con fervida passione il volo degli uccelli. È un uccello anche il messo di Dio: “forse un arcangelo”, si domanda Zeichen, che riferisce del suo arrivo con somma ironia, immaginandolo ora come una macchina e descrivendolo col fraseggio proprio delle riviste tecniche (le ali “dall’elevata portanza”, “ritratte in assetto frenante”), ora come un animale, un “superbo esemplare volante”, con quelle ali che paiono tratte da un “bestiario araldico”. L’approccio quasi ludico di Zeichen trasfigura la solidità, la presenza, la corporeità dell’angelo di Leonardo: Roberto Salvini, a lungo direttore degli Uffizi, scriveva del resto che qui le ali dell’angelo non sono “inerti e decorative come di solito”, ma sono “presentate nell’evidenza della loro funzione”. E il grande storico dell’arte non poteva far a meno di notare come già all’epoca Leonardo studiasse le evoluzioni dei volatili.
Il divino pennuto deve però recare la sua rivelazione alla Madonna, il “prodigio” che corre lungo un “filo invisibile”: e la comunicazione del prodigio, in Leonardo, avviene attraverso quella “orchestrazione di sguardi, di gesti e di spazio”, come l’ha definita Martin Kemp, che dalla complessa semplicità dell’Annunciazione sarebbe poi giunta a livelli di laboriosità financo superiori, come nel Giovanni Battista o nell’Angelo dell’annunciazione, il disegno in cui il destinatario della notizia recata dall’angelo è il riguardante, come se “noi avessimo preso il posto della Vergine in un tableau vivant”, suggerisce Kemp. La storia dell’umanità che cambierà dopo l’annuncio dell’arcangelo Gabriele è concentrata nello spazio definito da Leonardo da Vinci nella sua tavola (in base a determinate regole auree, secondo certi studî): Maria è da questo momento l’arca nuova dell’Alleanza, la donna coperta dall’ombra dell’Altissimo. Un doppio segreto dunque: quello rivelato dall’angelo con la sua venuta in terra, e quello rivelato da Leonardo con la sua composizione.
Ora però, assolti i doveri d’ufficio, il nostro sguardo può posarsi altrove: “oltre il filare degli alberi”, dove “il paesaggio in fuga invita / a gareggiare con la / trasparente lontananza”. Zeichen, qui, ci segue mentre scrutiamo attraverso la prospettiva aerea leonardiana, percorrendo il paesaggio che s’apre al di là dell’hortus conclusus, oltre i dodici alberi che serrano il giardino della Vergine (e il tredicesimo vicino alla sua casa), primo caso nell’iconografia dell’Annunciazione in cui peraltro la Madonna non è sotto un loggiato. Oltre il parapetto, un fiume solcato da alcune barche, un borgo turrito desunto dalla pittura fiamminga, montagne aguzze che sfocano in lontananza, nella luminosità delicata del crepuscolo che fa spiccare gli alberi in controluce, indora le due figure e offusca tutto il resto. Il paesaggio è, assieme all’angelo, l’unico elemento del dipinto sulla cui autografia tutta la critica è sempre stata concorde. “Il tocco di Leonardo”, ha scritto uno dei suoi massimi studiosi, Frank Zöllner, “è evidente nel modo magistrale in cui tratta gli elementi, l’acqua, l’aria, la luce”, e richiama ciò che l’artista stesso scriveva nel Libro di pittura: “vero è che si deve fare alcune montagne laterali con gradi di colori diminuiti, come richiede l’ordine della diminuzione de’ colori nelle lunghe distanze”.
Il paesaggio è coperto da una leggera foschia: cerchiamo di guardare attraverso la bruma, ma non riusciamo, e torniamo indietro. Da dove avevamo cominciato a guardare l’Annunciazione. Zeichen, in pochi versi, ci racconta il modo più tipico in cui la stragrande maggioranza delle persone osserva questo dipinto, descrivendo con la sua arguzia il viaggio che l’occhio intraprende quando s’avvicina al testo leonardiano: non doveva esser difficile per lui, così abituato, da flâneur libero, sincero e autoironico, ad andar per musei, tanto d’aver dedicato diverse poesie a opere d’arte. Tanto più che, con Leonardo, s’avverte quasi una comunanza d’intenti. Specie quando il grande vinciano scriveva che la natura è “maestra de’ maestri”. Per Zeichen, più semplicemente “La natura è già pinacoteca / di ogni generazione”. Piena di quadri viventi e di bellezza. “A riprova che è tempo perso / trascinarsi per i musei”.
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L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left. Seguimi su Twitter:
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