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G. Ruocco
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L'intervista/Vittorio Gaddi
A Vorno, vicino Lucca, Vittorio Gaddi ha sistemato la propria collezione nella sua ex casa, oggi svuotata per far posto alle opere e aperta al pubblico su appuntamento. L'inaugurazione, avvenuta a metà luglio, offre lo spunto per riflettere sulle scelte, il peso degli artisti italiani, i criteri di allestimento. Ma anche sulla salvaguardia del valore economico di una collezione. Che non sarà mai fondazione [di Antonello Tolve]
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pubblicato venerdì 3 agosto 2012
La Collezione Nunzia e Vittorio Gaddi impaginata a Vorno (frazione di Capannori, in provincia di Lucca) negli spazi di una tenuta di campagna votata integralmente all'arte contemporanea è giunta, oggi, ad una configurazione ideale per mostrare al pubblico (per appuntamento, vgaddi@notariato.it) un palinsesto di opere e progetti esclusivi davvero unici e preziosi. Divisa in due sezioni – un primo nucleo più storico e un secondo che mostra le nuove acquisizioni – la Collezione espone circa trecento opere che, tra linguaggi differenti e altrettanto differenti criteri organizzativi, propongono uno spaccato artistico sul presente dell'arte. Su un mondo in divenire che è cifra essenziale della collezione. Anch'essa volta a metamorfosi continue e a itinerari plurali. Ne parliamo con Vittorio Gaddi
«La linea guida della collezione è l'acquisizione di opere di artisti per lo più giovani ed emergenti il cui linguaggio ci appaia originale e che comunque abbiano una visibilità a livello internazionale per avere già esposto in spazi prestigiosi (non amiamo le scommesse troppo azzardate per cui preferiamo aspettare gli sviluppi piuttosto che acquistare un artista alle prime armi, anche se ci sembra interessante)». Per l'allestimento non ti sei rivolto ad alcun curatore e hai scelto di impaginare personalmente le opere. Che scrittura espositiva hai deciso di adottare? «Non ci sono state regole precise cui mi sono attenuto, se non il gusto personale ed il tentativo di mettere insieme opere il cui impatto visivo risulti potenziato dalla reciproca vicinanza. Ho più volte constatato che lo spostamento di un'opera spesso ne modifica completamente la percezione in chi la osserva e quindi ritengo un aspetto assolutamente da non trascurare la ricerca della migliore collocazione delle opere». «Non posso negare che la presenza di artisti italiani nella collezione sia piuttosto limitata. Ciò è dovuto essenzialmente a due fattori. In primo luogo ritengo che, in generale, il lavoro degli artisti stranieri abbia maggiore qualità e forza rispetto a quello degli artisti italiani, che in molti casi si limitano a scimmiottare il lavoro altrui senza mostrare alcuna novità. In secondo luogo perché l'arte italiana contemporanea, per svariati motivi che non possono essere elencati in questa sede, gode di scarsa considerazione fuori dai confini nazionali (mentre noi cerchiamo di acquisire opere di artisti che abbiano e mantengano nel tempo una buona visibilità internazionale). Ritengo però che negli ultimi anni la situazione italiana si stia evolvendo in senso positivo essendoci fra le ultime leve un nucleo di artisti di qualità, per cui si intravedono le condizioni per un rilancio dell'immagine dell'arte italiana contemporanea nel mondo. Tra le ultime opere acquisite vi sono quelle di due giovani artisti italiani di grande talento: Chiara Camoni e Giuseppe Stampone (che ha realizzato nei nuovi spazi un bellissimo bookshop)». «La pittura è stato il primo amore e lo ritengo tuttora un linguaggio molto attuale, anche se snobbato da critici e curatori (ma i risultati delle più importanti aste internazionali dimostrano al contrario che l'interesse dei collezionisti per questo "medium" è sempre elevatissimo). Non saprei dirti la causa di questo rapporto privilegiato. Può darsi che sia rimasto influenzato dal fatto che mia madre era una pittrice dilettante e fin da piccolo ero incuriosito nel vederla dipingere. Purtroppo, anche a causa dell'ostracismo della critica che spinge i migliori talenti ad utilizzare altri "medium", è molto difficile trovare tra le nuove generazioni pittori di qualità». Oltre alla pittura ci sono, naturalmente, tutta una varietà di linguaggi dell'arte – il video, la fotografia, l'installazione e il site specific – che arricchiscono il tuo programma. «Infatti la nostra collezione non trascura alcun aspetto della creatività contemporanea e devo dire spassionatamente che oggi faccio fatica a prediligere un linguaggio espressivo rispetto ad un altro» . «A monte c'è sempre un intenso lavoro preparatorio: visita di mostre nelle gallerie e nei musei, visita di fiere, lettura (fondamentale) di riviste qualificate italiane ed internazionali, esame di cataloghi e monografie. Una volta individuato l'artista che ci interessa contattiamo le gallerie che lo rappresentano e, fra le opere che ci vengono offerte, prendiamo in considerazione solo quelle che fanno scattare la scintilla. L'opera ci deve emozionare, altrimenti lasciamo perdere. Per noi è essenziale l'impatto visivo ed emotivo che l'opera suscita, a prescindere dalla tecnica utilizzata dall'artista. Non acquisteremmo mai un'opera concettuale che esprima un'idea importante ma non abbia anche un'immagine forte. Per intenderci non mi verrebbe mai in mente di acquisire un lavoro (immateriale) di un artista come Tino Sehgal, pur apprezzandone l'originalità. Non acquistiamo mai alle aste perché preferiamo il mercato primario, anche se seguiamo i risultati come riferimento per le quotazioni degli artisti». «Il progetto prosegue nella stessa direzione intrapresa fino ad ora, anche se la crisi economica e la situazione italiana attuale indubbiamente influiscono negativamente sia perché ci sono meno disponibilità economiche sia perché il malessere che si percepisce e la scarsa fiducia nel futuro tendono a smorzare gli entusiasmi. Però la passione è sempre viva e, nei limiti del possibile, mi impegnerò per innalzare sempre di più il livello qualitativo complessivo della collezione, che però manterrà comunque l'attuale veste di collezione privata senza alcuna intenzione di creare in futuro una fondazione, fenomeno oggi assai di moda ma di cui non vedo, nella mia situazione, alcuna utilità». | |
Undici nuove guide molto particolari per il Museo del Novecento di Milano.
