pubblicato mercoledì 23 novembre 2016
Si che Genova è a pochi chilometri da Albisola, dove la ceramica è un'istituzione. Ma pur in questo contesto socio-territoriale, o qui particolarmente, intavolare un discorso "al presente” su quella forma d'arte - perciò non pensando, ad esempio, ai trascorsi di Fontana o Leoncillo - può comportare - almeno in chi l'arte contemporanea la mastica e non la sputa - una reazione simile a quella di Ugo Fantozzi davanti all'ennesima proiezione della corazzata Potëmkin. Disapprovazione, chiamiamola così, e noia quanto basta al cospetto di manufatti dal minimo appeal critico-espressivo, gradevoli esteticamente e altre volte portati a sconfinare nel cattivo gusto più indicibile. E con ciò non s'intende screditare i validissimi operatori del settore, piuttosto svelare il segreto di Pulcinella: quest'arte nel tempo s'è resa sempre più "applicata” ad una nicchia estetizzante, e meno "indipendente” sul piano significativo. E non si vuole nemmeno infierire, anzi sì , mettendo in mezzo la vetero-museologia delle file e file di vasi e vasetti d'epoca, che ha contribuito a far della ceramica un'arte bistrattata. Minando l'orgoglio artistico di un'intera categoria, impotente in questo caso.
Quanto può essere folle Alessandro Roma, pittore di default, che sceglie di creare la sua personale a Villa Croce puntando tutto sulla ceramica? Non poco, sicuramente abbastanza per piacere senza essere piacione e ruffiano, dato che i dodici pezzi creati per la mostra Swamp (fino all'otto gennaio) non sono da amore a prima vista. Al contrario, chiedono di essere metabolizzati lentamente come la personale nel complesso, che non è affatto immediata; soft, come il canto delle cicale di pianura in sottofondo, lascia trapelare la personalità di un artista visivo a cui più dello sconfinamento nella scultura interessa creare una pittura a tutto tondo, giocandosi la possibilità di applicare i canoni della pittura a tutt'altro medium.
Swamp, in italiano "palude”. Una palude di "pittura applicata”, situazione artistica che si verifica quando dipingere costituisce un'attitudine impossibile da nascondere. La sua personale non mente, Roma non è e non sarà mai ceramista. È pittore quantunque e comunque, non lo diciamo noi o lui, ma quelle dodici ceramiche che conservano tutto il valore di un imprinting artistico. E non serve nemmeno uno sguardo esageratamente critico o "allenato” per rendersene conto, è importante indirizzarsi bene sulle forme fitomorfe concepite con attenzione, risolte con l'inseguirsi costante di texture dagli effetti più disparati; sui colori stesi con amore incondizionato verso la pennellata e integrati nel lavoro da protagonisti. Tecnica di uno che è pittore "inside”.
Swamp quindi non può essere considerata nemmeno una personale di scultura in senso comune, e forse è proprio Roma a non potersi/volersi considerare realmente scultore. È la personale di chi usa l'intervento plastico come dottrina della finzione. Fingere la tela, simulare l'atto di arrotolarla per ottenere anche in pittura una tridimensionalità più effettiva che d'effetto. Alla scultura Roma impone infatti d'interpretare mimeticamente un pensiero pittorico, maneggiando la terracotta con l'estro bipolare dell'artista deciso a darle tanto significato plastico, quanto l'afflato pittorico del suo campire tipicamente gesto-cromatico. Orbitare attorno è l'azione richiesta quando non esiste un punto di vista univoco, e i grafismi astratto-fitomorfi - da oscar soprattutto quando impregnati di colori opaco-metallescenti - producono una narrazione circolare stile Colonna Traiana small size. Monumento che si trova a Roma, curioso nomen omen per un lombardo dall'impulsività spinta fino a creare come un'iconica e quasi fedele riproduzione del Colosseo, comprensiva - elemento che fa la differenza - del taglio sbieco dato dal restauro ottocentesco di Raffaele Stern. Astrattamente, naturalisticamente e anche architettonicamente l'artista tira fuori dal nulla i suoi piccoli tronchi ricchi di elementi astrusi, dove un balcone può ospitare la realtà vegetale di una piantina di rosmarino.
Pittorico è il modo di rivolgersi alla materia equiparandola alle stoffe dipinte con i medesimi motivi, come l'accanirsi con tagli, buchi e sbalzi sapidamente compulsivi, scegliendo poi di aumentare i volumi adottando l'uso sottile della pennellata su superfici già rese plasticamente scabre. A costo di risultare ripetitivi insistiamo su questa peculiarità artistica, poiché in grado di cambiare le carte in tavola se non tacitamente espressa. Ovvero quando Roma si distacca da sé, quando non è pienamente Roma, e precipita senza protezioni su forme vascolari piuttosto rigide, smalti lucidi poco caratterizzanti ed incisioni curve dettate da un marcato manierismo di genere; e si torna sistematicamente a bomba, a quella piattezza "fisiologica” della ceramica contemporanea che non rappresenta il lavoro dell'artista.
Ma a Villa Croce Roma è il piccolo chimico che si è messo in testa di trovare un perfetto equilibrio tecnico-sensibile tra lavori ed esigenze espositive, artificio e natura, costruzione e ricostruzione; non sperimenta reazioni esplosive, bensì propende per un coinvolgimento avvolgente, anche nei basamenti in pannelli di truciolato dalle forme irregolari, non meno valevoli assieme agli elementi effettivamente vegetali (raccolti nel parco della Villa) buttati lì con una casualità che ne conserva la naturalezza. E con Swamp canta vittoria.
Andrea Rossetti
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info e contatti
La guerra di Tina è uno spettacolo teatrale nato dalla volontà di Maria Vittoria Barrella e Andrea Casna, che ha visto la partecipazione di Renato Barrella (testo),Maura Pettorruso (regia), Emanuele Cavazzana (luci) con la collaborazione del Comune di Lavis e dell’Associazione Culturale Lavisana. In questo lavoro si racconta la storia delle donne trentine internate, per motivi politici, durante la Grande Guerra. Non è una storia precisa, ma sono tante storie concentrate in un’unica narrazione senza tempo.
«Sono stata catturata emotivamente dalla scena, dal testo e moltissimo dall’interprete. Questa giovane attrice ha davvero doti non comuni. L’avevo già vista in altre occasioni ed avevo notato una versatilità eccezionale. In particolare ricordo una perfetta, napoletanissima Filomena Marturano. Un monologo corre sempre – poco o tanto – sul filo del rischio monotonia. Qui no, questo non è minimamente accaduto! Sapiente la regia e, ripeto, eccezionale l’interpretazione. Mi auguro che Maria Vittoria abbia presto occasioni di dare emozioni come ha regalato ieri al pubblico» (un commento da TrentoBlog, 10 settembre 2016).
«Tina sogna. Tina vive. Tina guarda. Il mondo di Tina è un luogo onirico, bianco, uno spazio mentale dove passato, presente, futuro si mescolano. Uno spazio di libertà in un luogo di prigionia: il mondo in guerra. Lenzuola bianche diventano i fantasmi del suo passato e la fantasia del suo futuro. Sono anime in viaggio sullo stesso treno: la vita. Grande storia e piccola storia di Tina si mescolano senza soluzione di continuità. Gli echi lontani si muovono e investono la sua possibilità di capire, di spiegarsi l’inspiegabile e disumana crudeltà della guerra. Caporetto, Battisti, cronache di storie, figure lontane che non potrebbero coesistere nello stesso spazio-tempo, prendono vita grazie allo sguardo puro e ingenuo di un’adolescente catapultata in una realtà troppo grande, troppo dura. L’unico modo per sopravvivere è sognare». (Maura Pettorruso, regia).
Sinossi
Ambientato durante il primo conflitto mondiale, La guerra di Tina è il monologo di una ragazza che racconta gli eventi che hanno portato all’arresto suo e della madre, episodi della sua prigionia nel campo di Katzenau, successivamente il ritorno alla vita in paese nel primo dopoguerra e gli albori del fascismo. I temi trattati sono la condizione femminile, ieri e oggi, il rapporto fra potere e popolazione, guerra e oppressione. Il materiale storico di riferimento sono le testimonianze di donne trentine arrestate ed internate nei campi di prigionia austriaci o italiani. Storia d’amore in sottofondo.
Presentazione
Composto sulla base delle testimonianze, per lo più in forma epistolare, di donne trentine deportate dal governo austriaco e da quello italiano durante il primo conflitto mondiale, nonché sulla ricerca storica su quest’argomento, “La Guerra di Tina” intesse al fatto storico la storia di un personaggio inventato.