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pubblicato giovedì 2 agosto 2012
Saranno "didascalie viventi" per tutto il mese di agosto. Vengono da Cina, Egitto o Bangladesh e sono stati selezionati dal Centro territoriale permanente di istruzione e lavoro di Rozzano, nei pressi di Milano.
Una struttura frequentata principalmente da alunni di origine straniera, che per avvicinarsi alla lingua italiana, e per avvicinare anche un pubblico più eterogeneo e proveniente da ogni parte del globo, ogni lunedì e giovedì di agosto saranno presenti al museo del Novecento a spiegare, ad esempio, Il quarto Stato di Pellizza da Volpedo.
Un lavoro di "integrazione" non solo a livello sociale, ma utilizza l'arte nella vita quotidiana come modalità per creare una nuova comunità senza perdere la propria, originaria, identità. «Vogliamo che i ragazzi arrivati da poco a Milano si sentano parte integrante di una città ormai cosmopolita» sono state le parole dell'Assessore Boeri. Che ha rimarcato la volontà di rendere completamente gratis tutti i musei cittadini entro il 2015, a fronte del boom di ingressi che si è registrato a luglio nelle strutture del Comune, che stanno sperimentando la nuova modalità "senza ticket". Il record lo ha segnato il Museo archeologico, dove i visitatori sono cresciuti del 72 per cento rispetto a luglio dello scorso anno, seguito a ruota dal Museo del Risorgimento, Castello Sforzesco e Museo di storia naturale. E l'assessore ha toccato un'altra, profonda verità, relativa al sistema museale: «Gli introiti delle biglietterie sono meno rilevanti rispetto a quelli derivanti dal merchandising o da eventi collaterali». E se il pubblico cresce, perché non dovrebbe crescere la voglia di diventare partner delle istituzioni museali meneghine?
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Gore Vidal: addio all'uomo più controverso d'America. Scrittore, drammaturgo, politico, attore e sceneggiatore, dal punto di vista sempre "sui generis"
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pubblicato mercoledì 1 agosto 2012
E' impossibile non ricordarsi per un attimo del suo essere una spina nel fianco nella cultura e nella politica americana.
Se n'è andato ieri, per complicazioni legate a una polmonite, all'età di 86 anni, Gore Vidal, il "riformatore radicale", come lui stesso si definiva, attaccato e attaccante nei confronti delle vicende della storia statunitense del Novecento, scrittore, drammaturgo e sceneggiatore che scelse come nome d'arte il cognome del nonno, il senatore democratico dell'Oklahoma Thomas Gore. Critico sui generis del capitalismo, omosessuale dichiarato dagli anni Quaranta, romanziere scandaloso che con "La statua di sale", storia semi-biografica dell'amore giovanile di un ragazzo per il suo migliore amico, pubblicato nel 1948, si attirò le antipatie della stampa per i successivi vent'anni.
Una carriera che oltre all'attività di scrittore lo porta a diventare sceneggiatore per grandi classici girati a Cinecittà, negli anni '50, tra cui "Ben Hur" con Charlton Heston. Anche in questo caso però Vidal era decisamente sopra le righe, e l'ampio ruolo che ebbe nella ri-stesura del film non gli fu mai riconosciuto.
Alla fine degli anni '60, in quell'anno folle che fu il 1968, uscì la commedia "Myra Breckinridge", sul tema di una transessuale, vista come il nuovo emblema della femminilità, andando a toccare satiricamente la storia del potere americano, le lotte per i diritti, i ruoli sessuali. Arrivarono poi i volumi della serie "Natives of the empire", che raccontava gli episodi politici e sociali degli Stati Uniti, a partire dai tempi della Guerra Fredda.
Fortemente critico nei confronti dell'amministrazione Bush, sull'11 settembre si espresse a favore dell'ipotesi di una sorta di complotto interno: gli USA lasciarono spazio agli attentati per capitalizzare su un evento che avrebbe permesso di ingaggiare una guerra contro un'entità astratta come il terrorismo, sotto il profilo di una falsa bandiera. E a tutte queste attività, Vidal non si negò nemmeno la possibilità di prendere parte come attore in alcuni lungometraggi, tra gli altri in "Roma" di Federico Fellini, dove recita sè stesso, e nel fantasy "Gattaca" del 1997, di Andrew Niccol, dove interpreta il direttore Josef con Uma Thurman, Jude Law ed Ethan Hawke.
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