Tina, la protagonista, è un personaggio il cui scopo è incarnare valori e domande, un’individualità costruita su di una sensibilità contemporanea che si approccia al passato, si finge passato, ovvero, l’avatar di una ipotetica osservatrice moderna, che indossando una maschera recita la sua parte nella tragedia della guerra e l’ingiustizia della prigionia.
Adoperando un linguaggio dal registro composito (contemporaneo, dialettale, colto, vetusto), per poter così scandire momenti comico/ironici e momenti più drammatici o di riflessione, il monologo racconta una storia che attraversa l’intero periodo del conflitto e il primo dopoguerra sino agli albori della dittatura fascista. Ciò, appoggiandosi ad una costruzione per immagini che sono di volta in volta assai concrete e realistiche oppure oniriche, talvolta velatamente simboliche ed evocative, rimanendo comunque in una cornice discorsiva fluida, immediata, accessibile a qualunque tipo di pubblico.
La scenografia, minimale e low-tech, (che, incidentalmente, permette al prodotto di essere replicato con molta facilità in diverse situazioni) ha lo scopo di sottolineare e scandire i diversi momenti dello spettacolo: una semplice struttura lignea diventa di volta in volta vagone di treno, baracca, casa, letto a castello, così come i semplici teli bianchi che accompagnano l’attrice durante tutto il viaggio sono abito da sposa, pesanti panni da lavare, un vestito a festa, una coperta e, strappati direttamente in scena, bendaggi per una ferita.
Quanto alle tematiche, il nostro spettacolo tocca questioni di storia locale, poco noti, riguardanti il primo conflitto mondiale ed allo stesso tempo prende lo spunto per partecipare alla discussione, cogente, su argomenti d’attualità.
S’affronta la questione del genere, senza pietismi, crediamo, e senza una vena particolarmente conflittuale, così come non si esita a parlare del rapporto fra cittadini/e e autorità. Infine la pace, concretamente intesa come assenza di guerra, nonché la necessità e l’opportunità (e le relative conseguenze) di opporsi a qualsiasi conflitto sono coordinate che nella stesura e rappresentazione dello spettacolo abbiamo sempre tenuto in conto.
Per riassumere, “La Guerra di Tina” è il risultato dello sforzo di creare un prodotto culturale e d’intrattenimento, agevolmente riproducibile da un punto di vista “logistico” in qualsiasi contesto, accessibile e leggero nel suo svolgimento sebbene valorizzato da solide basi di ricerca storica, confezionato con un’estetica coinvolgente, semplice e dinamica.
Attrice protagonista, Maria Vittoria Barrella
Maria Vittoria è una giovane attrice ma ha già all’attivo numerose esperienze teatrali e cinematografiche. Nel 2012-2013 è attrice protagonista del film “Aquadro” di Stefano Lodovichi, vincitore di numerosi premi tra i quali il Riff (Rome Indipendent Film Festival) e il Festival Film Italien Villerupt, con una menzione speciale per la recitazione al FilmTage di Bolzano. Dal 2012 al 2015 lavora col Teatro Stabile di Innovazione di Verona – Aida, con ruoli da protagonista in diversi spettacoli impegnati in tournée nazionali, tra cui “Il Piccolo Principe”, “Parliamo d’altro” e “Mozart il piccolo stregone”, quest’ultimo con la partecipazione dei solisti dell’’orchestra Haydn di Bolzano, Regia di Nicoletta Vicentini, in collaborazione con il Festival Mozart di Rovereto e la compagnia “I Burattini” di Luciano Gottardi. Nel 2015 ritorna nuovamente nel mondo del cinema come attrice co-protagonista nel film “In fondo al bosco” di Stefano Lodovichi, prodotto da SkyCinema e OnemorePicture. Sempre nel 2015 è attrice protagonista dello spot “ il Bacio” di Enrico Mazzati, vincitore a Cannes 2015 per la categoria “Jung Director Awards”. Nel 2016 è regista del concerto-spettacolo “Il Mare” e attrice in “Ikone” con Giovanni Sollima, eseguiti dalla “Piccola orchestra Lumiére”, “Il Vagabondo” produzioni. Nel 2009 è stata la regista vincitrice del premio del pubblico per il concorso “Fantasio Piccoli” con l’opera teatrale “Le Baccanti”.
Ha collaborato e si è formata negli anni con diverse compagnie e realtà artistiche, alternandosi tra danza e varie forme di Teatro. Tra le più importanti: ItacaTeatri di Torino ,con progetti in Trentino, Francia e Polonia; nel TeatroDanza con la compagnia Sisina Augusta; il Piccolo Parallelo di Giuseppe Enzo Cecchi; l’associazione Theamus, con un progetto in Bosnia; nella Commedia dell’Arte con la Bottega Buffa Circovacanti; nel Teatro di Ricerca (Carmen Giordano, John Giordan –Fies). Particolarmente formative le esperienze con il Teatro Stabile di Bolzano, il percorso “Giovani in Scena” curato da Flora Sarrubo e col Centro Teatrale Umbro, dove ha avuto l’opportunità di confrontarsi con Cesar Brie e Vladimir Olshansky del Cirque du Soleil.
Regia di Maura Pettorruso
Dopo essersi diplomata presso la Scuola triennale di recitazione Teatranza ArteDrama di Moncalieri (To), continua il suo percorso formativo partecipando a numerosi stage e master, tra cui ricordiamo: Uso della voce presso il Tangram Teatro di Torino; Commedia dell’arte con Eugenio Allegri e Mauro Piombo; Teatro-Danza con Michele Abbondanza e Antonella Bertoni; Regia teatrale con Paolo Landi e Vieceslav Gvozdkov; Recitazione con Pino Petruzzelli; Canto con Sabrina Modena.
Dal 1998 lavora in seno a numerose compagnie e diverse produzioni, prima in Piemonte e poi proseguendo la sua attività in Trentino Alto Adige.
Tra i suoi spettacoli ricordiamo: Dormono tutti sulla collina, spettacolo da lei scritto e interpretato sull’Antologia di Spoon River; La porta aperta, una produzione Macelleria Ettore, per la regia di Carmen Giordano, in residenza a Fies Drodesera a settembre 2009. Con Macelleria Ettore debutta a gennaio 2010 con Cechov#01, un riadattamento de Il gabbiano, mentre sarà in residenza al Festival delle Esperidi con il nuovo progetto NIP. Nel marzo 2010 debutta presso il Teatro Cuminetti di Trento (nella stagione TrentoOltre di TeatriPossibili e del Centro Santa Chiara di Trento) con lo spettacolo V.I.O.L.A., prodotto dalla Compagnia TrentoSpettacoli di Trento e sostenuto dalle Politiche Sociali del Comune e della Provincia di Trento, dalla Regione Trentino-AltoAdige e dai Centri AntiViolenza di Trento, Merano e Bolzano. A ottobre 2010 debutta come autrice e attrice con lo spettacolo Se ami una cosa perché bella sulla vita di Gustav ed Alma Mahler, spettacolo prodotto dalla Filarmonica di Trento. A gennaio 2011 ha debuttato come attrice nello spettacolo Stanza di Orlando una co-produzione TrentoSpettacoli e Macelleria Ettore.
A gennaio 2012 debutta con l’opera ELEKTRIKA, una co-produzione con il Centro Santa Chiara di Trento, nel ruolo di Elettra; mentre è regista e drammaturga dello spettacolo Processo alla banalità del male prodotto per la Giornata della Memoria 2012.
I suoi ultimi lavori nell’ambito della drammaturgia e regia sono: “Sono partito con un francobollo in Tasca” (2015, TrentoSpettacoli, in collaborazione con l’Associazione MOMO di Rovereto); “L’ospite nel bicchiere” (2014, TrentoSpettacoli, commissionato da Cavit); “E poi restò il silenzio” (2013, TrentoSpettacoli, commissionato dall’EcoMuseo della Valle del Chiese); “Zucchine d’Arabia” (2013, TrentoSpettacoli, commissionato dalla Provincia di Trento, sez. APPA); “Il deserto dei Tartari” (2012, TrentoSpettacoli, EcoMuseo della Valle del Chiese, Provincia di Trento). E’ fondatrice dello Spazio OFF di Trento.
Contatti:
Andrea Casna: 340-7391767
Mail: procultura.lavis@gmail.com
Pagina Facebook: La guerra di Tina
Rassegna stampa de La guerra di Tina:
Qui articolo su TrentoBlog: La guerra di Tina
Da Il Trentino
Da l’Adige
Da Il Trentino
Da l’Adige del 17 novembre 2016